T14 - La sera del dì di festa

T14

La sera del dì di festa

Canti, 13

Questo idillio, composto a Recanati nella primavera del 1820, affronta, come Il passero solitario ( T12, p. 89), il motivo dell’estraneità del poeta alle gioie della giovinezza e, come L’infinito ( T13, p. 93), il tema della fuga del tempo che porta tutto via con sé.


Metro Endecasillabi sciolti.

Dolce e chiara è la notte e senza vento,

e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

posa la luna, e di lontan rivela

serena ogni montagna. O donna mia,

5      già tace ogni sentiero, e pei balconi

rara traluce la notturna lampa:

tu dormi, che t’accolse agevol sonno

nelle tue chete stanze; e non ti morde

cura nessuna; e già non sai né pensi

10    quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.

Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno

appare in vista, a salutar m’affaccio,

e l’antica natura onnipossente,

che mi fece all’affanno. A te la speme

15    nego, mi disse, anche la speme; e d’altro

non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.

Questo dì fu solenne: or da’ trastulli

prendi riposo; e forse ti rimembra

in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti

20    piacquero a te: non io, non già ch’io speri,

al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo

quanto a viver mi resti, e qui per terra

mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi

in così verde etate! Ahi, per la via

25    odo non lunge il solitario canto

dell’artigian, che riede a tarda notte,

dopo i sollazzi, al suo povero ostello;

e fieramente mi si stringe il core,

a pensar come tutto al mondo passa,

30    e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito

il dì festivo, ed al festivo il giorno

volgar succede, e se ne porta il tempo

ogni umano accidente. Or dov’è il suono

di que’ popoli antichi? or dov’è il grido

35    de’ nostri avi famosi, e il grande impero

di quella Roma, e l’armi, e il fragorio

che n’andò per la terra e l’oceano?

Tutto è pace e silenzio, e tutto posa

il mondo, e più di lor non si ragiona.

40    Nella mia prima età, quando s’aspetta

bramosamente il dì festivo, or poscia

ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,

premea le piume; ed alla tarda notte

un canto che s’udia per li sentieri

45    lontanando morire a poco a poco,

già similmente mi stringeva il core.


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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

La visione di un notturno dominato dalla luce lunare è improvvisamente interrotta dal pensiero di una figura femminile, invocata con il possessivo mia (v. 4) e dunque implicitamente oggetto d’amore. A lei, che dorme serena, ignara di aver aperto nel cuore del poeta una ferita dolorosa, si contrappone l’io lirico, portato crudelmente dalla natura a provare il desiderio amoroso ma reso, dalla stessa natura, incapace di realizzarlo. Il confronto accentua la drammatica consapevolezza del proprio destino esistenziale: a differenza della donna, che sta sognando gli svaghi e gli incontri con gli altri giovani come lei (vv. 18-20), egli si trova irrimediabilmente escluso dal novero di quei fortunati (non io, non già ch’io speri / al pensier ti ricorro, vv. 20-21), «dove la ripetizione del pronome personale e della negazione, e le pause nel verso, sottolineano il sentimento di esclusione provato dal soggetto» (Bazzocchi). Come nell’Ultimo canto di Saffo ( T11, p. 84), il disinganno amoroso e la convinzione di essere perseguitati dalla natura si trovano dunque sullo stesso piano.

Tuttavia lo sfogo emotivo del poeta passa presto dalla sfera personale e dalla condizione individuale a una riflessione più ampia sul mondo e sulla vita umana in generale. Come nell’Infinito ( T13, p. 93), una percezione sonora (Odo non lunge il solitario canto / dell’artigian…, vv. 25-26), una di quelle che vengono definite «vaghe» nello Zibaldone, acuisce in Leopardi il dolore per lo scorrere del tempo che non lascia traccia.

Il giorno di festa è destinato a finire come tutti gli altri nel grigiore dell’oblio: allo stesso modo perfino le imprese degli antichi e la loro fama vengono cancellate dal silenzio del presente (Tutto è pace e silenzio, e tutto posa / il mondo, e più di loro non si ragiona, vv. 38-39).

Registro filosofico e registro soggettivo paiono intrecciarsi fino alla fine in un discorso senza soluzione di continuità. L’esperienza più intima del poeta si inserisce nella riflessione sulla caducità universale delle cose, sull’esito della Storia umana e sull’inevitabile decadere di ogni civiltà. Così non appare incongruo il fatto che, in conclusione dell’idillio, Leopardi torna a illuminare il proprio io, aprendo lo spazio della memoria. Rievocando il passato e la prima età, quando attendeva con l’urgenza dell’infanzia il giorno festivo, egli ricorda il dolore provato di notte dinanzi all’impietoso tramonto delle illusioni e delle speranze. In quel tempo remoto della fanciullezza, un secondo canto, lontano e indistinto (ed alla tarda notte / un canto che s’udia per li sentieri / lontanando morire a poco a poco, / già similmente mi stringeva il core, vv. 43-46), suggellava ed enfatizzava, con perfetta circolarità, la coscienza dell’illusione e dell’infelicità: la sensazione dell’indefinito, che per Leopardi fa scattare la sensazione del piacere, si rovescia qui nel tragico presagio di un irreparabile destino di sofferenza.

Le scelte stilistiche

La stesura del canto avviene in un’epoca in cui il poeta è ancora convinto della superiorità del mondo antico, nobile ed eroico, su quello presente, caratterizzato dalla noia e dalla viltà. Le virtù del passato appaiono infatti morte ai suoi occhi, come attestano le canzoni civili, composte negli stessi anni della Sera del dì di festa, nelle quali domina il tema della decadenza morale contemporanea.

Alcune spie stilistiche rivelano il rimpianto per la gloria del popolo romano: in primo luogo, compaiono nel lessico del componimento diversi latinismi (cura, v. 9; solenne, v. 17; quella, v. 36, nel senso di “quella grande”, ossia Roma). Nei vv. 33-37, riferiti proprio alla grandezza antica, Leopardi accresce il pathos retorico con una serie di interrogative, che per contrasto esprimono il senso di vuoto nel quale sono state inghiottite le imprese di un tempo e perfino il loro ricordo. A quelle gesta è subentrato oggi il deserto di un mondo fermo e impassibile, che fa sprofondare nel silenzio il valoroso fragorio dell’età antica.

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Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Fai la parafrasi dell’intero componimento.


2 A partire dal v. 13 la natura viene personificata. Quali caratteristiche essa assume e in che cosa consiste l’argomentazione del poeta?


3 Quale dei seguenti temi non è presente nella lirica?

  • a L’inappagato desiderio di partecipare della bellezza della natura.
  • b L’esclusione dall’esperienza amorosa.
  • c L’angoscia per il dileguarsi della vita nel nulla.
  • d La gelosia e il risentimento nei confronti della donna.

Analizzare

4 Come descriveresti la struttura sintattica dei primi 5 versi? Quale figura si evidenzia?


5 Quale figura di significato troviamo al v. 10? Che cosa indica?


6 Individua, ai vv. 13-16, alcune assonanze, spiegandone la funzione semantica.


7 Anche questo componimento si basa sulla poetica del vago. Individua i vocaboli che si riferiscono alle aree semantiche dell’oscurità, dell’indeterminatezza e della lontananza e riportali nella tabella.


 Aree semantiche

Vocaboli

oscurità


 

indeterminatezza


 

lontananza


 

interpretare

8 All’inizio del componimento quale tipo di descrizione offre il poeta del paesaggio? Esso appare rasserenante o angosciante? In quale rapporto si pone tale raffigurazione con quanto l’autore affermerà più avanti (dal v. 13 in poi) a proposito della natura? Motiva la tua risposta con opportuni riferimenti testuali.


9 L’espressione Tu dormi, al v. 11, quali caratteristiche della donna sembra suggerire?

COMPETENZE LINGUISTICHE

10 Individua nel testo i termini la cui grafia è differente rispetto a quella dell’italiano contemporaneo e rifletti sul mutamento intercorso tra le due diverse forme.

Produrre

11 Scrivere per confrontare. Confronta in un testo espositivo di circa 30 righe La sera del dì di festa con L’infinito ( T13, p. 93), evidenziando eventuali tematiche comuni ma anche le differenze nell’impostazione del discorso poetico.

Volti e luoghi della letteratura - Giacomo Leopardi
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