5.1 IL BONDING
Il termine bonding nasce negli Stati Uniti nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso e deriva dall’inglese bond, che significa “legame”, “vincolo”, e quindi “attaccare”, “unire”. Esso indica, in sostanza, quel processo articolato che permette lo sviluppo del legame comunicativo fra madre e bambino.
Nel bonding prenatale, lo scambio di conoscenze e la comunicazione avvengono in modo reciproco: madre e figlio, infatti, si scoprono a vicenda. Più precisamente, la madre impara a riconoscere i diversi movimenti del piccolo che porta in grembo, mentre il figlio inizia a sviluppare la propria personalità, conoscendo, per mezzo della madre, il mondo che lo circonda. Studi recenti hanno infatti dimostrato come il feto, all’interno dell’utero, sia in realtà un essere attivo, che si prepara alla vita per mezzo di molteplici interazioni sensoriali sperimentate attraverso il sangue materno, ivi incluse l’ansia e la paura. Di conseguenza, è in grado di esprimere agio o disagio a seconda delle situazioni: si pensi al movimento brusco che compie per allontanarsi da una fonte di luce intensa che filtra attraverso la pancia della madre. Inoltre, dalla ventitreesima settimana, il feto fa registrare un’intensa attività onirica, come dimostrano i sussulti o i cambiamenti di posizione nel sonno.
Il veicolo principale di impulsi rivolti al feto è dunque la madre. Le sue eventuali tensioni emotive, infatti, se intense e prolungate, possono creare alterazioni ormonali in grado di oltrepassare la placenta e di influire sull’equilibrio psicofisico del feto, sia in positivo sia in negativo, condizionandone il comportamento una volta venuto alla luce. Parimenti, gli stimoli tattili e uditivi favoriscono lo sviluppo delle capacità percettive del nascituro.