Il settore primario in Italia occupa circa il 5% della popolazione attiva e contribuisce per il 3% alla ricchezza nazionale. Si tratta di percentuali modeste, che forse possono stupirci: in realtà sono solo la conferma che l’Italia è un Paese con un’economia sviluppata e matura, cioè basata soprattutto sull’industria e i servizi, come avviene per esempio anche in Francia o in Germania.
L’agricoltura italiana tuttavia è relativamente poco produttiva e soprattutto disomogenea, con forti differenze tra regione e regione, e tra diverse tipologie di coltura. La conseguenza è che molti prodotti alimentari e agricoli devono essere importati, come cereali, cotone e olio; si esportano invece vino, frutta e riso. Il 35% del territorio italiano è montuoso, quindi inadatto alla coltivazione del suolo o caratterizzato da un’agricoltura praticata in condizioni difficili; solo il 23% circa è pianeggiante, quindi favorevole all’attività agricola, mentre il restante 42% è occupato da colline, più o meno fertili e con caratteristiche molto variabili.
Le zone collinari più produttive sono coperte di vigne e uliveti, in mezzo a una trama di orti e di campi. Nelle “strette” pianure costiere trovano spazio orti, agrumeti (nel Sud) e ancora ulivi. Solo le pianure più estese, quella Padana su tutte, ospitano grandi aziende meccanizzate per la coltivazione di cereali e stalle ben attrezzate per l’allevamento di bovini e suini. Importanti nell’agricoltura moderna specializzata anche i frutteti.
La pesca ha uno sviluppo limitato, nonostante le migliaia di chilometri di coste: i nostri mari sono nel complesso poco pescosi, oltre che afflitti da problemi legati all’inquinamento. Solo nel Mar Adriatico e nel Mar di Sicilia questo settore, con le attività di lavorazione e conservazione del pesce connesse, riveste una certa importanza.