Un po’ di storia

Gli antenati del computer

L’esigenza di fare i conti in modo veloce ha origini antiche. Fin dalla preistoria l’uomo ha utilizzato le dita come strumento per contare e, ancora oggi troviamo una traccia di questo “metodo” nel sistema decimale con il quale sono rappresentati i numeri.


In informatica tutto quello che può essere rappresentato con i numeri prende il nome di digitale. La parola inglese digit, che in italiano significa cifra, deriva dalla parola latina digitus, cioè dito.


Quando vennero introdotte le prime nozioni di matematica, cominciarono a comparire anche i primi strumenti dedicati al calcolo: il primo, che può essere considerato il più antico antenato del computer, è l’abaco, una struttura sulla quale i numeri venivano rappresentati disponendo ordinatamente alcuni sassi su diverse file. L’uso dell’abaco introdusse il concetto di sistema di numerazione posizionale, con il quale le cifre dei numeri assumono valori diversi in base alla posizione che occupano nella notazione (▶ unità 2).

L’invenzione della scrittura ha poi consentito di registrare e trasmettere una grande quantità di informazioni di varia natura, in particolare la sua applicazione alla matematica ha permesso la creazione di ausili per svolgere i calcoli: un esempio è la tavola pitagorica, invenzione attribuita, forse erroneamente, al matematico greco Pitagora, vissuto nel VI secolo a.C.

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La calcolatrice meccanica

All’inizio del Seicento il matematico scozzese John Napier (1550-1617), noto anche come Nepero introdusse il concetto di logaritmo grazie al quale venne realizzato il regolo calcolatore: uno strumento di calcolo utilizzabile facendo scorrere due “righelli” con scale diverse, una il doppio dell’altra. Con questo strumento è possibile, per esempio, moltiplicare o dividere per due un dato numero, calcolarne il quadrato o la radice quadrata o compiere altre operazioni.


Verso la metà del Seicento il francese Blaise Pascal (1623-1662), utilizzando degli ingranaggi simili a quelli dell’orologio a pendolo (che si era diffuso grazie agli studi di Galileo), inventò una macchina calcolatrice: la pascalina. Lo strumento era costituito da una sequenza di ruote dentate affiancate che rappresentavano, da destra a sinistra, unità, decine, centinaia ecc.

L’innovazione tecnologica introdotta dalla pascalina fu l’inserimento del meccanismo di riporto automatico realizzato grazie a un collegamento meccanico fra una ruota e la successiva; in questo modo quando una ruota completava un giro, la successiva avanzava di uno. La macchina poteva, quindi, eseguire addizioni e sottrazioni con un riporto che veniva aggiunto, per la prima volta, in modo totalmente automatizzato.

Nel 1672 il matematico e filosofo tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) perfezionò la pascalina in modo che potesse calcolare anche le moltiplicazioni e le divisioni.

Il computer meccanico

All’inizio del Settecento fu inventata la macchina a vapore che venne perfezionata, verso la fine dello stesso secolo, dall’ingegnere scozzese James Watt (1736-1819), che la trasformò in una sorgente di energia così elevata da dare l’avvio alla rivoluzione industriale. Proprio per il fondamentale ruolo di Watt, l’unità di misura della potenza nel Sistema Internazionale porta il suo nome.


All’inizio dell’Ottocento il francese Joseph Marie Jacquard (1752-1834) inventò un telaio in cui la tessitura veniva comandata attraverso delle schede sulle quali erano applicati dei fori. Per questo motivo il telaio di Jacquard viene generalmente considerato uno degli antenati del computer: fu di fatto il primo sistema a utilizzare la scheda perforata. Con la scheda perforata nasce, infatti, una nuova idea: quella del software e della programmazione, attraverso i quali è possibile rendere flessibile il “comportamento” di una macchina, rendendola utilizzabile in un numero potenzialmente infinito di contesti.

Nel 1832 il matematico britannico Charles Babbage (1791-1871) completò il progetto di una macchina programmabile “universale”, in grado di eseguire ogni genere di calcolo matematico: la macchina analitica ( analytical engine) che, nella storia dell’informatica, viene ricordata come il primo computer meccanico al mondo. La macchina analitica era costituita, anche se con nomi diversi, dalle stesse componenti hardware che si trovano nei computer moderni. Erano infatti presenti:

  • un’unità di elaborazione centrale in grado di eseguire le quattro operazioni;
  • una memoria in grado di raccogliere i numeri da elaborare;
  • un lettore di schede perforate per fornire i dati di input;
  • un dispositivo di output per scrivere i risultati in uscita.

L’idea che permise di trasformare le macchine calcolatrici in computer meccanici fu la possibilità di programmare, cioè fornire alla macchina in ingresso non solo i dati da elaborare (input), ma anche la sequenza di istruzioni da eseguire sui dati (programma o software).

Purtroppo, a causa di numerose difficoltà tecniche e della mancanza di fondi, la macchina analitica non venne mai fabbricata. Ciò non ha impedito alla mente geniale di Babbage di avere una chiara visione di come avrebbe potuto funzionare.


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I dispositivi “programmabili”

Augusta Ada Byron, meglio nota come Lady Ada Lovelace (1815-1852) viene considerata la prima programmatrice di computer al mondo.

Nel 1843 tradusse un testo dell’ingegnere Luigi Menabrea nel quale veniva descritta l’idea della macchina analitica di Babbage. Nella sua pubblicazione, la Lovelace aggiunse numerose note personali e riflessioni teoriche che consentirono agli studiosi dell’epoca di comprendere l’autentica innovazione introdotta dalla macchina analitica. In particolare, nella Sezione G, Ada Lovelace descrisse in dettaglio un algoritmo applicabile alla macchina analitica per calcolare i numeri di Bernoulli (▶ unità 3).

Nacque il concetto che con un numero si potessero rappresentare “altre cose”, come le lettere dell’alfabeto o le note musicali.

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