3. Il potere e le classi sociali

3. Il potere e le classi sociali

3.1 Il modo di produzione

Il filosofo ed economista tedesco Karl Marx (1818-1883) ha elaborato l’idea che gli oggetti fabbricati devono essere analizzati come prodotti che incorporano delle relazioni sociali storicamente determinate. Ciò è molto rilevante in prospettiva antropologica perché in quest’ottica anche la produzione di beni e risorse risulta essere un fenomeno sociale. Ogni bene è infatti il risultato dell’azione reciproca e determinante di una serie di elementi:

  • i materiali concreti con cui si realizza;
  • il progetto in base al quale si realizza;
  • il sapere tecnico indispensabile all’esecuzione concreta del progetto;
  • il lavoro che di fatto rende possibile trasformare l’idea in un prodotto finito.

L’antropologia si interessa allo studio delle differenti condizioni sociali e culturali che fanno sì che questi quattro elementi entrino nella produzione di un certo bene secondo specifiche modalità.

Nella sua opera Il Capitale (1867), Marx ha formulato il concetto di “modo di produzione”, con cui si intende una forma storica di esistenza sociale, come per esempio il ▶ feudalesimo o il ▶ capitalismo.

Un modo di produzione, secondo Marx, è determinato dalla combinazione di tre fattori:

  • i mezzi di produzione, ossia la materia prima, il sapere e la tecnologia di cui una società dispone in un certo momento della sua storia;
  • la manodopera, ossia il lavoro degli individui impiegati nella realizzazione di un certo prodotto, in altre parole l’energia umana utilizzata nel processo produttivo;
  • i rapporti di produzione, ovvero la relazione sociale che si stabilisce fra i mezzi di produzione e la manodopera per rendere possibile il processo produttivo.

Da un punto di vista antropologico, non solo socioeconomico, i rapporti di produzione sono il fattore fondamentale: cambiando i rapporti di produzione, cioè cambiando la relazione fra mezzi di produzione e manodopera, cambia anche il modo di produzione.

Nell’antica Grecia e nell’Impero romano prevaleva il modo di produzione schiavista, nel Medioevo quello feudale; nella società capitalista contemporanea, nata con la Rivoluzione industriale, i rapporti di produzione che legano mezzi e manodopera sono rappresentati dal lavoro salariato, cioè il lavoro pagato: i capitalisti acquistano manodopera e gli operai la vendono. La manodopera, ossia il lavoro, si trasforma in “merce” sottoposta alle leggi di mercato della domanda e dell’offerta.

Il contributo di Marx, come quello di Polanyi, è molto rilevante per l’antropologia contemporanea in quanto suggerisce di analizzare il processo produttivo come fenomeno sociale e dunque variabile da un punto di vista storico e culturale non solo in Occidente, ma anche nelle società extraoccidentali dell’America, dell’Africa e dell’Asia.

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3.2 Egemonia e subalternità

Affermatasi soprattutto con la Rivoluzione industriale, quando si crearono nuove disuguaglianze e raggruppamenti in base alla fonte e alla quantità di reddito, la classe sociale è un insieme di individui che, all’interno di una società, manifestano comportamenti unitari e specifici rispetto a quelli di altri gruppi, dai quali si differenziano per una diversa collocazione nei confronti della ricchezza, del potere, del prestigio: per esempio, la classe degli imprenditori o la classe dei lavoratori. Sappiamo che tanti fattori contribuiscono a formare l’identità individuale e sociale di una persona: uno di questi è proprio la classe sociale.

La lotta di classe

Marx riteneva che la storia della società europea fosse caratterizzata dalla cosiddetta “lotta di classe”, ossia dallo scontro fra due gruppi sociali con interessi economici e politici diversi e conflittuali:

  • la borghesia: la classe sociale legata ai commerci e all’industria;
  • l’aristocrazia: la classe legata alla proprietà della terra.

Dal conflitto fra aristocrazia e borghesia, terminato con il trionfo della borghesia, sarebbe nata per Marx la società moderna. La Rivoluzione industriale, che aveva portato al definitivo sopravvento della borghesia, aveva anche prodotto una nuova classe sociale, prima sconosciuta: il proletariato urbano industriale, ossia la massa popolare che, per lavorare nelle fabbriche, aveva abbandonato le campagne per riversarsi nelle città. Secondo le teorie di Marx, il proletariato, sfruttato dalla borghesia, si sarebbe prima o poi ribellato, e tale ribellione (la lotta di classe) avrebbe portato alla nascita di una società egualitaria.

La coscienza di classe

Le distinzioni di classe non erano costituite soltanto da differenze di tipo economico dovute a oggettive disuguaglianze nell’accesso alle risorse: erano il risultato anche delle rappresentazioni che ogni classe aveva di se stessa in relazione alle altre classi. È la cosiddetta “coscienza di classe” che, nel caso del proletariato, consisteva nella consapevolezza della propria condizione di sfruttamento da parte della borghesia capitalista.

A questo proposito il politico e filosofo Antonio Gramsci (1891-1937) sviluppò il concetto chiave di egemonia: le classi sociali subalterne si conformano alla dominazione interiorizzando i valori degli individui al potere e accettando la “naturalezza” della loro supremazia. Tutte le ideologie egemoniche spiegano che l’ordine esistente è nell’interesse di tutti e spesso si prodigano in promesse sul miglioramento della situazione contingente. L’egemonia, ossia l’interiorizzazione dell’ideologia dominante, è un modo attraverso il quale le élite frenano la resistenza e mantengono il potere.

La cultura di classe

Parallelamente alla coscienza di classe, un secondo elemento fondamentale su cui si articolano le distinzioni di classe è quello della cultura di classe, che ogni classe elabora ed esprime sulla base della propria esperienza del mondo.

L’antropologo e storico delle tradizioni popolari Alberto Mario Cirese | ▶ L’AUTORE, p. 320 | ha posto il rapporto fra cultura egemonica e culture subalterne, termini originariamente utilizzati da Gramsci, a fondamento degli ⇒ studi demologici italiani. La cultura subalterna è la cultura delle classi dominate, cioè di quegli strati della società politicamente ed economicamente subordinati alla classe dominante, che rappresenta invece la cultura egemone, ufficiale. Nel volume Cultura egemonica e culture subalterne (1973), Cirese descrive come queste due forme culturali esprimano la contrapposizione fra le concezioni del mondo e della vita degli strati subalterni della società e le concezioni del mondo e della vita ufficiali, espressione delle classi dominanti. A tal proposito egli parla di dislivelli interni di cultura: nelle società “superiori” le distinzioni fra classi o ceti sociali dotati di diverso potere politico-economico trovano riscontro in opposizioni culturali, manifestazioni della diseguale partecipazione dei diversi strati sociali alla produzione e alla fruizione dei beni culturali.

È importante osservare che il binomio cultura egemonica/culture subalterne non costituisce una radicale dicotomia: il ▶ folklore, ovvero le tradizioni popolari, non è mai totalmente autonomo dalla cultura egemonica. La cultura egemonica e quella subalterna, pur distinte e opposte, sono collegate da una fitta rete di scambi, prestiti e condizionamenti reciproci. La cultura egemonica recepisce il folklore, il più delle volte mistificandolo e strumentalizzandolo.

Nel libro Il folklore come cultura di contestazione (1966), l’antropologo Luigi M. Lombardi Satriani (n. 1936) ha evidenziato che la subalternità culturale non si esprime sempre e comunque in forme coscienti e consapevoli e non è mai completamente passiva nei confronti dei gruppi che la dominano, ma si manifesta sotto forma di un folklore di contestazione, spesso lontano dalla coscienza di classe marxista, come avviene in certe feste popolari di natura sacra o profana.

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per lo studio

1. Che cos’è il modo di produzione?

2. Perché dal punto di vista antropologico sono importanti i rapporti di produzione?

3. Che cosa si intende con l’espressione “culture subalterne”?


  Per discutere INSIEME 

Perché il processo di produzione delle merci è un fenomeno sociale? E come mai non è possibile separare lo studio delle forme economiche dallo studio delle relazioni sociali? Discutine in classe con i tuoi compagni.

l’autore  Alberto Mario Cirese

Alberto Mario Cirese (1921-2011) è stato un importante antropologo italiano, tra i massimi studiosi di arti e tradizioni popolari. Nato ad Avezzano, in Abruzzo, studia e si laurea a Roma sotto la direzione del folklorista Paolo Toschi con una tesi sui canti popolari di Rieti. Nel dopoguerra partecipa attivamente alla vita politica e nel 1946 entra nel consiglio comunale del Partito socialista italiano, dove rimane fino al 1970. Parallelamente, prosegue il suo lavoro da ricercatore collaborando con l’etnomusicologo Diego Carpitella, lavorando su testi e musiche di tradizione orale. Nel 1957 ottiene la cattedra di storia delle tradizioni popolari all’università di Cagliari, dove insegna anche antropologia culturale, e crea, assieme a Ernesto De Martino, “La scuola antropologica” di Cagliari, un centro di studi interdisciplinare molto importante. Tra il 1968 e il 1972 coordina un gruppo di ricercatori per la prima rilevazione di tradizioni orali non cantate, ovvero fiabe, leggende, proverbi, aneddoti. Introduce in antropologia l’uso di strumenti informatici per l’analisi delle strutture di parentela. È inoltre il primo coordinatore del dottorato in scienze etnoantropologiche, creato nel 1988, a Roma. Tra le sue opere ricordiamo: Cultura egemonica e culture subalterne (1971) e Il dire e il fare nelle opere dell’uomo (1988).

I colori dell’Antropologia
I colori dell’Antropologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane