Il magnifico viaggio - volume 1

DENTRO IL TESTO L inganno di un papa corrotto I contenuti tematici In Inferno, XXVII, 85-123 (T21), a parlare è Guido da Montefeltro. Secondo l accusa dantesca, Bonifacio VIII non ha esitato a svilire le proprie prerogative spirituali (come quella, tipica del sacerdote, di rimettere i peccati) per basse ragioni di interesse personale. In realtà quello messo in atto dal papa è un inganno: non ci si può pentire ed essere assolti da una colpa e al tempo stesso commetterla; il pentimento e l assoluzione possono soltanto seguire cronologicamente il peccato, certamente non precederlo. Così Guido da Montefeltro è stato raggirato da questo pontefice politicante, che è l esatto opposto di ciò che per Dante dovrebbe essere un papa. Anziché bandire crociate contro i musulmani, per recuperare i territori santi (cioè la Palestina, dove Gesù era nato, vissuto, morto e risorto), Bonifacio considera propri nemici gli stessi cattolici, che egli contribuisce a dividere tra di loro con la sua partigianeria. La battuta finale del diavolo (Forse / tu non pensavi ch io lo co fossi!, vv. 122-123) risveglia bruscamente Guido dall illusione di essere stato veramente assolto, mettendo in evidenza l inganno di cui egli è stato fatto oggetto da parte di Bonifacio. L usurpazione ecclesiastica e il tramonto dei valori cavallereschi In Purgatorio, XVI, 97-129 (T22), Dante considera vacante ai propri tempi la funzione dell imperatore, poiché il Papato ne ha usurpato i compiti, che di fatto non gli competono. Il pontefice va davanti al suo gregge e lo guida (procede, v. 98), è in grado di ruminare (rugumar può, v. 99), cioè ha la prerogativa di comprendere e spiegare la dottrina cristiana, ma non ha le unghie divise (non ha l unghie fesse, v. 99), ovvero non può applicare le leggi nella sfera temporale. Questo è un compito che il papa farebbe bene a lasciare com era in passato all imperatore. Secoli prima Roma aveva infatti instaurato l ordine e la civiltà sulla Terra, fondando una monarchia universale (l Impero) che aveva unificato il mondo nel segno della pace, predisponendolo ad accogliere, nella pienezza dei tempi, l avvento di Cristo. Per bocca di Marco Lombardo, Dante esprime la propria nostalgia per un mondo non ancora corrotto come quello in cui si trova a vivere e per la società di un passato non troppo lontano (antecedente di circa un secolo), in cui erano ancora diffuse le qualità cavalleresche (valore e cortesia, v. 116), prima che avesse inizio, nella prima metà del XIII secolo, il contrasto tra il Papato e l imperatore Federico II. Dante vede l Italia settentrionale del proprio tempo come una terra di corruzione e di malvagità: le persone buone si contano sulle dita di una mano e sono talmente circondate da esempi di cattiveria che esse desidererebbero morire al più presto pur di non assistere a questa degenerazione. Il mito della Firenze del passato La stessa idealizzazione del passato che abbiamo trovato in Purgatorio, XVI, 97-129 (T22) ritorna in Paradiso, XV, 97-129 (T23) a proposito della città di Dante, la tanto amata e per altri versi odiata Firenze: amata in sé, per la sua storia, le sue radici, i propri ricordi personali; odiata per i politici intriganti che ora la dominano. Cacciaguida dipinge una città pacifica, appagata dei suoi costumi semplici e onesti, senza lussi eccessivi, con famiglie patriarcali ricche di virtù. La città era piccola: secondo l interpretazione letterale del passo, il panorama che si vedeva dal monte Uccellatoio non superava Dante e Beatrice con Cacciaguida, miniatura, XIV secolo. 362 / LE ORIGINI E IL DUECENTO

Il magnifico viaggio - volume 1
Il magnifico viaggio - volume 1
Dalle origini al Trecento