Il settore secondario in Europa

CONOSCERE E LOCALIZZARE

Il settore secondario in Europa

Il continente europeo, che come abbiamo visto fu la culla dell’industria moderna, continua oggi a essere largamente industrializzato. Germania, Regno Unito, Francia e Italia fanno parte del ristretto gruppo dei Paesi più industrializzati del mondo; Belgio e Paesi Bassi contano su una storica tradizione manifatturiera; Spagna e Irlanda hanno conosciuto più recenti sviluppi nel settore secondario. Altre regioni (il Portogallo e la Spagna Sud-Occidentale, l’Italia Meridionale, la Grecia) hanno invece un apparato industriale meno sviluppato. Nonostante queste differenze territoriali, comunque, e sebbene il settore secondario occupi ormai solo il 28% dei lavoratori (contro il 65% degli addetti al terziario), l’Europa può ancora essere definita una regione industriale.



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Confronta la carta con quella che trovi alle pagine 8-9 dell’Atlante. In quali Stati si trovano le aree più industrializzate?




L’INDUSTRIA EUROPEA

In Europa il settore secondario è infatti diffuso e radicato; è inoltre molto diversificato, comprendendo ogni genere di produzione industriale. Sono presenti industrie di base (l’Europa ha il primato mondiale nell’industria chimica); industrie di trasformazione (quella automobilistica, per esempio, è molto importante); settori di punta dell’industria avanzata, da cui dipende in buona parte la forza economica europea sul mercato mondiale.

In Europa hanno sede molte imprese multinazionali, cioè grandi società che svolgono la loro attività in più Paesi, mantenendo in quello di origine solo alcune fasi di produzione (talvolta solo il controllo e l’amministrazione). La Nokia, per esempio, leader mondiale della telefonia cellulare, ha la sua base strategica in Finlandia ma conta sedi in molti Paesi del mondo.

La forza industriale europea non è però data solo da questi “giganti” dell’economia: fondamentale è il peso economico di una radicata struttura di piccole (meno di 50 dipendenti) e medie imprese, che “vanno all’estero” solo con le loro esportazioni.


LE REGIONI INDUSTRIALI EUROPEE

Osservando la carta puoi notare alcune importanti caratteristiche dell’industrializzazione europea: per esempio che le industrie sono concentrate in alcune aree o regioni industriali, nelle quali si trovano stabilimenti di vario genere.

L’asse industriale “occidentale” ha il suo fulcro nelle aree che ospitavano un tempo i grandi giacimenti carboniferi, importante materia prima per la produzione industriale: il Regno Unito, il Belgio e soprattutto la regione della Ruhr, in Germania. Oggi le miniere europee sono meno sfruttate, ma in queste aree si trovano ancora i maggiori stabilimenti siderurgici per la produzione di acciaio. Molto industrializzate sono anche la vasta regione intorno al delta del Reno, da Anversa (in Belgio) a Groninga (nei Paesi Bassi), l’agglomerato di Parigi, la Lorena francese, l’Italia Centro-Settentrionale (in particolare la Pianura Padana). È la parte d’Europa dove, non a caso, si concentrano i maggiori porti, le grandi città, le più importanti vie di comunicazione. Altre aree di insediamento industriale sono la Svezia Meridionale, la Danimarca, Amburgo e la Sassonia (in Germania), la Slesia (in Polonia) e la Boemia (nella Repubblica Ceca).

Un terzo asse industriale comprende a est i poli di San Pietroburgo e Mosca (in Russia) e il bacino carbonifero del Donbass, in Ucraina.


QUANTE PERSONE LAVORANO NELL’INDUSTRIA?

Come abbiamo detto, oggi il settore secondario in Europa non coinvolge più la maggior parte della popolazione attiva, né produce la quota maggiore della ricchezza, come accadeva un tempo: in un certo senso, ha passato al settore terziario il “testimone” che aveva ricevuto a sua volta dall’agricoltura. Le capacità produttive via via crescenti, accumulate grazie alla tecnologia e alle macchine (computer compresi), fanno sì che a gestire i processi produttivi bastino ormai sempre meno persone.

Non tutta l’industria è però altamente tecnologizzata o addirittura “robotizzata”: alcuni settori, come quello tessile, l’alimentare e quello dell’edilizia, continuano a impiegare una manodopera numerosa.


COME CAMBIA IL SETTORE SECONDARIO?

Negli anni ’70 del secolo scorso l’industria pesante europea (siderurgica, metalmeccanica e petrolchimica) è entrata in crisi a causa dell’aumento dei costi di lavorazione e dell’avvento delle materie plastiche, che hanno sostituito in molti campi i materiali tradizionali (per esempio l’acciaio). Si è così verificata, in risposta a quella crisi, una trasformazione dell’attività produttiva in direzione delle industrie leggere, basate cioè su produzioni specializzate o ad alta tecnologia.

Ma per comprendere la crisi attuale del settore industriale e i cambiamenti più recenti è necessario prendere in considerazione anche altri fattori.


La concorrenza “globale”

In tempi di rapida e libera circolazione di prodotti, ricchezze e lavoro, la concorrenza tende a riguardare tutti i settori industriali e a coinvolgere tutti i Paesi. L’Europa, infatti, è in competizione non solo con le economie storicamente più sviluppate, come quelle di Stati Uniti e Giappone, ma anche con i cosiddetti Paesi emergenti, che stanno cioè acquisendo un peso sempre maggiore nel quadro mondiale. La Cina, per esempio, che ha un peso demografico enorme e straordinaria disponibilità di manodopera, ha conquistato rapidamente grandi fette di mercato in settori industriali come quello tessile o degli accessori di abbigliamento, mentre l’India ha sopravanzato di gran lunga l’industria informatica europea.

In altre parole, chi riesce a produrre merci a prezzi inferiori, cioè i Paesi dove il lavoro e le materie prime costano meno, o di qualità superiore, grazie alla specializzazione, alla ricerca, alla formazione, ha oggi la possibilità di venderle quasi ovunque grazie allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, “conquistando” i mercati di Paesi anche molto lontani e mettendo in difficoltà le industrie che vi operano e che producono a costi maggiori (o con una qualità inferiore).


Grandi, piccole, mobili: la delocalizzazione e il decentramento

Le industrie europee, sempre meno legate alla vicinanza di miniere, di fonti di energia, di fiumi e di porti (la materia prima può essere portata anche da lontano), tendono oggi a disperdersi sul territorio. Ad attirarle sono di volta in volta i luoghi di consumo dei rispettivi prodotti, i servizi offerti da una certa regione, la qualità e la disponibilità di manodopera. Il fondamentale elemento di mobilità, anzi di trasformazione, è però dato dalla concorrenza e dalle condizioni di mercato, che spingono le imprese a cambiare prodotti e modi di produzione, ma anche a spostare altrove i loro stabilimenti in cerca di condizioni produttive migliori (delocalizzazione): molte aziende dell’Europa Occidentale, per esempio, hanno aperto fabbriche nei Paesi dell’Europa Orientale dove gli operai sono pagati meno, mentre produttori giapponesi e statunitensi di personal computer hanno aperto sedi nei nuovi distretti tecnologici dell’Irlanda.

Una tendenza generale è inoltre quella di ridurre le dimensioni degli stabilimenti per accentuarne la flessibilità, cioè la capacità di cambiare rapidamente in relazione alle richieste del mercato: imprese più piccole, che impiegano meno lavoratori e che possono essere riorganizzate più velocemente, rispondono e si adeguano meglio alle tendenze di un mercato in continua evoluzione. Così la scala delle imprese va dal gigantesco, cioè dalle grandi compagnie multinazionali che hanno filiali in molti Paesi, ad aziende piccolissime: pochi lavoratori che svolgono incarichi (commesse) per conto di altre imprese.


Verso nuovi equilibri

La trasformazione e la crisi del settore secondario hanno modificato profondamente l’economia dei Paesi europei e la vita di milioni di persone, oltre che le modalità con cui il territorio e gli spazi vengono occupati.

Infatti, con il declino delle grandi industrie, nei Paesi avanzati si è assistito non solo a uno spostamento della forza lavoro verso il settore terziario, ma anche a un aumento della disoccupazione. Il mondo del lavoro è cambiato: il posto fisso, che rimaneva lo stesso per anni o addirittura per tutta la vita lavorativa, è sempre più una rarità. Oggi i lavoratori sono spesso costretti ad affrontare condizioni di precariato e insicurezza e a cambiare lavoro frequentemente, talvolta con periodi di disoccupazione tra un impiego e l’altro; devono inoltre far fronte alla necessità di una formazione e di un aggiornamento continui per riqualificarsi e rimanere al passo con le conoscenze che evolvono rapidamente in ogni campo lavorativo (si parla di long life learning: apprendimento per tutta la durata della vita).

Per quanto riguarda l’impatto sul territorio, molte aree industriali, che un tempo erano sede di grandi impianti e stabilimenti, sono state dismesse e risanate, e i vecchi edifici sono stati demoliti o riconvertiti, cioè recuperati per altri usi, dando vita a zone residenziali, commerciali o che offrono servizi. I vecchi stabilimenti talvolta sono diventati anche siti di archeologia industriale: architettura e spazi vuoti che testimoniano in modo suggestivo una cultura industriale profondamente diversa da quella di oggi.


RICONOSCI

In questa fotografia vedi un’industria altamente tecnologizzata. Confrontala con l’industria alimentare per la lavorazione delle carote a pagina 172. Quali differenze noti?



L’addetto al controllo della produzione in un’industria pesante.


Studio e imparo

1 Che dimensione hanno le imprese industriali europee?
2 Quali sono le aree più industrializzate del continente?
3 Quali fattori consentono alle imprese di far fronte alla concorrenza mondiale?
4 In che senso si parla di “flessibilità” in riferimento all’industria?

Geo Parole

Industria di base • Industria pesante • Industria di trasformazione • Industria leggera • Industria avanzata • Impresa multinazionale • Delocalizzazione

Geo Touring - volume 1
Geo Touring - volume 1
L’Italia e l’Europa