Confronti: Caravaggio e i moti dell’animo

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Caravaggio e i moti dell’animo

Caravaggio, a Roma da qualche anno, sperimenta nel giovane che viene morso da un ramarro i “moti dell’animo”, cioè le reazioni emotive a un evento più o meno insolito. Ciò che può stupire, o irritare, o spaventare, fa parte appunto di quelle emozioni che già Leonardo da Vinci aveva chiamato nei suoi scritti i "moti dell'animo". Un bravo pittore dovrebbe infatti essere in grado di riprodurli in tutte le loro intensità e variazioni, a seconda della scena rappresentata. Ma i moti dell'animo non sono l'unica caratteristica della pittura di Caravaggio, che accompagna sempre ogni suo dipinto a complessi significati simbolici come puoi vedere nei quadri qui raffigurati.

Quest'opera mostra un ragazzo dalle vesti scomposte, forse appena svegliato, nell’attimo subito successivo a quello in cui viene morso da un ramarro, sbucato dalle ciliegie sul tavolo. Il fiore all’orecchio rimanda alla rosa spampanata nella caraffa, simbolo di bellezza che sfiorisce (vanitas), così come la canestra di frutta nel Bacco degli Uffizi.
Il giovane ha lineamenti ordinari, secondo l’abitudine di Caravaggio di utilizzare come modelli gente del popolo, ma è vestito come un’antica statua romana. La fronte corrugata e la bocca semiaperta in una smorfia segnalano il senso acuto di dolore mentre la spalla scoperta, la mano destra che pare ritrarsi e la sinistra alzata indicano lo scatto improvviso del giovane.

Qui Caravaggio coglie l’attimo in cui, secondo la Bibbia, l’angelo ferma Abramo mentre sta per sacrificare il figlio Isacco, in obbedienza al comandamento divino, che è crudele solo in apparenza, perché in realtà Dio ha voluto mettere alla prova la fede del suo suddito. Secondo la Bibbia l’angelo si sarebbe rivolto ad Abramo dal cielo, mentre qui gli ferma direttamente la mano prima che colpisca Isacco. Nota il realismo delle mani robuste del padre: la destra col coltellaccio in mano, la sinistra che blocca con forza il collo del figlio. Vicino alla testa di Isacco, che urla disperato, consapevole ormai della morte imminente, Caravaggio raffigura l’ariete, che andrà a sostituire il giovinetto nel sacrificio.

Caravaggio ambienta nella penombra la scena del martirio di san Matteo, e si autoritrae nel personaggio sullo sfondo, il cui volto sbuca dalla porta a sinistra. Particolarmente intenso anche il volto terrorizzato del giovane sulla destra, con la bocca spalancata in un urlo che ci pare quasi di sentire.

Arte Attiva 
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