1.6 Le nuove forme di razzismo
Il neorazzismo non si basa più su fattori di tipo biologico, ma si alimenta di un relativismo culturale estremo | ▶ unità 2, p. 65 |. Anziché presentare una visione dell’umanità a comparti gerarchizzati (le razze), il neorazzismo concepisce le culture umane come degli universi chiusi, assolutamente distinti e non comunicanti. Il neorazzismo enfatizza in modo generalizzato le differenze reali o immaginarie di tipo sociale, religioso, economico, o di identità nazionale.
Nelle nuove forme di razzismo, il termine “razza”, ancora assai diffuso, non si riferisce più a una realtà empirica, nel senso di marcare una diversità sul piano biologico, ma è utilizzato per assolutizzare le differenze di carattere culturale. Da un tipo di razzismo classico, che abbiamo definito “razzismo universalista”, si passa dunque a una nuova forma di razzismo: il razzismo differenzialista | ▶ APPROFONDIAMO |.
Possiamo puntualizzare le caratteristiche del nuovo tipo di razzismo confrontandole con quelle del razzismo classico ottocentesco.
Il razzismo classico universalista
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Il razzismo differenzialista
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• si basa sul concetto supposto scientifico dell’esistenza biologica delle razze umane
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• ha abbandonato il concetto di razza come elemento biologico distintivo
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• classifica le società e le culture su una scala etnocentrica di valori comuni, quelli della civiltà occidentale, che reputa di validità universale
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• è animato dalla forte preoccupazione di preservare le differenze culturali
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• gerarchizza le differenze secondo una logica evoluzionista
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• naturalizza le differenze, ne fa delle essenze e le pone come assolute e insuperabili
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• concepisce le differenze come stadi inferiori o attardamenti rispetto al presente della civiltà occidentale, postulata come superiore
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• afferma l’incompatibilità e l’incomunicabilità fra culture diverse
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• arriva a negare l’umanità del gruppo rifiutato
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• ha una visione assolutizzante dell’identità culturale che va preservata fino ad arrivare all’attuazione di sanguinose violenze
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L’ideologia che deriva da questo secondo tipo di razzismo va dal rifiuto del meticciato biologico o culturale all’apartheid, fino all’esito estremo del genocidio. Ha provocato orrore la ripresa negli anni Novanta del Novecento di pratiche di pulizia etnica, che si speravano scomparse con la fine del nazismo: programmi di eliminazione delle minoranze realizzati mediante il loro allontanamento coatto o con atti di aggressione militare per salvaguardare l’identità e la purezza del gruppo dominante, come per esempio le violenze perpetrate nella ex Iugoslavia che hanno coinvolto serbi, croati e albanesi nel Kosovo.
Le nuove forme dottrinarie di razzismo che stanno affiorando in Europa si articolano intorno all’imperativo del “diritto alla differenza” che paradossalmente un tempo era sostenuto dall’antirazzismo. Il razzismo differenzialista frammenta l’universo umano in tanti mondi isolati per giustificare il rifiuto e l’esclusione: non è più interessato ad affermare una gerarchia evoluzionista fra le culture, poiché tale gerarchia è già implicita nell’esclusione che esso opera in virtù del principio della differenza.
L’appello al diritto alla differenza nasconde spesso un forte argomento razzista: il rifiuto del meticciato, la paura dell’indistinzione, del contatto e delle relazioni fra i gruppi, che dunque è bene rimangano isolati ognuno entro i propri confini. Per questa ragione il riemergere contemporaneo di forme di antisemitismo e di razzismo ha come bersaglio gli immigrati detti “extracomunitari”, considerati una minaccia sociale, culturale o addirittura genetica alle società di accoglienza e all’identità europea. Per il razzista contemporaneo l’arrivo di nuove identità, come per esempio quella musulmana, è un pericolo perché comporta la corruzione delle identità culturali, religiose e nazionali dell’Europa, che egli concepisce, in modo antistorico, come essenzialmente omogenee, stabili e definitive.
Per il razzismo differenzialista i conflitti fra culture diverse si possono scongiurare solo allontanando gli stranieri e frenando in ogni modo l’immigrazione, che provoca disgregazione e insicurezza sociale. Questa ideologia strumentalizza i tentativi di applicare equilibrate politiche di controllo dell’immigrazione. Per il razzista contemporaneo l’immigrazione minaccia tanto le culture europee, quanto quelle degli stessi immigrati. Vi è quindi l’uso profondamente distorto della stessa prospettiva antropologica: l’immigrazione è un pericolo per l’identità della cultura di accoglienza così come per quella da accogliere. I discorsi del razzismo differenzialista contengono una perorazione quasi antropologica della difesa delle identità culturali.
In questa ideologia gli “altri”, i “diversi”, sono per definizione non integrabili. L’incompatibilità può essere definitiva, se non più in termini biologici, in termini altrettanto forti di carattere religioso, culturale, e di identità nazionale, per il carattere collettivo e la diversità delle origini.
È importante sottolineare il manifestarsi di un fenomeno complesso che deve destare molta attenzione fra gli studiosi e i politici: l’emergere di sentimenti e comportamenti razzisti che coinvolgono oggi anche strati sociali non privilegiati, che vivono in situazioni critiche, di disagio economico, di povertà, di marginalizzazione. Come molto puntualmente ha osservato l’antropologa italiana Annamaria Rivera (n. 1945), il razzismo permette a un gruppo o a una persona che si sente socialmente minacciato nei propri diritti, immaginari o reali, di spostare la frustrazione, la minaccia, la discriminazione subite su quelli che sono loro socialmente più vicini.
Nel pensiero razzista differenzialista l’umanità e gli individui non hanno valore in quanto tali: ciò che conta sono le identità culturali rigidamente definite dai loro confini territoriali, linguistici, geografici. Come abbiamo detto, la presunta non integrabilità degli stranieri viene attribuita a differenze di cultura, di costumi, di mentalità, concepite come radicali e assolute e generalmente ricondotte a un fondamento di tipo originario: l’etnia.