L’UNITÀ IN BREVE

L’unità in breve

PRATICHE DELL’IDENTITÀ

1. la razza

L’identità è un costrutto relazionale: il senso del “noi” emerge sempre in rapporto a un senso di “altri da noi”. Sul confine tra identità e differenza si è dibattuto a lungo attorno al concetto di “razza”. La differenziazione biologica dell’umanità in razze risale a Linneo, ma solo a metà Settecento comincia a prendere piede il razzismo classico universalista, fondato sulla suddivisione pseudo-scientifica della specie umana in razze biologicamente superiori e inferiori, al cui vertice vi sarebbe quella bianca. Cardine di questo tipo di razzismo è il nesso causale tra biologia e cultura, su cui poggia il dominio di una popolazione sulle altre.

Quando le discriminazioni e gli stereotipi sono inclusi nel corpo legale e amministrativo di un dato sistema politico si parla di razzismo istituzionalizzato, di cui sono tragici esempi il regime nazista di Adolf Hitler in Europa e l’apartheid in Sudafrica.

Malgrado numerose ricerche abbiano ormai dimostrato l’infondatezza scientifica del concetto di razza umana, questo termine è rimasto nel linguaggio comune come marcatore di alterità, sfociando nel neorazzismo culturale differenzialista, che naturalizza le differenze culturali tra i gruppi umani sostenendo la necessità di preservarle anche a costo di gravi violenze. Sono riconducibili a questa forma di razzismo l’avversione per gli immigrati e gli episodi di pulizia etnica degli anni Novanta.

2. l’etnia

Il concetto di etnia si è affermato in antropologia a inizio Novecento per indicare gruppi umani caratterizzati dalla condivisione di lingua, cultura e territorio. Questa concezione si può definire oggettivista perché ci restituisce un’umanità formata da blocchi compatti e omogenei: alla discontinuità razziale si sostituisce una discontinuità culturale.

Fredrik Barth ha fortemente criticato la nozione oggettivista di etnia sostenendo che non vi è mai una netta sovrapposizione fra lingua, cultura e territorio: i gruppi umani sono sempre l’esito di processi di interazione con altri gruppi e i confini sempre mobili e permeabili. L’etnia non è quindi un dato oggettivo, ma una costruzione basata sull’etnicità: il senso emico di appartenenza a un gruppo etnico, che spesso si definisce enfatizzando elementi differenziali reali o inventati. Il conflitto etnico fra Tutsi e Hutu in Ruanda è uno dei più noti esempi di costruzione etnica da parte dell’amministrazione coloniale (etnicizzazione).

L’etnia assume anche l’accezione di una nazione “diminuita”.

 >> pagina 174 
3. cibo e identità culturali

Uno degli elementi che contribuiscono a formare l’identità individuale e collettiva delle persone è il cibo. Tramite l’apprendimento di tecniche del corpo e la quotidiana esposizione a sapori e odori che col tempo diventano familiari, la cultura culinaria partecipa al processo di antropopoiesi, costruzione dell’umanità mediante la cultura.

Antropologi come Lévi-Strauss e Mary Douglas si sono interessati al cibo analizzandone gli aspetti simbolico-culturali. La scelta di cosa e come mangiare dipende infatti dalla combinazione di gusti, condizioni climatiche e geografiche, costi, classe sociale, precetti morali o religiosi.

I patrimoni culinari locali sono spesso un marcatore di identità nazionale e regionale; tuttavia ingredienti e ricette sono sempre lo specchio di una storia di incontri culturali, scambi commerciali, migrazioni. La “globalizzazione del gusto” caratteristica dell’era dei fast-food mette in grave pericolo questi patrimoni.

Il cibo è infine anche un veicolo di memorie ed emozioni.

I colori dell’Antropologia
I colori dell’Antropologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane