3. Il progetto di ricerca

3. Il progetto di ricerca

3.1 Il tema e gli obiettivi

Ogni ricerca antropologica comincia con la preparazione di un progetto di ricerca, che si costruisce gradualmente mediante l’analisi accurata dei seguenti aspetti.

  • Il tema di ricerca: l’antropologo deve elaborare una chiara formulazione dell’argomento della propria ricerca e delle ipotesi che prevede di verificare sul campo almeno in fase preliminare, indicando in particolare:

    – l’area geografica: il paese, la regione e la località in cui ha luogo il fenomeno sociale che lo interessa e in cui intende recarsi;

    – l’arco temporale: il periodo di tempo in cui egli prende in considerazione il fenomeno, cioè la profondità storica dello studio che vuole compiere, ma anche il periodo di tempo che egli prevede di dedicare alla ricerca sul campo. È bene precisare che la ricerca non è mai completamente sincronica, cioè interamente focalizzata sul fenomeno cui l’antropologo assiste “qui e ora”; proprio per il fatto che le culture sono processi fluidi che cambiano nel tempo ▶ unità 1, p. 27 |, ogni ricerca è in parte anche una ricerca diacronica, cioè interessata agli aspetti di cambiamento storico di breve o lunga durata del fenomeno studiato;

    – l’ambito sociale: il contesto familiare, comunitario, etnico, entro cui egli prevede di immergersi per dialogare con i suoi interlocutori.

    Facciamo un esempio di come potrebbe essere formulato un tema di ricerca in antropologia: «Gli effetti economici e culturali della limitazione dei territori di pascolo per i Sámi, pastori nomadi di renne della Lapponia, con la costruzione della nuova autostrada nel comune di Kiruna, in Svezia, dal 2010 al 2020».

  • Gli obiettivi di ricerca: si tratta degli scopi conoscitivi che la ricerca si prefigge, e in genere vengono espressi mediante una serie di domande, dette domande di ricerca.

    Riprendendo l’esempio precedente, l’antropologo potrebbe chiedersi: di quanto sono stati ristretti i territori sámi per il libero pascolo delle renne nel comune di Kiruna? I rappresentanti nativi delle comunità sámi sono stati consultati nelle procedure di approvazione del progetto per la nuova autostrada? Come hanno percepito il cambiamento del loro paesaggio naturale? In che relazione sono le attività dei pastori di renne con gli altri aspetti essenziali della cultura sámi come l’economia di sussistenza o le credenze tradizionali? Le famiglie sámi di Kiruna pensano che la perdita dei territori di pascolo possa avere un forte impatto sulla loro cultura? Perché?

3.2 Dallo studio preliminare alla partenza

Dopo aver definito il tema e gli obiettivi di ricerca, l’antropologo deve esaminare altri aspetti importanti e svolgere ulteriori operazioni preparatorie.

  • Lo studio preliminare: prima di cominciare la ricerca sul campo l’antropologo deve compiere uno studio preliminare riguardo al tema di indagine e all’area:

    studio del tema: si tratta di definire il quadro teorico della ricerca e i principali riferimenti bibliografici, cioè di individuare e analizzare tutti i principali studi già effettuati sul tema, in particolare le eventuali precedenti ricerche etnografiche, ma anche testi di carattere storico, sociale o economico che potrebbero essere utili. A questo proposito, in virtù di quell’approccio olistico di cui abbiamo già parlato ▶ unità 1, p. 25 |, l’antropologo deve sondare se vi sia la necessità di reperire delle competenze anche in altri campi disciplinari, come la linguistica, la storia, l’economia, l’etnomusicologia, l’archeologia;

    studio dell’area: si tratta, da un lato, di studiare l’area da un punto di vista generale (dati sulla popolazione, conformazione fisica del territorio, risorse economiche, reti di comunicazione e così via); dall’altro, di valutare le possibilità logistiche della ricerca (dove soggiornare, come, se risiedere presso una famiglia, se spostarsi nella zona e così via). Inoltre l’antropologo deve considerare bene anche gli eventuali rischi per la propria sicurezza, se si tratta di zone in cui è presente guerriglia, o forme di criminalità, o di luoghi con rischi per la salute di tipo igienico sanitario (come per esempio zone di malaria); oppure aree particolarmente impervie, isolate o difficilmente raggiungibili.

    Riguardo all’individuazione dell’area in cui fare ricerca, occorre ricordare che la globalizzazione ha avuto un grande effetto nel ripensare il concetto di campo per la ricerca antropologica. L’accelerazione del cambiamento impresso dalle tecnologie digitali, la sempre maggiore mobilità di persone, immagini, informazioni, merci, oggetti, svincolati da un singolo contesto locale, hanno spinto gli antropologi a praticare, in alcuni casi, un’etnografia su più località differenti connesse fra loro dallo stesso fenomeno: per esempio, sul tema della migrazione, gli antropologi fanno spesso ricerca sul campo nel luogo di nascita da cui il migrante parte, poi nel luogo di primo arrivo e talvolta anche nei luoghi di successive destinazioni migratorie. L’antropologo americano George E. Marcus (n. 1946) ha denominato questo tipo di ricerca  ▶ etnografia multisituata: dal convenzionale singolo luogo di osservazione, contestualizzato in un ordine sociale più ampio, si passa a siti multipli di osservazione e partecipazione che rompono con l’opposizione locale/globale, cercando di studiare quel traffico transnazionale che alimenta nuove relazioni di potere e nuove forme di deterritorializzazione fra comunità locali e organismi sovranazionali ▶ unità 10, p. 418 |.

  • La conoscenza della lingua: prima di intraprendere la ricerca sul campo l’antropologo deve riflettere anche sulle proprie competenze linguistiche. In particolare, facendo riferimento al tema proposto, deve preoccuparsi:

    – della lingua nativa parlata dalla comunità che intende studiare, per esempio il samiska per i pastori sámi della Lapponia;

    – della lingua nazionale, per esempio lo svedese, per quelle porzioni di territorio lappone che si trovano entro i confini della Svezia;

    – della lingua di lavoro, per esempio l’inglese, lingua di grande diffusione che consente almeno un buon livello di interazione reciproca, se l’antropologo non è ancora esperto della lingua nazionale o della lingua nativa.

    Il tema della lingua da utilizzare con i propri interlocutori in una ricerca sul campo è indipendente dalla lontananza o dalla vicinanza del luogo di ricerca rispetto alla società dell’antropologo. Per esempio, per un antropologo italiano riflettere su come parlare con i propri interlocutori è importante sia che decida di studiare una comunità di indigeni dell’Amazzonia in Ecuador, sia che decida di studiare una comunità di migranti tunisini in un centro di accoglienza in Italia.

    È bene precisare che esistono importanti e profondi nessi fra lingua e cultura, e che la lingua non è mai un semplice strumento di ricerca per cogliere meglio i fenomeni culturali, perché la lingua stessa è un fenomeno culturale ▶ unità 6, p. 218 |.

  • L’aiuto dell’intermediario locale: nelle fasi preparatorie della ricerca e nella stesura del progetto, l’antropologo deve tener conto che quando il gruppo da studiare è esterno alla propria esperienza spesso risulta difficilmente accessibile. Riprendendo l’esempio sui Sámi, non è semplice per un antropologo italiano che non è mai stato in Lapponia entrare a far parte di una piccola comunità di pastori nomadi dell’Artico europeo. La conquista dell’accesso al contesto e all’ambiente da studiare è uno dei passaggi più difficili della ricerca sul campo. Il modo più comune per risolvere il problema è farsi aiutare da un intermediario locale. Si fa ricorso alla credibilità e al prestigio di uno dei membri del gruppo per legittimare il ricercatore e farlo accettare dal gruppo. Si tratta di una persona che facilita l’antropologo nel prendere contatto con le persone del posto e che spesso collabora con lui nel condurre le interviste e lo aiuta con la lingua locale. L’antropologo deve dunque prestare grande attenzione nell’individuare un intermediario disponibile, in modo che si instauri un clima di stima reciproca. L’intermediario locale può essere il parroco, o il maestro di scuola, o un capo villaggio, o il volontario di una associazione locale; è in ogni caso una persona che gode della fiducia della popolazione studiata e che nello stesso tempo, per le sue caratteristiche culturali, è in grado di capire le motivazioni e le esigenze dell’antropologo.

    Sul piano dell’etica della ricerca l’antropologo deve fare molta attenzione a non tradire gli impegni presi con i suoi informatori e non deve mai agire di nascosto: è fortemente raccomandabile che espliciti subito le motivazioni della ricerca, spiegandone bene le premesse e gli obiettivi, così come è essenziale che ottenga il consenso informato dei propri interlocutori prima di registrare le interviste, garantendo loro un uso corretto del materiale raccolto, rispettando anche eventuali loro decisioni di uscire dal progetto di ricerca. Il ricercatore ha quindi la responsabilità etica e morale di tutelare le persone con cui collabora, spesso usando anche l’anonimato e la riservatezza di alcune informazioni ricevute.

Completati il progetto di ricerca e lo studio preliminare, esaminati tutti gli aspetti teorici e organizzativi, si inizia con la ricerca vera e propria.

  esperienze attive

Fare un’intervista Scegli un parente, un vicino di casa, una persona che già conosci, possibilmente sopra i cinquant’anni, la cui vita ti affascina. Chiedi se puoi intervistarlo/a sulla sua vita e registrarlo/la. Se acconsente, prova a pensare ad alcune domande da fare per rompere il ghiaccio, quindi ascolta il tuo informatore e prosegui con quelle domande che ti vengono spontanee, seguendo la tua curiosità e l’argomento di cui ti sta parlando. Una volta finita l’intervista, scrivi un testo in cui rifletti sull’incontro. È cambiato il rapporto che avevi con quella persona? C’è un’intimità diversa? Hai provato imbarazzo nel fare le domande e nel chiedere di registrare? Confrontati in classe con i tuoi compagni.

  INVITO ALLA VISIONE 
David MacDougall e Judith MacDougall, TO LIVE WITH HERDS, 1972

Gli antropologi David e Judith MacDougall hanno vissuto con la popolazione semi-nomade Jie nell’Uganda nord-orientale durante la realizzazione del film, utilizzando una tecnica che è stata definita “telecamera partecipativa”. Il film è notevole per il suo senso di intimità e per il modo in cui consente ai Jie di emergere come individui con le proprie opinioni sulle questioni economiche, politiche e sul cambiamento sociale che mettono a rischio il loro stile di vita.

per lo studio

1. Quali considerazioni bisogna fare nel progetto di ricerca in merito all’area?

2. Che cosa sono le domande di ricerca?

3. Chi è l’intermediario locale?


  Per discutere INSIEME 

Secondo te perché è necessario e importante avere una persona locale, un intermediario, che possa aiutare l’antropologo durante il periodo di ricerca? Perché è indispensabile scrivere un progetto di ricerca prima di iniziare la ricerca stessa e quali possono essere le difficoltà? Discutine in classe con i tuoi compagni.

I colori dell’Antropologia
I colori dell’Antropologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane