IL CARATTERE - Un uomo tranquillo

A R I O S TO E I B R I G A N T I Che cosa c entra una banda di briganti con l elegante esistenza cortigiana di Ariosto? Per capirlo, basta leggere una delle decine di lettere che il malcapitato poeta, nei panni di commissario, spedisce a diversi destinatari dalla Garfagnana, che lui ribattezza come «terra di lupi e di briganti . Ruberie, omicidi e saccheggi vengono messi a segno da leggendari manigoldi, tra i quali spicca il più temibile bandito del luogo: il cosiddetto Moro del Sillico . Il mite Ariosto se la cava molto bene, ripristinando l ordine e ottenendo così il premio per lui più ambito: tornare a Ferrara per rielaborare il suo poema. Edouard Schuler, L Ariosto rispettato dai briganti, 1833 ca. il carattere UN UOMO TRANQUILLO L immagine tradizionale di Ariosto è quella di una persona amante della quiete (era detto Ludovicus tranquillitatis, Ludovico della tranquillità ), di un poeta svagato e sognante, perso dietro alle proprie fantasie. Egli ci appare, innanzitutto, come un uomo bonario, riflessivo, dotato di sentimenti onesti e delicati, forse privo di profonde passioni morali, religiose, politiche. Insomma, saggio di una saggezza serena. Il senso della famiglia Ludovico però è anche un uomo dotato di un grande senso di responsabilità. Ha solo ventisei anni quando, nel 1500, morto il padre, si trova a fare da genitore a quattro fratelli e cinque sorelle, con anche la madre a carico, unico in grado di guadagnarsi da vivere. Così il poeta: «Mi more il padre, e da Maria il pensiero / drieto a Marta bisogna ch io rivolga, / ch io muti in squarci et in vacchette Omero; // truovi marito e modo che si tolga / di casa una sorella e un altra appresso, / e che l eredità non se ne dolga; // coi piccioli fratelli, ai quai successo / ero in luogo di padre, far l uffizio / che debito e pietà avea commesso; // a chi studio, a chi corte, a chi essercizio / altro proporre, e procurar non pieghi / da le virtudi il molle animo al vizio (Satire, VI, 199-210; Muore mio padre e bisogna che sposti il mio pensiero dalla vita contemplativa (Maria) a quella attiva (Marta) e che lasci la poesia per gli scartafacci e i registri contabili (detti vacchette perché rilegati in pelle di vacca); che trovi marito a una sorella e dopo a un altra, e che l eredità non soffra troppo per le doti da preparare; con i fratelli più piccoli, per i quali ricoprivo il ruolo di padre, devo svolgere il compito educativo che il dovere e l affetto mi avevano affidato. Devo proporre a uno il servizio di corte, a un altro lo studio, a un altro ancora l esercizio della mercatura e vigilare affinché non pieghi il cedevole animo dalle virtù al vizio). L impegno sociale L umana disponibilità di Ariosto si vede bene anche nei tre anni trascorsi in Garfagnana. Se all inizio è turbato dall asprezza dei luoghi e dei costumi, a poco a poco prende in simpatia la condizione di quella povera gente, avvilita dalla prepotenza dei pochi che la comandano e abituata, per antica consuetudine, a chinare il capo di fronte ai soprusi. Scrive in una lettera: «Finch io starò in questo officio, non sono per havermi alcuno amico, se non la giustitia . Tale dichiarazione d intenti, concretizzata nella quotidiana azione di governo, determina nei suoi confronti l odio dei prepotenti che vedono in pericolo i propri privilegi. Quel che è certo è che Ariosto possiede sì fini doti intellettuali, ma non grandi capacità di gestione politica. lui stesso a scoprirsi, periodicamente, incapace di severità, anche là dove tale atteggiamento sarebbe necessario. Al contrario, il contatto personale lo spinge a comprensione e compassione nei riguardi degli stessi colpevoli: «Io l confesso ingenuamente, ch io non son omo da governare altri omini, che ho troppo pietà, e non ho fronte di negare cosa che mi sia domandata . Chissà quanti hanno provato ad approfittarsi di questa debolezza del funzionario Ludovico Ariosto. L AUTORE / LUDOVICO ARIOSTO / 205

Il magnifico viaggio - volume 2
Il magnifico viaggio - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento