L’opera

Ossi di seppia

Un “paesaggio dell’anima” La pubblicazione degli Ossi di seppia, nel 1925, avviene in un periodo di cambiamento, tanto sul piano politico quanto su quello letterario. Mentre il fascismo, dopo il delitto Matteotti, sta completando la svolta autoritaria che porterà il paese alla dittatura, in ambito poetico i fermenti delle avanguardie convivono con le ipotesi di un “ritorno all’ordine”, cioè ai caratteri e ai valori della grande tradizione classica italiana. Senza aderire ad alcuna corrente, Montale riesce nell’impresa di ricavare il meglio dalle esperienze più significative del suo tempo, costruendo un’opera che si pone al loro crocevia, in un difficile equilibrio tra componenti eterogenee.

Negli Ossi di seppia prende forma uno dei grandi “paesaggi dell’anima” della lirica europea del XX secolo. Montale traspone nella natura mediterranea – arida e insieme fascinosa – della natia Liguria il «male di vivere» che gli impedisce di trovare la propria strada nel mondo. La sua risposta a una realtà percepita come falsa e assurda non consiste nel pianto dei Crepuscolari, e nemmeno nell’abbandono alla natura: il panismo dannunziano di Alcyone rappresenta per lui una scorciatoia impraticabile. Ora si tratta di affrontare con stoica fermezza i tormenti che la vita infligge, riconoscendo di volta in volta «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

La genesi e la composizione

Montale prima di Montale Nell’Intervista immaginaria ( T1, p. 183), pubblicata nel 1946, Montale ricordava di avere scritto da ragazzo «versi umoristici», qualche poesia «grottesco-crepuscolare» alla maniera di Aldo Palazzeschi, e più tardi qualche «sonetto tra filosofico e parnassiano» (il parnassianesimo fu un movimento poetico francese del secondo Ottocento, che attribuiva particolare importanza alla forma).

Tutti questi esperimenti giovanili rimangono inediti, a differenza del primo frammento che il poeta ligure riconosce come veramente “suo”, ovvero Meriggiare pallido e assorto, a cui pone mano già nel 1916 e che viene inserito negli Ossi di seppia, al pari di vari testi comparsi in riviste tra il 1922 e il 1924.

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Le edizioni degli Ossi di seppia Ossi di seppia, raccolta d’esordio di Montale, è pubblicata nel giugno del 1925 presso le edizioni dell’intellettuale antifascista torinese Piero Gobetti, il quale poco prima aveva accolto sul “Baretti”, rivista da lui diretta, un importante intervento teorico del poeta dal titolo Stile e tradizione. La critica riserva agli Ossi un’accoglienza nel complesso tiepida; all’autore, che gli aveva manifestato la propria delusione, l’amico scrittore Sergio Solmi risponde: «Il tuo è uno di quei libri che ad attendere hanno tutto da guadagnare». Le sue parole risulteranno profetiche.

Nel 1928 Montale fa stampare da un altro editore torinese, Ribet, un’edizione degli Ossi di seppia con una prefazione firmata da Alfredo Gargiulo, critico allora molto influente. Una terza edizione compare a Lanciano, presso l’editore Carabba, nel 1931, e una quarta, l’ultima che rechi correzioni rilevanti, di nuovo a Torino, presso Einaudi, nel 1942. Nel decennio precedente Montale era stato (erroneamente) assimilato alla corrente dell’ Ermetismo, diventando al tempo stesso un punto di riferimento culturale per un’intera generazione di intellettuali antifascisti di vario orientamento. Come scriverà Carlo Salinari, critico, partigiano ed esponente del Partito comunista, «nella situazione storica del fascismo […] la disperazione di Montale ci appariva congeniale, senza mai presentarsi come una forma di evasione dalla realtà che ci circondava e dalle responsabilità che essa ci imponeva. La sua poesia dava voce alla nostra profonda infelicità, ma ci ammoniva a guardarla in faccia con coraggio e a non sperare consolazioni».

Il titolo In origine Montale aveva pensato di intitolare il suo primo libro Rottami, dove il riferimento a materiali deteriorati rimandava alla condizione di logorio esistenziale in cui egli si dibatteva, e insieme echeggiava altri titoli di autori liguri già noti, come Frantumi (1918) di Giovanni Boine (1887-1917), e soprattutto Trucioli (1920) dell’amico Camillo Sbarbaro (1888-1967). In seguito però la scelta cade su Ossi di seppia, che suggerisce fin da subito l’antitesi fra mare e terra che percorre l’intero libro. Gli “ossi”, infatti, sono le conchiglie dorsali delle seppie, levigate dal mare, che le restituisce alle spiagge ridotte alla loro candida essenzialità. Essi perciò rappresentano un perfetto correlativo oggettivo dello stato d’animo dominante nella raccolta, in cui il poeta sostituisce all’idea dannunziana di una panica fusione tra l’individuo e la natura un sentimento di aridità, disagio, solitudine, solo a tratti lenito dall’azione benefica del mare Mediterraneo.

La struttura e i modelli

Un romanzo di formazione «strozzato» L’intera raccolta insiste sulla medesima dinamica. Il poeta constata l’impossibilità dell’«incanto», cioè di un consolante ed effimero entusiasmo per la vita: lo scacco esistenziale non conosce alcuna possibilità di evasione dai meccanismi ripetitivi della vita quotidiana, né nel tempo (tramite il ricordo) né nello spazio (tramite un’immersione nella natura). Cadute le illusioni, subentra la coscienza di un «male di vivere» che non ha via d’uscita.

L’itinerario di formazione a cui l’opera tendeva resta così «strozzato», bloccato nei suoi sviluppi: al poeta non resta che accettare «senza viltà» il destino amaro che la vita riserva. Solo a tratti un «miracolo» riesce a interrompere il corso delle cose, restituendo senso e armonia alla realtà. Non occorrono per questo una fede religiosa o sensibilità squisite: basta lasciarsi sorprendere da improvvisi momenti di vitalità, da un bagliore prodigioso, dal benessere inatteso che può per esempio procurare l’odore intenso dei limoni lungo la propria strada.

Le situazioni descritte non si traducono quindi in una parabola narrativa lineare, che consenta di leggere le singole liriche in successione, dall’inizio alla fine, come tappe di un’evoluzione. Quest’ultima va riconosciuta piuttosto all’interno delle diverse sezioni in cui il libro è suddiviso, che andranno dunque lette in parallelo e che propongono – ciascuna secondo diverse modalità – la dialettica tra grazia e condanna, tra speranza e illusione: una dialettica che puntualmente si risolve a favore dei secondi termini delle coppie.

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Le quattro sezioni Nella loro edizione definitiva, gli Ossi di seppia consistono di 61 testi distribuiti in 4 sezioni (Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre), precedute da una poe­sia in corsivo che funge da premessa, In limine, e seguite da un testo, composto intorno al 1920, Riviere. La disposizione delle poesie in effetti non rispecchia l’ordine di composizione.

  • Prima sezione, Movimenti: racchiude 13 testi giocati sull’opposizione fra mare e terra, natura e città, infanzia e maturità; i primi tre termini, fra loro correlati, rappresentano il polo positivo, in cui si avverte la speranza di un possibile accordo, quasi in senso musicale, fra l’uomo e la natura, i secondi tre quello negativo.
  • Seconda sezione (che dà il titolo al volume), Ossi di seppia: comprende 22 testi comunemente definiti “ossi brevi”, per via delle dimensioni contenute (in media intorno ai 10-15 versi ciascuno). Con un linguaggio asciutto e disadorno il poeta traspone il «male di vivere» in una serie di oggetti e situazioni densi di significato.
  • Terza sezione, Mediterraneo: è assimilabile a un poemetto; i 9 “movimenti” di cui si compone prevedono un unico interlocutore, il mare, rispetto al quale il poeta matura un progressivo distacco.
  • Quarta sezione, Meriggi e ombre (Meriggi nella prima edizione del 1925): contiene 15 testi, i più estesi e impegnativi della raccolta. Sono incentrati su un’ipotesi di salvezza legata a una figura femminile, motivo che verrà poi ampiamente sviluppato nelle Occasioni.

Modelli e fonti Nella sua raccolta d’esordio Montale «attraversa» senza timori reverenziali l’ingombrante modello dannunziano: fa cioè i conti con esso, superando però la solarità e il trionfalismo stilistico e ideologico di Alcyone. La metafora dell’attraversamento si può estendere ad altri autori di riferimento che il poeta ligure ha ben presenti. Da Leopardi, per esempio, egli riprende l’idea della poesia come strumento per indagare il senso della nostra presenza nel mondo; da Pascoli il tema del ritorno dei morti e la proiezione di significati profondi e “turbati” negli elementi naturali, ma anche il gusto per la precisione del lessico, applicato alla flora, alla fauna, al mondo contadino.

Un discorso a sé merita il legame con il Dante “petroso”, a cui Montale guarda ogni qual volta abbia necessità di innalzare il tono del discorso: da Dante vengono così riprese le sonorità aspre e difficili, particolarmente adatte a veicolare la sua visione non pacificata dell’esistenza propria di Montale. Ancora, assume un ruolo primario il rapporto con i poeti vociani, di taglio espressionista come Clemente Rebora, o inclini a un canto desolato e “in sordina” come Camillo Sbarbaro, al quale sono dedicate due liriche della sezione Movimenti.

Fuori dall’ambito poetico va infine considerata la profonda suggestione esercitata su di lui dall’inettitudine di Zeno Cosini, il protagonista della Coscienza di Zeno di Italo Svevo, romanzo in cui Montale ritrova quell’insanabile frattura fra soggetto e mondo già mostrata anche dal grande romanziere russo Fëdor Dostoevskij.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi