T13 - Tofano e monna Ghita

T13

Tofano e monna Ghita

Decameron, VII, 4

Narrata da Lauretta, la novella ci presenta un marito geloso (prima a torto, poi a ragione) e una moglie scaltra, tanto che riuscirà a beffarlo. Quello delle beffe ordite dalle donne ai loro uomini è infatti il tema della Settima giornata.

 Asset ID: 98430 (let-altvoc-tofano-e-monna-ghita40.mp3

Audiolettura

Tofano chiude una notte fuor di casa la moglie, la quale, non potendo per prieghi1 rientrare, 
fa vista2 di gittarsi in un pozzo e gittavi una gran pietra; Tofano esce di casa e corre là, e ella 
in casa se n’entra e serra lui di fuori e sgridandolo il vitupera.3
[…]
Fu adunque già4 in Arezzo un ricco uomo, il qual fu Tofano5 nominato. A costui 
5      fu data per moglie una bellissima donna, il cui nome fu monna Ghita, della 
quale egli senza saper perché prestamente divenne geloso, di che la donna avvedendosi
prese sdegno; e più volte avendolo della cagione della sua gelosia addomandato
né egli alcuna avendone saputa assegnare6 se non cotali generali e cattive,7 cadde
nell’animo alla donna di farlo morire del male del quale senza cagione aveva paura8.
10    E essendosi avveduta che un giovane, secondo il suo giudicio 
molto da bene,9 la vagheggiava,10 discretamente con lui s’incominciò a intendere;11 
e essendo già tra lui e lei tanto le cose innanzi, che altro che dare effetto con 
opera alle parole non vi mancava, pensò la donna di trovare similmente modo a 
questo.12 E avendo già tra’ costumi cattivi del suo marito conosciuto lui dilettarsi 
15    di bere,13 non solamente gliele cominciò a commendare ma artatamente a 
sollicitarlo a ciò14 molto spesso. E tanto ciò prese per uso, che quasi ogni volta che a 
grado l’era infino allo inebriarsi bevendo il conducea;15 e quando bene ebbro il 
vedea, messolo a dormire, primieramente col suo amante si ritrovò, e poi sicuramente 
più volte di ritrovarsi con lui continuò, e tanto di fidanza16 nella costui17 ebbrezza 
20    prese, che non solamente avea preso ardire di menarsi il suo amante in 
casa, ma ella talvolta gran parte della notte s’andava con lui a dimorare alla sua, 
la qual di quivi non era guari18 lontana.
E in questa maniera la innamorata donna continuando, avvenne che il doloroso19 
marito si venne accorgendo che ella, nel confortare20 lui a bere, non beveva 
25    per ciò essa mai; di che egli prese sospetto non così fosse come era,21 cioè che la 
donna lui inebriasse per poter poi fare il piacer suo mentre egli adormentato fosse. 
E volendo di questo, se così fosse, far pruova, senza avere il dì22 bevuto, una sera 
mostrandosi il più ebbro uomo e nel parlare e ne’ modi, che fosse mai, il che la 
donna credendo né estimando che più bere gli bisognasse a ben dormire, il mise 
30    prestamente.23 E fatto ciò, secondo che alcuna volta era usata di fare,24 uscita di 
casa, alla casa del suo amante se n’andò e quivi infino alla mezzanotte dimorò.
Tofano, come la donna non vi sentì,25 così si levò e andatosene alla sua porta 
quella serrò dentro e posesi alle finestre, acciò che tornare vedesse la donna e le 
facesse manifesto che egli si fosse accorto delle maniere26 sue; e tanto stette che la 
35    donna tornò, la quale, tornando a casa e trovatasi serrata di fuori, fu oltre modo 
dolente e cominciò a tentare se per forza potesse l’uscio aprire. Il che poi che Tofano 
alquanto ebbe sofferto,27 disse: «Donna, tu ti fatichi invano, per ciò che qua 
entro non potrai tu tornare. Va tornati là dove infino a ora se’ stata: e abbi per certo 
che tu non ci tornerai mai infino a tanto che io di questa cosa, in presenza de’ 
40    parenti tuoi e de’ vicini, te n’avrò fatto quello onore che ti si conviene».28
La donna lo ’ncominciò a pregar per l’amor di Dio che piacer gli dovesse d’aprirle, 
per ciò che ella non veniva donde s’avvisava29 ma da vegghiare30 con una 
sua vicina, per ciò che le notti eran grandi31 e ella nolle poteva dormir tutte né sola 
in casa vegghiare. Li prieghi non giovavano alcuna cosa, per ciò che quella bestia 
45    era pur disposto a volere che tutti gli aretin sapessero la lor vergogna, là dove niun 
la sapeva.
La donna, veggendo che il pregar non le valeva, ricorse al minacciare e disse: 
«Se tu non m’apri, io ti farò il più tristo uom che viva».32
A cui Tofano rispose: «E che mi puoi tu fare?».
50    La donna, alla quale Amore aveva già  aguzzato co’ suoi consigli lo ’ngegno, 
rispose: «Innanzi che io voglia sofferire la vergogna che tu mi vuoi fare ricevere a 
torto, io mi gitterò in questo pozzo che qui è vicino: nel quale poi essendo trovata 
morta, niuna persona sarà che creda che altri che tu per ebrezza mi v’abbia gittata; 
e così o ti converrà33 fuggire e perder ciò che tu hai e essere in bando,34 o converrà 
55    che ti sia tagliata la testa sì come a micidial di me35 che tu veramente sarai stato».
Per queste parole niente si mosse Tofano dalla sua sciocca opinione; per la qual 
cosa la donna disse: «Or ecco, io non posso più sofferire questo tuo fastidio:36 Dio 
il ti perdoni! farai riporre questa mia rocca37 che io lascio qui»; e questo detto, 
essendo la notte tanto obscura, che appena si sarebbe potuto veder l’un l’altro per 
60    la via, se n’andò la donna verso il pozzo; e, presa una grandissima pietra che a piè 
del pozzo era, gridando «Idio, perdonami!» la lasciò cadere entro nel pozzo.
La pietra giugnendo nell’acqua fece un grandissimo romore, il quale come Tofano 
udì credette fermamente che essa gittata vi si fosse; per che, presa la secchia 
colla fune, subitamente si gittò di casa38 per aiutarla e corse al pozzo. La donna, 
65    che presso all’uscio della sua casa nascosa s’era, come vide correre al pozzo, così 
ricoverò in casa e serrossi dentro e andossene alle finestre e cominciò a dire: «Egli
si vuole inacquare quando altri il bee, non poscia la notte».39
Tofano, udendo costei, si tenne scornato40 e tornossi all’uscio; e non potendovi 
entrare le cominciò a dire che gli aprisse.
70    Ella, lasciato stare il parlar piano come infino allora aveva fatto, quasi gridando 
cominciò a dire: «Alla croce di Dio, ubriaco fastidioso, tu non c’enterai stanotte; 
io non posso più sofferire questi tuoi modi: egli convien che io faccia vedere a 
ogn’uomo chi tu se’ e a che ora tu torni la notte a casa».
Tofano d’altra parte crucciato le ’ncominciò a dir villania e a gridare; di che i 
75    vicini sentendo il romore si levarono, e uomini e donne, e fecersi alle finestre e 
domandarono che ciò fosse.
La donna cominciò piangendo a dire: «Egli è questo reo uomo, il quale mi 
torna ebbro la sera a casa o s’adormenta per le taverne e poscia torna a questa 
otta;41 di che io avendo lungamente sofferto e non giovandomi, non potendo più 
80    sofferire, ne gli ho voluta fare questa vergogna di serrarlo fuor di casa per vedere 
se egli se ne ammenderà».42
Tofano bestia, d’altra parte, diceva come il fatto era stato e minacciavala forte.
La donna co’ suoi vicini diceva: «Or vedete che uomo egli è! Che direste voi se 
io fossi nella via come è egli, e egli fosse in casa come sono io? In fé di Dio che io 
85    dubito che voi non credeste che egli dicesse il vero: ben potete a questo conoscere 
il senno suo! Egli dice a punto che io ho fatto ciò che io credo che egli abbia fatto 
egli. Egli mi credette spaventare col gittare non so che nel pozzo, ma or volesse 
Iddio che egli vi si fosse gittato da dovero43 e affogato, sì che egli il vino, il quale 
egli di soperchio ha bevuto, si fosse molto bene inacquato».
90    I vicini, e gli uomini e le donne, cominciaro a riprendere tututti44 Tofano e a dar 
la colpa a lui e a dirgli villania di ciò che contro alla donna diceva: e in brieve tanto 
andò il romore di vicino in vicino, che egli pervenne infino a’ parenti della donna. 
Li quali venuti là, e udendo la cosa e da un vicino e da altro, presero Tofano e 
diedergli tante busse,45 che tutto il ruppono;46 poi, andati in casa, presero le cose della 
95    donna e con lei si ritornarono a casa loro minacciando Tofano di peggio. Tofano, 
veggendosi mal parato47 e che la sua gelosia l’aveva mal condotto, sì come quegli 
che tutto ’l suo bene voleva alla donna,48 ebbe alcuni amici mezzani;49 e tanto 
procacciò, che egli con buona pace riebbe la donna a casa sua, alla quale promise di 
mai più non esser geloso: e oltre a ciò le diè licenzia che ogni suo piacer facesse, ma 
100  sì saviamente, che egli non se ne avvedesse. E così, a modo del villan matto, dopo 
danno fé patto.50 E viva amore, e muoia soldo, e tutta la brigata.51
 >> pagina 642

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Monna Ghita è «una semplicetta donna» (come la definisce la narratrice Lauretta in una parte introduttiva che non abbiamo riportato), ma l’amore la induce a diventare scaltra. Il marito invece appare come una persona poco avveduta: inizialmente è geloso senza motivo, ed è proprio questo ingiusto sospetto che spinge la moglie a tradirlo per ripicca. La narratrice lo gratifica dell’epiteto di bestia (rr. 44 e 82), che nel Decameron ricorre a proposito di personaggi a vario titolo maldestri, quando non addirittura stupidi. Il punto di vista di Lauretta (che è sostanzialmente quello dell’autore) lo qualifica come uno sciocco (Per queste parole niente si mosse Tofano dalla sua sciocca opinione, r. 56): anziché trattare la faccenda con discrezione, intende svergognare la moglie in pubblico per il suo tradimento, così rimettendoci in prima persona nell’opinione dei concittadini (era pur disposto a volere che tutti gli aretin sapessero la lor vergogna, là dove niun la sapeva, rr. 45-46).

Monna Ghita, sorpresa fuori casa, viene chiusa all’esterno dal marito, ma la donna, con un’abile trovata, riesce a ribaltare la situazione: prima lui è in casa e lei fuori, dopo le parti si invertono. La moglie è così sfrontata da rivolgere ai vicini una frase che in realtà è rivolta al marito: Che direste voi se io fossi nella via come è egli, e egli fosse in casa come sono io? In fé di Dio che io dubito che voi non credeste che egli dicesse il vero (rr. 83-85). Dopo essere stato crudelmente beffato, Tofano impara la lezione, giungendo a concedere alla moglie una libertà insperata: essa potrà addirittura tradirlo, purché egli non se ne avveda (le diè licenzia che ogni suo piacer facesse, ma sì saviamente, che egli non se ne avvedesse, rr. 99-100). Sembra proprio il giusto contrappasso per i passati eccessi di gelosia.

Le scelte stilistiche

La parte più vivace della novella e l’elemento su cui poggia la sua efficacia narrativa è la mimesi. La donna, in particolare, si mostra un’abilissima attrice, capace di una raffinata finzione scenica. Prima prega il marito, poi lo minaccia fingendo di volersi suicidare, se egli continuerà a sospettare ingiustamente di lei (ma il lettore sa che i sospetti di tradimento sono fondati) e soprattutto se non la farà rientrare in casa; detta quasi un beffardo testamento (farai riporre questa mia rocca che io lascio qui, r. 58) e prorompe in esclamazioni patetiche (Idio, perdonami!, r. 61). Successivamente, chiuso fuori il marito, recita una nuova commedia con i vicini, facendo credere loro che sia l’uomo a essere tornato ubriaco nel cuore della notte. Piange (La donna cominciò piangendo a dire, r. 77) e cerca, riuscendoci, di ottenere la compassione di coloro che la ascoltano. Da tutto ciò risulta fortemente accresciuta la comicità della novella.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 In quale modo monna Ghita riesce inizialmente a incontrare l’amante senza che il marito se ne accorga?


2 Perché in seguito il marito comincia a sospettare?


3 Quando Ghita si ripresenta a casa dopo aver trascorso gran parte della notte fuori e il marito si rifiuta di farla entrare, quale giustificazione accampa in merito alla propria assenza per convincerlo ad aprirle la porta?

  • a Dice di essere stata da sua madre. 
  • b Dice di essere andata a fare una passeggiata perché non sopportava il caldo. 
  • c Dice di essere stata da una vicina perché soffriva di insonnia. 
  • d Dice di essersi addormentata in giardino. 

ANALIZZARE

4 In ebbe alcuni amici mezzani (r. 97), mezzani è

  • a complemento di qualità. 
  • b complemento predicativo del soggetto. 
  • c complemento predicativo dell’oggetto. 
  • d complemento oggetto. 


5 Individua gli aggettivi e le espressioni con cui viene descritto Tofano.

 >> pagina 643

INTERPRETARE

6 A tuo parere ha fatto bene Ghita a comportarsi in questo modo? Le sue azioni successive sono giustificate dall’iniziale, infondata sfiducia del marito? Ha fatto bene Tofano a scendere infine a patti con Ghita? Alla conclusione della novella c’è ancora amore tra marito e moglie?

SCRIVERE PER...

RIELABORARE

7 Scrivi una sceneggiatura della novella. Che genere di attori sceglieresti? Prepara i dialoghi in italiano moderno con le varie indicazioni di regia (gli abiti da indossare, i luoghi in cui girare, le inquadrature da fare, la recitazione degli attori ecc.). Per avere un’idea su come scrivere una sceneggiatura, consulta (insieme al docente) uno dei tanti siti web disponibili sull’argomento.

T14

Calandrino e l’elitropia

Decameron, VIII, 3

Riportiamo qui, dall’Ottava giornata, dedicata alle beffe, la prima novella (raccontata da Lauretta) di cui è protagonista Calandrino, sorta di personaggio “seriale” del Decameron, che comparirà anche nelle novelle VIII, 6, Calandrino e il porco; IX, 3, Calandrino incinto, ( T15, p. 654); IX, 5, Calandrino innamorato. All’origine di questo personaggio ci fu una persona realmente esistita, il modesto pittore Nozzo di Perino, vissuto a Firenze tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, ricordato due secoli dopo anche nelle Vite di Giorgio Vasari. Parimenti esistiti sono i suoi due “beffatori”, Bruno e Buffalmacco: Bruno di Giovanni d’Olivieri e Bonamico di Cristofano detto Buffalmacco. Il soprannome di quest’ultimo fa riferimento all’inclinazione alle beffe, mentre “Calandrino” allude a un uccello chiamato “calandra” considerato “sciocco” nell’immaginario popolare a causa del suo modo irregolare di volare. L’elitropia era – in base ai lapidari medievali – una pietra di colore verde molto scuro, capace di rendere invisibile chi la portasse con sé.

Calandrino, Bruno e Buffalmacco giù per lo Mugnone1 vanno cercando di trovar l’elitropia, 
e Calandrino se la crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia2 
e egli turbato3 la batte,4 e a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.

Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevano tanto riso che ancor 
5      ridono, la reina ad Elissa commise che seguitasse; la quale ancora ridendo 
incominciò:
io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrà fatto di farvi con una mia novelletta, 
non men vera che piacevole tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua: 
ma io me ne ’ngegnerò.
10    Nella nostra città, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata 
abondevole,5 fu, ancora non è gran tempo,6 un dipintore7 chiamato Calandrino, 
uom semplice e di nuovi costumi.8 Il quale il più del tempo con due altri dipintori 
usava,9 chiamati l’un Bruno e l’altro Buffalmacco, uomini sollazzevoli10 molto ma 
per altro avveduti e  sagaci,11 li quali con Calandrino usavan per ciò che de’ modi 
15    suoi e della sua simplicità12 sovente gran festa prendevano.13
Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in 
ciascuna cosa che far voleva astuto e avvenevole,14 chiamato Maso del Saggio; il 
quale, udendo alcune cose della simplicità di Calandrino, propose di voler prender 
diletto de’ fatti suoi15 col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova16 
20    cosa.
E per avventura17 trovandolo un dì nella chiesa di San Giovanni18 e vedendolo 
stare attento a riguardar le dipinture e gl’intagli del tabernaculo il quale è sopra 
l’altare della detta chiesa, non molto tempo davanti postovi,19 pensò essergli dato 
luogo e tempo alla sua intenzione.20 E informato un suo compagno di ciò che fare 
25    intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo 
vista21 di non vederlo insieme cominciarono a ragionare delle virtù22 di diverse 
pietre, delle quali Maso così efficacemente23 parlava come se stato fosse un solenne 
e gran lapidario.24 A’ quali ragionamenti Calandrino posta orecchie, e dopo 
alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza,25 si congiunse con loro, 
30    il che forte piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole,26 fu da Calandrin 
domandato dove queste pietre così virtuose27 si trovassero. Maso rispose che le più si 
trovavano in Berlinzone,28 terra de’ baschi,29 in una contrada che si chiamava 
Bengodi,30 nella quale si legano le vigne con le salsicce31 e avevasi un’oca a denaio e un 
papero giunta;32 e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, 
35    sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni33
raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi34 giù, e chi più 
ne pigliava più se n’aveva;35 e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia,36 della 
migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua.
«Oh!», «disse Calandrino» cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ 
40    capponi che cuocon coloro?
Rispose Maso: «Mangiansegli i baschi tutti».
Disse allora Calandrino: «Fostivi tu mai?»
A cui Maso rispose: «Di’ tu se io vi fu’ mai? Sì vi sono stato così una volta come 
mille».37
45    Disse allora Calandrino: «E quante miglia ci ha?»38
Maso rispose: «Haccene39 più di millanta,40 che tutta notte canta».41
Disse Calandrino: «Dunque dee egli essere più là che Abruzzi».42
«Sì bene,» rispose Maso «si è cavelle».43
Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e 
50    senza ridere, quella fede vi dava che dar si può a qualunque verità più manifesta, e 
così l’aveva per vere;44 e disse: «Troppo ci è di lungi a’ fatti miei;45 ma se più presso 
ci fosse,46 ben ti dico che io vi verrei una volta con esso teco,47 pur per veder fare il 
tomo a quei maccheroni e tormene una satolla.48 Ma dimmi, che lieto sie tu,49 in 
queste contrade50 non se ne truova niuna di queste pietre così virtuose?»
55    A cui Maso rispose: «Sì, due maniere51 di pietre ci si truovano di grandissima virtù. 
L’una sono i macigni da Settignano e da Montisci,52 per vertù de’ quali, quando 
son macine fatti, se ne fa la farina,53 e per ciò si dice egli54 in que’ paesi di là, che da 
Dio vengono le grazie e da Montici le macine; ma ècci55 di questi macigni sì gran 
quantità, che appo noi è poco prezzata,56 come appo loro gli smeraldi, de’ quali 
60    v’ha maggior montagne che Monte Morello57 che rilucon di mezza notte vatti con 
Dio;58 e sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella prima che elle si 
forassero e portassele al soldano, n’avrebbe ciò che volesse.59 L’altra si è una pietra, 
la quale noi altri lapidarii appelliamo elitropia, pietra di troppo gran vertù, per ciò 
che qualunque persona la porta sopra di sè, mentre la tiene, non è da alcuna altra 
65    persona veduto dove non è».60
Allora Calandrin disse: «Gran virtù son queste; ma questa seconda dove si 
truova?»
A cui Maso rispose che nel Mugnone se ne solevan trovare.
Disse Calandrino: «Di che grossezza è questa pietra? O che colore è il suo?»
70    Rispose Maso: «Ella è di varie grossezze, ché alcuna n’è più e alcuna meno,61 ma 
tutte son di colore quasi come nero».
Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate,62 fatto sembianti63 d’avere 
altro a fare, si partì da Maso, e seco propose di voler cercare di questa pietra; ma 
diliberò64 di non volerlo fare senza saputa di Bruno e di Buffalmacco,65 li quali 
75    spezialissimamente amava. Diessi66 adunque a cercar di costoro, acciò che senza 
indugio e prima che alcuno altro n’andassero a cercare,67 e tutto il rimanente 
di quella mattina consumò in cercargli.68 Ultimamente,69 essendo già l’ora della 
nona70 passata, ricordandosi egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di 
Faenza,71 quantunque il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua  faccenda
80    quasi correndo n’andò a costoro, e chiamatigli, così disse loro: «Compagni, quando 
voi vogliate credermi, noi possiamo divenire i più ricchi uomini di Firenze: 
per ciò che io ho inteso da uomo degno di fede72 che in Mugnone si truova una 
pietra, la qual chi la porta sopra73 non è veduto da niun’altra persona; per che a 
me parrebbe che noi senza alcuno indugio, prima che altra persona v’andasse, 
85    v’andassimo a cercar. Noi la troverem per certo, per ciò che io la conosco;74
trovata che noi l’avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela nella scarsella75 
e andare alle tavole de’ cambiatori,76 le quali sapete che stanno sempre cariche di 
grossi77 e di fiorini,78 e torcene79 quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedrà; e così 
potremo arricchire subitamente,80 senza avere tutto dì a schiccherare le mura81
90    modo che fa la lumaca».
Bruno e Buffalmacco, udendo costui, fra sé medesimi cominciarono a ridere, e 
guatando82 l’un verso l’altro fecer sembianti83 di maravigliarsi forte, e lodarono84 
il consiglio85 di Calandrino; ma domandò Buffalmacco, come questa pietra avesse 
nome. A Calandrino, che era di grossa pasta,86 era già il nome uscito di mente; per 
95    che egli rispose: «Che abbiam noi a far del nome poi che noi sappiam la vertù? A 
me parrebbe che noi andassimo a cercare senza star più».87
«Or ben», disse Bruno «come è ella fatta?»
Calandrin disse: «Egli ne son d’ogni fatta88 ma tutte son quasi nere; per che a 
me pare che noi abbiamo a ricogliere89 tutte quelle che noi vederem nere, tanto 
100  che noi ci abbattiamo ad essa;90 e per ciò non perdiam tempo, andiamo».
A cui Bruno disse: «Or t’aspetta»;91 e volto a Buffalmacco disse: «A me pare che 
Calandrino dica bene; ma non mi pare che questa sia ora da ciò,92 per ciò che93 
il sole è alto e dà per lo Mugnone entro e ha tutte le pietre rasciutte,94 per che tali 
paion testé bianche delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il sole l’abbia 
105  rasciutte, paion nere;95 e oltre a ciò molta gente per diverse cagioni96 è oggi, che 
è dì di lavorare,97 per lo Mugnone, li quali vedendoci si potrebbono indovinare 
quello che noi andassomo faccendo e forse farlo essi altressì,98 e potrebbe venire 
alle mani a loro, e noi avremmo perduto il trotto per l’ambiadura.99 A me pare, se 
pare a voi, che questa sia opera da dover fare da mattina, che si conoscon100 meglio 
110  le nere dalle bianche, e in dì di festa, che non vi sarà persona che ci vegga».101
Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s’accordò: e ordinarono102 
che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar di questa 
pietra; ma sopra ogn’altra cosa gli103 pregò Calandrino che essi non dovesser 
questa cosa con persona del mondo ragionare,104 per ciò che a lui era stata posta 
115  in credenza.105 E ragionato questo, disse loro ciò che udito avea della contrada di 
Bengodi, con saramenti106 affermando che così era. Partito Calandrino da loro, 
essi quello che intorno a questo107 avessero a fare ordinarono fra sé medesimi.
Calandrino con disidero108 aspettò la domenica mattina: la qual venuta, in 
sul far del dì si levò. E chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel 
120  Mugnon discesi cominciarono ad andare in giù, della pietra cercando. Calandrino 
andava, come più volenteroso,109 avanti e prestamente110 or qua e or là saltando, 
dovunque alcuna pietra nera vedeva si gittava e quella ricogliendo si metteva in 
seno.111 I compagni andavano appresso, e quando una e quando un’altra ne 
ricoglievano; ma Calandrino non fu guari di via andato, che egli il seno se n’ebbe 
125  pieno,112 per che, alzandosi i gheroni113 della gonnella, che alla analda non era,114
faccendo di quegli ampio grembo bene avendogli115 alla coreggia116 attaccati d’ogni 
parte, non dopo molto gli empié,117 e similmente, dopo alquanto spazio,118 fatto 
del mantello grembo,119 quello di pietre empiè.
Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l’ora del 
130  mangiare s’avvicinava, secondo l’ordine da sé posto,120 disse Bruno a Buffalmacco:
«Calandrino dove è?»
Buffalmacco, che ivi presso sel vedea,121 volgendosi intorno e or qua e or là 
riguardando, rispose: «Io non so, ma egli era pur122 poco fa qui dinanzi da noi».
Disse Bruno: «Ben che fa poco!123 a me par egli esser certo che egli è ora a casa 
135  a desinare e noi ha lasciati nel farnetico124 d’andar cercando le pietre nere giù per 
lo Mugnone».
«Deh come egli ha ben fatto», disse allora Buffalmacco «d’averci beffati e 
lasciati qui, poscia che noi fummo sì sciocchi che noi gli credemmo. Sappi!125 chi 
sarebbe stato sì stolto, che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una 
140  così virtuosa pietra, altri che noi?»
Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse 
venuta e che per la vertù d’essa coloro, ancor che lor fosse presente, nol vedessero. 
Lieto adunque oltre modo di tal ventura,126 senza dir loro alcuna cosa, pensò 
di tornarsi a casa; e volti i passi indietro se ne cominciò a venire.127
145  Vedendo ciò, Buffalmacco disse a Bruno: «Noi128 che faremo? Ché non ce ne 
andiam noi?»
A cui Bruno rispose: «Andianne;129 ma io giuro a Dio che mai Calandrino non 
me ne farà più niuna;130 e se io gli fossi presso, come stato sono tutta mattina, io 
gli darei tale di questo ciotto nelle calcagna,131 che egli si ricorderebbe forse un 
150  mese di questa beffa»; e il dir le parole e l’aprirsi e ’l dar del ciotto nel calcagna132 
a Calandrino fu tutto uno, Calandrino, sentendo il duolo,133 levò alto il piè e cominciò 
a soffiare,134 ma pur si tacque e andò oltre.
Buffalmacco, recatosi in mano uno de’ ciottoli che raccolti avea, disse a Bruno: 
«Deh! vedi bel codolo:135 così giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino!» «e 
155  lasciato andare, gli diè con esso nelle reni una gran percossa; e in brieve in cotal 
guisa136 or con una parola, e or con una altra, su per lo Mugnone infino alla porta 
a San Gallo il vennero lapidando.137 Quindi, in terra gittate le pietre che ricolte 
aveano, alquanto con le guardie de’ gabellieri si ristettero;138 le quali, prima da 
loro informate, faccendo vista di non vedere, lasciarono andar Calandrino con 
160  le maggior risa del mondo».139 Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la 
quale era vicina al Canto alla Macina;140 e in tanto fu la fortuna piacevole141 alla 
beffa, che, mentre Calandrino per lo fiume ne venne e poi per la città, niuna
persona gli fece motto,142 come che pochi ne scontrasse per ciò che quasi a desinare 
era ciascuno.143
165  Entrossene144 adunque Calandrino così carico in casa sua.
Era per avventura la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa, bella e 
valente145 donna, in capo della scala: e alquanto turbata146 della sua lunga dimora,147 
veggendol148 venire, cominciò proverbiando149 a dire: «Mai, frate, il diavol ti 
ci reca!150 Ogni gente ha già desinato quando tu torni a desinare».
170  Il che udendo Calandrino, e veggendo che veduto era, pieno di cruccio151 e di 
dolore cominciò a gridare: «Oimè, malvagia femina, o eri tu costì? Tu m’hai diserto152 
ma in fé di Dio io te ne pagherò!»153 e salito in una sua saletta e quivi scaricate 
le molte pietre che recate avea, niquitoso154 corse verso la moglie e presala per le 
trecce la si gittò a’ piedi, e quivi, quanto egli poté menar le braccia e’ piedi, tanto 
175  le diè per tutta la persona:155 pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso 
addosso che macero156 non fosse, le diede niuna cosa valendole il chieder mercé 
con le mani in croce.157
Buffalmacco e Bruno, poi che co’ guardiani della porta ebbero alquanto riso, 
con lento passo cominciarono alquanto lontani158 a seguitar Calandrino; e giunti 
180  a piè dell’uscio159 di lui sentirono la fiera160 battitura la quale alla moglie dava, e 
faccendo vista di giugnere pure allora161 il chiamarono. Calandrino tutto sudato, 
rosso e affannato si fece alla finestra e pregogli che suso a lui dovessero andare.162 
Essi, mostrandosi alquanto turbati,163 andaron suso e videro la sala piena di pietre, 
e nell’un de’ canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta164 nel viso 
185  dolorosamente piagnere; e d’altra parte Calandrino scinto e ansando a guisa d’uom 
lasso,165 sedersi.
Dove, come alquanto ebbero riguardato, dissero: «Che è questo, Calandrino? 
vuoi tu murare,166 ché noi veggiamo qui tante pietre?» e oltre a questo soggiunsero: 
«E monna Tessa che ha? E’167 par che tu l’abbi battuta: che novelle168 son 
190  queste?» Calandrino, faticato169 dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la 
donna aveva battuta, e dal dolore della ventura la quale perduta gli pareva avere,170 
non poteva raccogliere lo spirito171 a formare intera la parola alla risposta; per che 
soprastando,172 Buffalmacco ricominciò: «Calandrino, se tu aveva altra ira,173 tu 
non ci dovevi perciò straziare174 come fatto hai; ché, poi sodotti ci avesti175 a cercar 
195  teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo,176 a guisa di due becconi 
nel Mugnon ci lasciasti, e venistitene, il che noi abbiamo forte per male; ma per 
certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai».177
A queste parole Calandrino sforzandosi rispose: «Compagni, non vi turbate,178 
l’opera sta altramenti che voi non pensate.179 Io, sventurato!, avea quella pietra trovata; 
200  e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente180 di me domandaste 
l’un l’altro, io v’era presso a men di diece braccia,181 e veggendo che voi ve ne 
venavate e non mi vedavate v’entrai innanzi,182 e continuamente poco innanzi a
voi me ne son venuto».
E, cominciandosi dall’un de’ capi,183 infino la fine raccontò loro ciò che essi fatto 
205  e detto aveano, e mostrò loro il dosso184 e le calcagna come i ciotti conci185 
gliel’avessero; e poi seguitò: «E dicovi che, entrando alla porta186 con tutte queste pietre 
in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sapete quanto esser sogliano 
spiacevoli e noiosi que’ guardiani187 a volere ogni cosa vedere; e oltre a questo ho 
trovati per la via più miei compari e amici, li quali sempre mi soglion far motto188 
210  e invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza, sì come quegli che 
non mi vedeano.189 Alla fine, giunto qui a casa, questo diavolo di questa femina 
maladetta mi si parò dinanzi ed ebbemi veduto,190 per ciò che, come voi sapete, le 
femine fanno perder la vertù a ogni cosa: di che io, che mi poteva dire il più avventurato191 
uom di Firenze, sono rimaso il più sventurato; e per questo l’ho tanto battuta 
215  quant’io ho potuto menar le mani e non so a quello che io mi tengo che io non le 
sego le veni,192 che maladetta sia l’ora che io prima la vidi193 e quand’ella mi venne 
in questa casa!» E raccesosi nell’ira, si voleva levar per tornare a batterla da capo.
Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte 
e spesso affermavano194 quello che Calandrino diceva, e avevano sì gran voglia di 
220  ridere, che quasi scoppiavano; ma vedendolo furioso levare195 per battere un’altra 
volta la moglie, levatiglisi allo ’ncontro il ritennero,196 dicendo di queste cose 
niuna colpa aver la donna ma egli che sapeva che le femine facevano perdere la 
vertù alle cose e non le aveva detto che ella si guardasse197 d’apparirgli innanzi 
quel giorno: il quale avvedimento198 Idio gli aveva tolto o per ciò che la ventura199 
225  non doveva esser sua, o perch’egli aveva in animo d’ingannare i suoi compagni, a’ 
quali, come s’avvedeva200 averla trovata, il doveva palesare.201
E dopo molte parole, non senza gran fatica, la dolente donna riconciliata con 
essolui202 e lasciandol malinconoso203 con la casa piena di pietre, si partirono.

 >> pagina 650 

ANALISI ATTIVA

I contenuti tematici

Il testo si apre con la presentazione dei personaggi: Calandrino, Bruno, Buffalmacco e Maso del Saggio. Sono tutti pittori attivi a Firenze nel primo Trecento, ma mentre Calandrino è uom semplice e di nuovi costumi (r. 12), Bruno e Buffalmacco – oltre a essere uomini sollazzevoli molto (r. 13), che è la ragione per cui Calandrino ama frequentarli – sono avveduti e sagaci (r. 14). Essi, a loro volta, frequentano Calandrino per ciò che de’ suoi modi e della sua simplicità sovente gran festa prendevano (rr. 14-15). Dunque è da subito evidente una fondamentale asimmetria nei rapporti: mentre l’amicizia di Calandrino verso gli altri due è ingenua, Bruno e Buffalmacco hanno da tempo individuato in lui un oggetto di divertimento, senza che egli lo sospetti.

Maso, a sua volta, si pone sullo stesso piano di Bruno e Buffalmacco. È lui, infatti, a innescare la prima beffa, incantando Calandrino con strani discorsi su paesi meravigliosi e pietre “virtuose”. Lo sciocco abbocca, ed ecco le premesse per la beffa successiva, su cui è incentrata la novella. Questa volta, però, è lo stesso Calandrino a mettersi da solo nel sacco, ovviamente senza accorgersene: nel momento in cui informa Bruno e Buffalmacco della notizia, comunicatagli da Maso, dell’esistenza di una pietra favolosa (l’elitropia) capace di rendere invisibile chi la porti su di sé, i due amici trovano subito, con un semplice scambio di sguardi (guatando l’un verso l’altro, r. 92), l’intesa per beffare il collega credulone.

 >> pagina 651 

1. Suddividi tutto il testo in sequenze, attribuendo a ciascuna di esse un titolo adeguato.


2. Bruno consiglia di rinviare la ricerca della pietra alla domenica mattina. Perché?


3. Quali sono le fantasiose attrazioni del paese di Bengodi?

Il personaggio di Calandrino appare da subito come un sempliciotto piuttosto bizzarro. Non a caso, si beve tutte le storie strampalate raccontategli da Maso del Saggio, che, con il suo discorso sull’elitropia, prepara inconsapevolmente la beffa che poi sarà ordita da Bruno e Buffalmacco. Il suo principale punto di debolezza può essere forse individuato in «una capacità immaginativa superiore al comune, poiché è disposto a vedere cose che gli uomini normali riterrebbero inverosimili» (Asor Rosa).

Ignorante com’è, il protagonista della novella è soprattutto sciocco, ma anche piuttosto presuntuoso, giacché è convinto di poter riconoscere facilmente l’elitropia. Come ha scritto il critico Natalino Sapegno, in lui «la sciocchezza si complica di avarizia e di stolida diffidenza, e di non so quale persuasione di furberia». All’origine della sua creduloneria c’è in effetti la cupidigia, che affiora nella frenesia dell’affannosa ricerca della pietra magica e nell’intenzione di recarsi alle tavole dei cambiavalute: diventare invisibile gli consentirebbe (questa è la sua intenzione) di arricchirsi illecitamente e quando si convince, per lo scherzo di Bruno e Buffalmacco, di aver trovato la pietra che lo rende tale, non si palesa ai compagni che crede non lo stiano vedendo.

La stupidità di Calandrino si manifesta anche, alla fine della novella, nella violenza che sfoga percuotendo la moglie, poiché crede che un suo malefico influsso, in quanto femmina, abbia posto fine al magico influsso della pietra. In ciò affiora un certo pregiudizio misogino, tipico, per molti aspetti, della cultura e della società medievali. Ma Boccaccio, che alle donne aveva dedicato il Decameron, non condivide tale visione, ed è evidente, se consideriamo il punto di vista da cui la vicenda è narrata (teso a mettere alla berlina Calandrino), la condanna – da parte dell’autore – della mentalità antifemminile del personaggio e del suo violento comportamento.

4. Trova nel testo altri riferimenti alla dabbenaggine del protagonista.

5. Nel sottolineare l’affannosa ricerca di Calandrino, Boccaccio usa più volte lo stesso verbo. Quale?

6. Da quali atti e parole del personaggio puoi ricavare la sua presunzione?

7. Rintraccia nel testo i passaggi in cui emerge la disonestà di Calandrino.

8. Individua le frasi in cui emerge la visione misogina di Calandrino e quelle in cui il narratore evidenzia la sua aggressività nei confronti della moglie.

Lo strumento attraverso cui Calandrino viene beffato è la parola. Boccaccio in questa e in altre novelle del Decameron celebra l’arte di parlare come segno di intelligenza e di distinzione culturale, ma anche – come in questo caso – quale mezzo per esercitare un potere sugli altri. Possiamo apprezzare questa capacità di utilizzare il linguaggio in maniera efficace ai fini della beffa innanzitutto nel discorso di Maso e poi anche nelle battute rivolte da Bruno e Buffalmacco a Calandrino. In fondo, è tramite la parola che i due amici “fanno sparire” Calandrino, fingendo di non vederlo più e parlando di lui come se non fosse presente.

 >> pagina 652 

9. In quali frasi ed espressioni trovi riscontro a questo abile utilizzo della parola?

Le scelte stilistiche

Torniamo al discorso iniziale di Maso. Egli parla di luoghi favolosi dove avvengono cose meravigliose, utilizzando frasi equivoche e numeri immaginari. I suoi doppi sensi e giochi di parole non vengono percepiti come tali da Calandrino, il quale, sprovvisto di intelligenza ma anche di senso dell’umorismo, prende come oro colato quanto il suo interlocutore gli dice. L’anfibologia delle sue parole stabilisce un doppio livello di significati: Calandrino percepisce soltanto quello letterale, che non mette in discussione, ma che anzi, distratto (o meglio “astratto” dalla realtà) com’è, si fa scivolare addosso come se nulla fosse; il lettore, invece, intende un secondo livello di senso, basato sull’assurdità delle affermazioni e sulla loro comicità. In tal modo si stabilisce, tra Boccaccio (che possiamo intravedere dietro al personaggio di Maso del Saggio) e chi legge, un rapporto – anche in questo caso – di complicità: il narratore, per bocca di Maso del Saggio, sbeffeggia Calandrino, il quale non se ne accorge affatto; ce ne accorgiamo però noi che leggiamo la novella. L’autore può così riaffermare la propria simpatia verso coloro che sanno utilizzare il proprio ingegno con destrezza e, al tempo stesso, irridere chi si rivela sciocco e credulone.

10. Individua, nelle battute di Maso del Saggio, esempi di anfibologia.

La narrazione in terza persona e i dialoghi tra i vari personaggi sono tra loro in perfetto equilibrio per conferire al testo un ritmo narrativo veloce ed efficace, al punto che la vicenda, per quanto possa sembrare paradossale, finisce per diventare credibile agli occhi del lettore man mano che se ne segue lo svolgimento. Qui Boccaccio si mostra infatti abilissimo nel passare da dialoghi realistici a momenti di pura invenzione verbale (il discorso di Maso del Saggio), da scene dalle caratteristiche quasi teatrali alla descrizione realistica dei personaggi, fino a momenti di comicità surreale. In particolare, lo studioso Mario Baratto ha parlato, a proposito di questa novella, di «un racconto che si traduce in esatta misura di commedia, a quadri successivi, dove notazione gestuale e dialogo si compenetrano felicemente a delineare la maschera di Calandrino».

11. Distingui le parti diegetiche (diegesi) da quelle mimetiche (mimesi). Quale dei due livelli narrativi ti sembra prevalere? Con quali effetti, secondo te?

12. Sottolinea nel testo le frasi fatte e i frusti modi di dire che Boccaccio mette in bocca a Calandrino.

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

In fin dei conti, quella subita da Calandrino è una beffa inoffensiva: certo, si tratta di uno scherzo un po’ sadico ma non va oltre i limiti della burla. Purtroppo non è sempre così: il gioco della derisione può diventare vessazione e il divertimento tramutarsi in persecuzione e molestia, comportamenti sanzionati dall’articolo 660 del Codice penale.


• Questi atti di intimidazione non sempre si concretizzano in violenza fisica e oggi si verificano con sempre maggior frequenza in Rete: in tal caso si parla di cyberbullismo. Prova a definire il fenomeno e commentalo in un dibattito in classe.

Il magnifico viaggio - volume 1
Il magnifico viaggio - volume 1
Dalle origini al Trecento