T4 - La peste e la brigata

T4

La peste e la brigata

Decameron, I, Introduzione

Nell’Introduzione alla Prima giornata (che di fatto, come abbiamo detto, funge da introduzione all’intera opera) viene descritta la peste a Firenze e, subito dopo, si racconta della decisione dei dieci giovani della brigata di sfuggire al contagio recandosi nel contado. In un ambiente diverso si sperimenteranno nuove condizioni di vita, sottratte al disordine (materiale e morale) che l’epidemia ha prodotto in città. E soprattutto si deciderà di narrare le novelle che andranno a costituire il Decameron. Ne riportiamo alcuni passi significativi.

[…] Maravigliosa1 cosa è a udire quello che io debbo dire: il che, se dagli occhi di 
molti e da’ miei non fosse stato veduto, appena che io ardissi di crederlo, non che 
di scriverlo, quantunque da fededegna udito l’avessi.2 Dico che di tanta efficacia 
fu la qualità3 della pestilenzia narrata nello appiccarsi4 da uno a altro, che non 
5      solamente l’uomo all’uomo,5 ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente 
fece, cioè che la cosa dell’uomo infermo stato,6 o morto di tale infermità, tocca7 
da un altro animale fuori della spezie dell’uomo, non solamente della infermità il 
contaminasse ma quello infra brevissimo spazio uccidesse. Di che gli occhi miei, 
sì come poco davanti è detto, presero tra l’altre volte un dì così fatta esperienza:8 
10    che, essendo gli stracci d’un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via 
publica e avvenendosi a essi9 due porci, e quegli secondo il lor costume prima 
molto col grifo10 e poi co’ denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora 
appresso, dopo alcuno avvolgimento,11 come se veleno avesser preso, amenduni12 
sopra li mal tirati stracci13 morti caddero in terra.
15    Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o maggiori nacquero 
diverse paure e imaginazioni14 in quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi a un fine 
tiravano15 assai crudele, ciò era di schifare16 e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e 
così faccendo, si credeva ciascuno a se medesimo salute acquistare. E erano alcuni, 
li quali avvisavano17 che il viver moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità18 
20    avesse molto a così fatto accidente resistere:19 e fatta lor brigata,20 da ogni altro 
separati viveano, e in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi, dove niuno infermo 
fosse e da viver meglio, dilicatissimi cibi e ottimi vini temperatissimamente21 
usando e ogni lussuria22 fuggendo, senza lasciarsi parlare a23 alcuno o volere di 
fuori, di morte o d’infermi, alcuna novella24 sentire, con suoni e con quegli piaceri 
25    che aver poteano si dimoravano.
Altri, in contraria opinion tratti,25 affermavano il bere assai e il godere e l’andar 
cantando a torno e sollazzando e il sodisfare d’ogni cosa all’appetito che si potesse 
e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male:26
così come il dicevano il mettevano in opera a lor potere,27 il giorno e la notte ora a 
30    quella taverna ora a quella altra andando, bevendo senza modo28 e senza misura, 
e molto più ciò per l’altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero che lor 
venissero a grado o in piacere.29 E ciò potevan far di leggiere,30 per ciò che ciascun, 
quasi non più viver dovesse, aveva, sì come sé, le sue cose messe in abandono: di 
che le più delle case erano divenute comuni, e così l’usava lo straniere, pure che 
35    a esse s’avvenisse, come l’avrebbe il proprio signore usate;31 e con tutto questo 
proponimento bestiale sempre gl’infermi fuggivano a lor potere.32 E in tanta 
afflizione e miseria della nostra città era la reverenda33 auttorità delle leggi, così divine 
come umane, quasi caduta e dissoluta34 tutta per li ministri e essecutori di quelle, 
li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famiglie rimasi 
40    stremi,35 che uficio36 alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun 
licito quanto a grado gli era d’adoperare.37
Molti altri servavano,38 tra questi due39 di sopra detti, una mezzana via,40 non 
strignendosi41 nelle vivande quanto i primi né nel bere e nell’altre dissoluzioni 
allargandosi quanto i secondi, ma a sofficienza secondo gli appetiti le cose usavano 
45    e senza rinchiudersi andavano a torno,42 portando nelle mani chi fiori, chi erbe 
odorifere e chi diverse maniere di spezierie,43 quelle al naso ponendosi spesso, 
estimando essere ottima cosa il cerebro con cotali odori confortare, con ciò fosse 
cosa che l’aere tutto paresse dal puzzo de’ morti corpi e delle infermità e delle 
medicine compreso e puzzolente.44
50    Alcuni erano di più crudel sentimento,45 come che per avventura più fosse 
sicuro,46 dicendo niuna altra medicina essere contro alle pistilenze migliore 
né così buona come il fuggir loro davanti: e da questo argomento mossi, non 
curando d’alcuna cosa se non di sé, assai e uomini e donne abbandonarono la 
propria città, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono 
55    l’altrui o almeno il lor contado,47 quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli 
uomini con quella pistolenza non dove fossero procedesse, ma solamente a 
coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor città si trovassero, commossa 
intendesse, o quasi avvisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua 
ultima ora esser venuta.48
60    E come che49 questi così variamente oppinanti50 non morissero tutti, non 
per ciò tutti campavano: anzi, infermandone di ciascuna molti51 e in ogni luogo, 
avendo essi stessi, quando sani erano, essemplo dato a coloro che sani 
rimanevano, quasi abbandonati per tutto languieno.52 E lasciamo stare che l’uno 
cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti 
65    insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano:53 era con sì fatto 
spavento questa tribulazione54 entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un 
fratello l’altro abbandonava e il zio il nepote e la sorella il fratello e spesse volte 
la donna il suo marito; e, che maggior cosa è e quasi non credibile, li padri e le 
madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano. Per la 
70    qual cosa a coloro, de’ quali era la moltitudine inestimabile, e maschi e femine, 
che infermavano, niuno altro subsidio55 rimase che o la carità56 degli amici (e di 
questi fur pochi) o l’avarizia57 de’ serventi, li quali da grossi salari e sconvenevoli 
tratti servieno,58 quantunque per tutto ciò molti non fossero divenuti:59 e quegli 
cotanti60 erano uomini o femine di grosso ingegno,61 e i più di tali servigi non 
75    usati,62 li quali quasi di niuna altra cosa servieno che di porgere alcune cose 
dagl’infermi adomandate o di riguardare63 quando morieno; e servendo in tal 
servigio sé molte volte col guadagno perdeano.64 E da questo essere abbandonati 
gl’infermi da’ vicini, da’ parenti e dagli amici e avere scarsità di serventi, discorse65 
uno uso quasi davanti66 mai non udito: che niuna, quantunque leggiadra o 
80    bella o gentil donna fosse, infermando non curava d’avere a’ suoi servigi uomo,67 
qual che egli si fosse o giovane o altro, e a lui senza alcuna vergogna ogni parte 
del corpo aprire68 non altramenti che a una femina avrebbe fatto, solo che69 la 
necessità della sua infermità il richiedesse; il che in quelle che ne guerirono fu 
forse di minore onestà, nel tempo che succedette, cagione. E oltre a questo ne 
85    seguio70 la morte di molti che per avventura, se stati fossero atati,71 campati 
sarieno;72 di che,73 tra per lo difetto74 degli oportuni servigi, li quali gl’infermi aver 
non poteano, e per la forza della pistolenza, era tanta nella città la moltitudine 
di quegli che di dì e di notte morieno, che uno stupore era a udir dire, non che 
a riguardarlo.75 Per che, quasi di necessità, cose contrarie a’ primi costumi de’ 
90    cittadini nacquero tra coloro li quali rimanean vivi.
Era usanza, sì come ancora oggi veggiamo usare, che le donne parenti e vicine 
nella casa del morto si ragunavano e quivi con quelle che più gli appartenevano76 
piagnevano; e d’altra parte77 dinanzi la casa del morto co’ suoi prossimi78 si 
ragunavano i suoi vicini e altri cittadini assai, e secondo la qualità79 del morto vi 
95    veniva il chericato;80 e egli sopra gli omeri de’ suoi pari,81 con funeral pompa di 
cera82 e di canti, alla chiesa da lui prima eletta anzi la morte83 n’era portato. Le 
quali cose, poi che a montar cominciò84 la ferocità della pistolenza, o in tutto o 
in maggior parte quasi cessarono e altre nuove in lor luogo85 ne sopravennero. 
Per ciò che, non solamente senza aver molte donne da torno morivan le genti, 
100  ma assai n’eran di quegli che di questa vita senza testimonio86 trapassavano: 
e pochissimi erano coloro a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ suoi 
congiunti fossero concedute,87 anzi in luogo di quelle s’usavano per li più88 risa 
e motti e festeggiar compagnevole;89 la quale usanza le donne, in gran parte 
postposta la donnesca pietà,90 per salute di loro91 avevano ottimamente appresa. 
105  E erano radi coloro i corpi de’ quali fosser più che da un diece o dodici de’ 
suoi vicini alla chiesa acompagnato; de’ quali non gli orrevoli e cari92 cittadini 
ma una maniera di  beccamorti sopravenuti di minuta gente93 (che chiamar si 
facevan becchini, la quale questi servigi prezzolata faceva) sotto entravano alla 
bara;94 e quella con frettolosi passi, non a quella chiesa che esso95 aveva anzi la 
110  morte disposto ma alla più vicina le più volte il portavano, dietro a quatro o a 
sei cherici con poco lume e tal fiata96 senza alcuno; li quali con l’aiuto de’ detti 
becchini, senza faticarsi in troppo lungo oficio o solenne, in qualunque sepoltura97 
disoccupata trovavano più tosto il mettevano. […]
98 fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente,99 né avvenne 
115  pure100 una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la 
moglie e ’l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente 
ne contenieno.101 E infinite volte avvenne che, andando due preti con una croce 
per alcuno, si misero tre o quatro bare, da’ portatori portate, di dietro a quella: e, 
dove un morto credevano avere i preti a sepellire, n’avevano sei o otto e tal fiata 
120  più. […] Alla gran moltitudine de’ corpi mostrata, che a ogni chiesa ogni dì e 
quasi ogn’ora concorreva portata,102 non bastando la terra sacra alle sepolture, e 
massimamente volendo dare a ciascun luogo proprio103 secondo l’antico costume, 
si facevano per gli cimiterii delle chiese, poi che ogni parte era piena, fosse 
grandissime nelle quali a centinaia si mettevano i sopravegnenti:104 e in quelle stivati, 
125  come si mettono le mercatantie105 nelle navi a suolo a suolo,106 con poca terra si 
ricoprieno infino a tanto che della fossa al sommo si pervenia. […]
Che più si può dire, […] se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo, e forse in 
parte quella degli uomini, che infra ’l marzo e il prossimo luglio vegnente, tra107 
per la forza della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o 
130  abbandonati ne’ lor bisogni per la paura ch’aveono i sani, oltre a centomilia creature 
umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita 
tolti, che forse, anzi l’accidente  mortifero,108 non si saria estimato tanti avervene 
dentro avuti?109 O quanti gran palagi, quante belle case, quanti nobili abituri110 per 
adietro111 di famiglie pieni, di signori e di donne, infino al menomo fante112 rimaser 
135  voti! O quante memorabili schiatte,113 quante ampissime eredità, quante famose 
ricchezze si videro senza successor debito rimanere! Quanti valorosi uomini, 
quante belle donne, quanti leggiadri giovani, li quali non che altri, ma Galieno, 
Ipocrate o Esculapio114 avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono115 co’ lor 
parenti, compagni e amici, che poi la sera vegnente appresso nell’altro mondo 
140  cenaron con li lor passati!116
A me medesimo incresce andarmi tanto tra tante miserie ravolgendo:117 per che, 
volendo omai lasciare star quella parte di quelle che io acconciamente118 posso 
schifare, dico che, stando in questi termini la nostra città, d’abitatori quasi vota, 
addivenne,119 sì come io poi da persona degna di fede sentii, che nella venerabile chiesa 
145  di Santa Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, 
uditi li divini ufici in abito lugubre120 quale a sì fatta stagione si richiedea,121 si 
ritrovarono sette giovani donne tutte l’una all’altra o per amistà122 o per vicinanza o 
per parentado congiunte, delle quali niuna il venti e ottesimo anno passato avea né 
era minor di diciotto, savia123 ciascuna e di sangue nobile e bella di forma e ornata di 
150  costumi e di leggiadra onestà.124 Li nomi delle quali io in propria forma racconterei, 
se giusta cagione da dirlo non mi togliesse,125 la quale è questa: che io non voglio 
che per le raccontate cose da loro, che seguono, e per l’ascoltate nel tempo avvenire, 
alcuna di loro possa prender vergogna,126 essendo oggi alquanto ristrette127 le leggi 
al piacere, che allora, per le cagioni di sopra mostrate, erano non che alla loro età 
155  ma a troppo più matura larghissime;128 né ancora dar materia agl’invidiosi, presti a 
mordere129 ogni laudevole vita, di diminuire in niuno atto l’onestà delle valorose 
donne con isconci parlari.130 E però,131 acciò che quello che ciascuna dicesse senza 
confusione si possa comprendere appresso,132 per nomi alle qualità di ciascuna 
convenienti133 o in tutto o in parte intendo di nominarle: delle quali la prima, e quella 
160  che di più età era, Pampinea chiameremo e la seconda Fiammetta, Filomena la terza 
e la quarta Emilia, e appresso Lauretta diremo alla quinta e alla sesta Neifile, e 
l’ultima Elissa non senza cagion nomeremo.134
Le quali, non già da alcuno proponimento tirate ma per caso in una delle parti 
della chiesa adunatesi, quasi in cerchio a seder postesi, dopo più sospiri lasciato 
165  stare il dir de’ paternostri,135 seco della qualità del tempo molte e varie cose 
cominciarono a ragionare. […]

[Pampinea lancia la proposta di reagire al presente stato di prostrazione della città e di 
pericolo per le loro stesse vite, lasciando Firenze per un’amena destinazione. Filomena 
accenna però alle difficoltà che incontrerebbe il loro gruppo senza un accompagnamento 
maschile; quand’ecco che, proprio in quel momento, entrano in chiesa tre giovani uomini, 
i cui nomi fittizi sono Panfilo, Filostrato e Dioneo. A loro le fanciulle decidono di estendere 
l’idea: alla richiesta di accompagnarle, essi accettano di buon grado. Il giorno seguente 
la brigata dei dieci lascia Firenze, insieme con la servitù, per raggiungere un luogo che 
dista soltanto due miglia dalla città.]
Era il detto luogo sopra una piccola montagnetta, da ogni parte lontano alquanto 
alle136 nostre strade, di137 varii arbuscelli e piante tutte di verdi fronde ripiene 
piacevole a riguardare; in sul colmo della quale era un palagio con bello e gran 
170  cortile nel mezzo, e con logge e con sale e con camere, tutte ciascuna verso di sé138 
bellissima e di liete dipinture raguardevole e ornata,139 con pratelli da torno e con 
giardini maravigliosi e con pozzi d’acque freschissime e con volte140 di preziosi 
vini: cose più atte a curiosi bevitori141 che a sobrie e oneste donne. Il quale tutto 
spazzato, e nelle camere i letti fatti, e ogni cosa142 di fiori quali nella stagione si 
175  potevano avere piena e di giunchi giuncata143 la vegnente brigata trovò con suo 
non poco piacere. […]

[Si stabilisce di eleggere, per ogni giorno, un re o una regina che stabilisca per tutti 
le regole della convivenza. Per la Prima giornata la regina sarà Pampinea, che propone di 
trascorrere il tempo «novellando».]
Licenziata adunque dalla nuova reina la lieta brigata, li giovani insieme con le belle 
donne, ragionando dilettevoli cose, con lento passo si misero per un giardino, belle 
ghirlande di varie frondi faccendosi e amorosamente cantando. E poi che in quello 
180  tanto fur dimorati quanto di spazio dalla reina avuto aveano,144 a casa tornati 
trovarono Parmeno145 studiosamente aver dato principio al suo ufficio,146 per ciò che, 
entrati in una sala terrena, quivi le tavole messe147 videro con tovaglie bianchissime 
e con bicchieri che d’ariento parevano,148 e ogni cosa di fiori di ginestra coperta; per 
che, data l’acqua alle mani, come piacque alla reina, secondo il giudicio di Parmeno 
185  tutti andarono a sedere. Le vivande dilicatamente fatte vennero e finissimi vini fur 
presti:149 e senza più, chetamente150 li tre famigliari151 servirono le tavole. Dalle quali 
cose, per ciò che belle e ordinate erano, rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e 
con festa mangiarono. E levate le tavole con ciò fosse cosa che152 tutte le donne 
carolar153 sapessero e similmente i giovani e parte di loro ottimamente e sonare e cantare, 
190  comandò la reina che gli strumenti venissero;154 e per comandamento di lei, Dioneo 
preso un liuto e la Fiammetta una viuola, cominciarono soavemente una danza a 
sonare; per che la reina con l’altre donne insieme co’ due giovani presa una carola,155 
con lento passo, mandati i famigliari a mangiare, a carolar cominciarono; e quella 
finita, canzoni vaghette e liete cominciarono a cantare. E in questa maniera stettero 
195  tanto che tempo parve156 alla reina d’andare a dormire: per che, data a tutti la licenzia, 
li tre giovani alle lor camere, da quelle delle donne separate, se n’andarono, le 
quali co’ letti ben fatti e così di fiori piene come la sala trovarono, e simigliantemente 
le donne le loro: per che, spogliatesi, s’andarono a riposare.
Non era di molto spazio sonata nona,157 che la reina levatasi tutte l’altre fece 
200  levare e similmente i giovani, affermando esser nocivo il troppo dormire il giorno: 
e così se ne andarono in un pratello nel quale l’erba era verde e grande158 né 
vi poteva d’alcuna parte il sole;159 e quivi, sentendo un soave venticello venire, sì 
come volle la lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a sedere, a’ 
quali ella disse così: «Come voi vedete, il sole è alto e il caldo è grande, né altro 
205  s’ode che le cicale su per gli ulivi, per che l’andare al presente in alcun luogo 
sarebbe senza dubbio sciocchezza. Qui è bello e fresco stare, e hacci,160 come voi 
vedete, e tavolieri161 e scacchieri, e puote ciascuno, secondo che all’animo gli è più 
di piacere, diletto pigliare. Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, 
nel quale l’animo dell’una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere 
210  dell’altra o di chi sta a vedere, ma novellando (il che può porgere, dicendo uno, a 
tutta la compagnia che ascolta diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo. 
Voi non avrete compiuta162 ciascuno di dire una sua novelletta, che il sole fia declinato163 
e il caldo mancato, e potremo, dove più a grado vi fia, andare prendendo 
diletto: e per ciò, quando questo che io dico vi piaccia, ché disposta sono in ciò di 
215  seguire il piacer vostro, facciànlo;164 e dove non vi piacesse, ciascuno infino all’ora 
del vespro quello faccia che più gli piace».
Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare.
«Adunque», disse la reina «se questo vi piace, per questa prima giornata voglio 
che libero sia a ciascuno di quella materia ragionare che più gli sarà a grado».165
 >> pagina 481

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Questo lungo brano tratto dall’Introduzione alla Prima giornata può essere suddiviso in due parti: nella prima si descrivono i terribili effetti della pestilenza del 1348; nella seconda si narra di come sette fanciulle e tre giovani decidano di rifugiarsi in un luogo ameno fuori città, stabilendo in seguito di occupare il proprio tempo narrando ciascuno una novella ogni giorno (esclusi il venerdì e il sabato, dedicati alle preghiere). La descrizione della peste è attenta e minuziosa. Boccaccio, però, non si limita a sottolineare la gravità del male o a elencare le scene orribili a cui la malattia ha dato origine, ma si sofferma ad analizzare le conseguenze morali e civili da essa provocate. In particolare l’autore mostra come la peste abbia finito per soffocare i sentimenti migliori degli esseri umani, quali la pietà e la carità nei confronti dei propri simili.

La peste ha dunque provocato una situazione di sostanziale disordine morale: gli animi delle persone si sono induriti, gli infermi vengono spesso abbandonati, la reverenda auttorità delle leggi, così divine come umane (rr. 37-38) è venuta meno, si è diffusa una generale dissolutezza ecc. A tutto ciò reagisce la brigata dei dieci giovani, scegliendo di ricostituire, in un luogo lontano dal contagio della malattia e dai suoi effetti devastanti, quelle basi di moralità e civiltà che a Firenze sembrano fortemente compromesse. Tutto è bello e ordinato (Dalle quali cose, per ciò che belle e ordinate erano, rallegrato ciascuno…, rr. 186-187): appare chiaro, così, come il palazzo, il giardino (rappresentato secondo i canoni tipici del topos classico del locus amoenus: l’erba, l’ombra, la brezza ecc.), la stessa organizzazione quotidiana del tempo della brigata siano nettamente contrapposti a quanto ci si è lasciato alle spalle. Si tratta, in qualche modo, di rifondare la civiltà, riscrivendone le regole: ciò dimostra come l’intento di Boccaccio sia quello di offrire, con quest’opera, non soltanto svago e diletto, ma anche un preciso quadro di valori etici e sociali.
Uno scrittore completamente immerso nella mentalità medievale, se avesse scelto di trattare in una propria opera la peste e le sue conseguenze, avrebbe improntato questa descrizione a intenti morali e religiosi ben definiti, parlando del terribile flagello come di una punizione divina e sollecitando così, nei suoi lettori, un memento mori, cioè una riflessione sulla precarietà della vita terrena. Invece nella nuova prospettiva di Boccaccio, lo scrittore – che pure alla peste annette, come abbiamo visto, un significato simbolico (la disgregazione della civiltà ecc.) – si lascia guidare, da un certo punto in poi, dal puro gusto del narrare. In altre parole, il teatro della peste è funzionale soprattutto a far sentire maggiormente la dolcezza del vivere: l’«orrido cominciamento» della peste serve a far risaltare ancora di più la serenità del luogo dove si rifugiano i dieci giovani. Non appena essi vi giungono, gli orrori dell’epidemia sono per loro già un lontano ricordo.
Tuttavia il significato della cornice non si esaurisce in quanto abbiamo detto sin qui: le sue valenze sono, a giudizio di alcuni critici, anche altre. Per esempio per lo studioso Franco Cardini la cornice del Decameron, con le tragiche descrizioni del sovvertimento sociale e familiare causato dalla peste, è comparabile alla «selva oscura» del primo canto della Divina Commedia. Allo stesso modo il percorso compiuto dai dieci giovani nei dieci giorni che trascorreranno narrando è equiparabile a un cammino iniziatico, a un viaggio all’interno di sé stessi, all’attraversamento del male per il raggiungimento del bene o, come diremmo oggi, a una sorta di “terapia di gruppo”, grazie alla quale vengono superati il senso di morte e i traumi causati dalla pestilenza (molti dei giovani, e specialmente delle giovani, sembrano aver perso tutti i propri familiari), ma anche e soprattutto le conseguenze negative di un’etica debole o corrotta.

Le scelte stilistiche

L’andamento del periodare appare ordinato e solenne, nella lentezza e nell’ampiezza delle frasi. La descrizione di Boccaccio potrebbe dunque sembrare, a prima vista, quasi fredda e distaccata; in realtà, leggendo con attenzione, si colgono i sentimenti dell’autore: l’amarezza, lo sdegno, l’orrore. La sua partecipazione emotiva è sottolinea­ta dal periodo con cui si conclude la descrizione della peste (Che più si può dire, […] se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo…, rr. 127 e ss.): un periodo retoricamente sostenuto, che rende il senso di sgomento dell’autore di fronte agli effetti del terribile morbo. Più semplice e pacata è invece la sintassi della parte relativa alla descrizione della vita della brigata in campagna: l’ordine che i giovani hanno ritrovato nell’esperienza di isolamento dal male si riflette sul piano stilistico.

 >> pagina 482 

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Sintetizza le quattro diverse teorie relative al modo di sfuggire la peste e i comportamenti che ne conseguono.


2 A proposito di coloro che per denaro assistono gli appestati, l’autore scrive: e servendo in tal servigio sé molte volte col guadagno perdeano (rr. 76-77). Che cosa vuol dire?


3 Quale usanza funebre viene descritta da Boccaccio?


4 Boccaccio afferma che tra il marzo e il luglio del 1348 a Firenze

  • a rimasero in vita centomila persone. 
  • b si ammalarono centomila persone. 
  • c guarirono centomila persone. 
  • d morirono centomila persone. 

ANALIZZARE

5 Per quale motivo, all’inizio del brano, l’autore sottolinea il fatto di essere stato testimone oculare della peste?


6 Quali comportamenti dei suoi concittadini durante la peste sono particolarmente biasimati da Boccaccio e perché?


7 Individua, nel passo compreso tra le rr. 114-126, tutti termini indicanti numero o quantità: che cosa vogliono sottolineare?


8 L’autore ha molto a cuore l’onorabilità e la rispettabilità dei componenti della brigata: da che cosa lo si capisce?


9 Per quale motivo Pampinea propone di passare il tempo novellando? A quale altro passatempo lo contrappone e perché?

INTERPRETARE

10 L’autore riesce a dare una spiegazione delle cause della pestilenza? Che tipo di mentalità ne emerge?


11 A quali principi e valori si ispira la vita della brigata nel palagio? Sono valori cortesi o borghesi? Esponi le tue considerazioni.

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

OBIETTIVO
3 SALUTE E BENESSERE


Nella parte iniziale dell’Introduzione (r. 17) Boccaccio descrive come, all’infuriare dell’epidemia, molti reagirono abbandonando a sé stessi «gl’infermi». Ancora oggi, specie in alcune zone del mondo (anche quelle più progredite), non sempre ai più deboli è garantito il diritto alla salute. L’articolo 32 della Costituzione italiana afferma: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».


• Ti sembra che sia sempre così? Ragiona su questo tema in un testo argomentativo, portando esempi concreti (non basati sul “sentito dire”, ma su dati e fonti autorevoli) a sostegno della tua tesi.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento