Verso l’esame di Stato – Allenarsi alla prima prova

Verso l esame di Stato Allenarsi alla prima prova Tipologia B Analisi e produzione di un testo argomentativo MARCO SANTAGATA La teoria politica di Dante: i due soli Nel canto VI del Purgatorio Dante auctor prorompe in un invettiva che coinvolge l Italia, il clero corrotto, l imperatore e Firenze. Dante è convinto che Impero e Papato siano fondamentali, entrambi autonomi e indipendenti l uno dall altro: il primo detiene il potere temporale, mentre il secondo è il punto di riferimento morale e religioso. Il poeta fiorentino giustifica la necessità dei due poteri distinti sottolineando i due differenti fini della vita umana: la felicità in questa vita e la beatitudine (ovvero salvezza) nell altra. Possiamo trovare ben espresso il pensiero politico di Dante nel trattato De monarchia, scritto probabilmente nel 1313. All epoca della sua diffusione l opera venne strumentalizzata dai sostenitori delle tesi filo imperiali oppure fu considerata anacronistica, perché rilanciava le due istituzioni tipicamente medioevali, Impero e Chiesa, ormai pienamente in crisi nei primi decenni del Trecento. Fu persino bruciata al rogo nel 1329. Più tardi, nel Cinquecento, venne posta all indice per secoli, fino al 1881. Da altri venne interpretata e asservita a fini politici. Ora, al di là delle strumentalizzazioni che ne sono state fatte, gioverà riflettere su alcune considerazioni del trattato per giudicare più correttamente e senza pregiudizi il valore della posizione di Dante a partire dalla genesi dell opera e dai contenuti dei libri. Ci aiuteranno nel percorso alcune pagine della biografia su Dante scritta dallo studioso Marco Santagata. 10 20 Quasi certamente Dante è presente alle esequie imperiali. Doveva essersi trasferito a Pisa, al seguito della corte, nei primi giorni di marzo 1312. Per quanto ne sappiamo, era la prima volta che metteva piede in questa città. Quasi un quarto di secolo prima, giovane feditore a cavallo, dopo aver assistito alla resa di Caprona si era spinto con l esercito fiorentino fin sotto le sue mura, efficacemente difese da Guido da Montefeltro, ma né allora né dopo vi era entrato. Adesso lo faceva non da guelfo nemico, ma da alleato. probabile che già a Genova avesse trovato una sistemazione, se non proprio nell entourage più stretto del sovrano, in qualcuno degli ambienti che attorniavano la corte, e che avesse allacciato rapporti con i notai e i giuristi della cancelleria. Non gli mancavano conoscenti, come, per esempio, Palmiero degli Altoviti, che avrebbero potuto raccomandarlo. Qualcosa per lui potrebbe avere fatto anche il cardinale Niccolò da Prato, che il grande intellettuale Albertino Mussato (presente a Genova come ambasciatore) descrive come punto di riferimento dei ghibellini accorsi in quella città, e in particolare di quelli toscani. Ed è pure probabile che a Pisa abbia continuato a usufruire di quegli aiuti. Dei tanti eventi succedutisi fuori Pisa, come l incoronazione, l assedio di Firenze, la morte di Enrico VII, Dante non sembra essere stato spettatore. Di certo, non era con l esercito imperiale all assedio di Firenze. Secondo Leonardo Bruni, «non vi volle essere perché «il tenne la reverentia della patria . A Pisa si sarà dedicato a quel trattato filosofico-giuridico sul tema della «monarchia per scrivere il quale, presumibilmente, aveva lasciato il Casentino. Il trattato è diviso in tre libri, ciascuno dei quali risponde a una Ritratto di Innocenzo III (1160-1216). Purgatorio Inferno Sordello 367

La Divina Commedia
La Divina Commedia
Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato