T4 - Marzo 1821 (Odi civili)

T4

Marzo 1821

Odi civili

L’ode fu composta quando, nel marzo 1821, sembrava che i piemontesi fossero sul punto di varcare il Ticino per unirsi ai lombardi e muovere contro gli austriaci. L’avvenimento, però, non si verificò, e Manzoni dovette attendere il 1848, dopo le Cinque giornate di Milano (quando il Ticino fu veramente varcato da Carlo Alberto), per poter pubblicare il testo.


Metro
 ottave di decasillabi (di cui il quarto e l’ottavo di ogni strofa tronchi) con schema di rime ABBCADDC.

Alla illustre memoria di Teodoro Koerner poeta e soldato della indipendenza germanica morto sul campo di Lipsia il giorno XVIII d’ottobre MDCCCXIII nome caro a tutti i popoli che combattono per difendere o per conquistare una patria

Soffermati sull’arida sponda

vòlti i guardi al varcato Ticino,

tutti assorti nel novo destino,

certi in cor dell’antica virtù,

5      han giurato: Non fia che quest’onda

scorra più tra due rive straniere;

non fia loco ove sorgan barriere

tra l’Italia e l’Italia, mai più!

L’han giurato: altri forti a quel giuro

10    rispondean da fraterne contrade,

affilando nell’ombra le spade

che or levate scintillano al sol.

Già le destre hanno strette le destre;

già le sacre parole son porte;

15    o compagni sul letto di morte,

o fratelli su libero suol.

Chi potrà della gemina Dora,

della Bormida al Tanaro sposa,

del Ticino e dell’Orba selvosa

20    scerner l’onde confuse nel Po;

chi stornargli del rapido Mella

e dell’Oglio le miste correnti,

chi ritorgliergli i mille torrenti

che la foce dell’Adda versò,

25    quello ancora una gente risorta

potrà scindere in volghi spregiati,

e a ritroso degli anni e dei fati,

risospingerla ai prischi dolor;

una gente che libera tutta

30    O fia serva tra l’Alpe ed il mare;

una d’arme, di lingua, d’altare,

di memorie, di sangue e di cor.

Con quel volto sfidato e dimesso,

con quel guardo atterrato ed incerto

35    con che stassi un mendico sofferto

per mercede nel suolo stranier,

star doveva in sua terra il Lombardo:

l’altrui voglia era legge per lui;

il suo fato un segreto d’altrui;

40    la sua parte servire e tacer.

O stranieri, nel proprio retaggio

torna Italia e il suo suolo riprende;

o stranieri, strappate le tende

da una terra che madre non v’è.

45    Non vedete che tutta si scote,

dal Cenisio alla balza di Scilla?

Non sentite che infida vacilla

sotto il peso de’ barbari piè?

O stranieri! Sui vostri stendardi

50    Sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;

un giudizio da voi proferito

v’accompagna a l’iniqua tenzon;

voi che a stormo gridaste in quei giorni:

Dio rigetta la forza straniera;

55    ogni gente sia libera e pèra

della spada l’iniqua ragion.

Se la terra ove oppressi gemeste

preme i corpi de’ vostri oppressori,

se la faccia d’estranei signori

60    tanto amara vi parve in quei dì;

chi v’ha detto che sterile, eterno

saria il lutto dell’itale genti?

Chi v’ha detto che ai nostri lamenti

saria sordo quel Dio che v’udì?

65    Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia

chiuse il rio che inseguiva Israele,

quel che in pugno alla maschia Giaele

pose il maglio ed il colpo guidò;

quel che è Padre di tutte le genti,

70    che non disse al Germano giammai:

Va’, raccogli ove arato non hai;

spiega l’ugne; l’Italia ti do.

Cara Italia! dovunque il dolente

grido uscì del tuo lungo servaggio;

75    dove ancor dell’umano lignaggio

ogni speme deserta non è:

dove già libertade è fiorita,

dove ancor nel segreto matura,

dove ha lacrime un’alta sventura,

80    non c’è cor che non batta per te.

Quante volte sull’alpe spïasti

l’apparir d’un amico stendardo!

Quante volte intendesti lo sguardo

ne’ deserti del duplice mar!

85    Ecco alfin dal tuo seno sboccati,

stretti intorno ai tuoi santi colori,

forti, armati dei propri dolori,

i tuoi figli son sorti a pugnar.

Oggi, o forti, sui volti baleni

90    il furor delle menti segrete:

per l’Italia si pugna, vincete!

Il suo fato sui brandi vi sta.

O risorta per voi la vedremo

al convito dei popoli assisa,

95    opiù serva, più vil, più derisa

sotto l’orrida verga starà.

Oh giornate del nostro riscatto!

Oh dolente per sempre colui

che da lunge, dal labbro d’altrui,

100  come un uomo straniero, le udrà!

Che a’ suoi figli narrandole un giorno,

dovrà dir sospirando: «io non c’era»;

che la santa vittrice bandiera

salutata quel dì non avrà.

 >> pagina 829 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il componimento presenta una struttura chiaramente tripartita. Nella prima sezione (vv. 1-40) il poeta immagina che le truppe piemontesi abbiano superato il Ticino per congiungersi a quelle dei patrioti lombardi, tratta il tema dell’Unità nazionale, offre un’efficace definizione di nazione (una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor, vv. 31-32) e conclude ricordando il passato (ma in realtà, quando scrive, ciò è ancora il presente) di soggezione delle genti lombarde al dominio austro-ungarico. Nella seconda parte (vv. 41-72) apostrofa gli austriaci accusandoli dei soprusi da loro commessi in Italia, soprattutto alla luce della passata lotta per la libertà del loro popolo ai tempi delle guerre napoleoniche; afferma poi che il dominio straniero su una terra che dovrebbe invece essere libera non corrisponde al volere divino. La terza parte (vv. 73-104) contiene l’incitamento al popolo italiano a lottare per l’indipendenza, rendendosi così artefice del proprio destino. Nell’ultima strofa, in particolare, il poeta si proietta con l’immaginazione nel futuro, immaginando il rammarico di coloro che non avranno partecipato in prima persona alla lotta di liberazione e ne sentiranno solamente parlare, come se fossero stranieri, non avendo condiviso con gli altri patrioti la gioia di un combattimento glorioso.

Manzoni scrive questi versi nel 1821, quando gli ideali di libertà si erano diffusi tra tutti i popoli europei ed erano nate un po’ dappertutto le società segrete, che si proponevano di liberare i popoli oppressi dal dominio straniero mediante azioni insurrezionali. L’autore afferma che l’ora dell’unità della nazione è finalmente scoccata e che chi si oppone a questo percorso storico si contrappone, di fatto, alla stessa volontà divina.

Il punto centrale dell’ode è infatti costituito dall’affermazione che Dio è Padre di tutte le genti (v. 69) e, come tale, non ha mai autorizzato alcun popolo a opprimerne e a sfruttarne altri. Come gli austriaci avevano avuto ragione a difendere la propria libertà combattendo contro Napoleone, così anche gli italiani ora combattono per una causa giusta, mentre chi li opprime ha tradito quei valori di libertà che solo pochi anni prima aveva solennemente proclamato. Da qui la dedica a Teodoro Koerner, poeta ed eroe dell’indipendenza germanica, morto combattendo a Lipsia per l’autonomia della sua nazione.

Manzoni sente il cristianesimo come religione dell’amore e della fratellanza tra gli uomini, cioè come il credo della libertà politica e morale di tutti. Il tema patriottico viene così svolto alla luce di una precisa visione etica e religiosa.

 >> pagina 830

Le scelte stilistiche

L’ode Marzo 1821 è uno dei migliori esempi della produzione patriottica del Risorgimento. Ha scritto il critico Francesco De Sanctis: «Non è solo un inno di guerra agli Italiani, ma un richiamo a tutte le nazioni civili; la parola del Poeta è indirizzata agli Italiani e ai Tedeschi insieme. In tanta concitazione di animi non gli esce una sola parola di odio, di vendetta, di bassa passione».

Si tratta, di fatto, di una poesia parenetica, volta cioè a esortare i lettori nella direzione dell’impegno civile-militare e della condivisione dei valori civili che ne stanno alla base. Da qui la necessità di raggiungere un tono di alta e solenne eloquenza: ciò che avviene tramite l’utilizzo di diversi espedienti retorici, come le interiezioni (Oh giornate del nostro riscatto!, v. 97; Oh dolente... le udrà!, vv. 98-100) e le apostrofi (O stranieri, vv. 41 e 49; Cara Italia!, v. 73; o forti, v. 89). La stessa scelta dei decasillabi è quella di un metro martellante e marziale, quasi da marcia militare. L’aggettivazione tende a evidenziare il contrasto tra la visione provvidenziale (che vuole la libertà della nazione italiana) e la realtà di soggezione sopportata dal paese fino a quel momento: si vedano, per esempio, sfidato e dimesso (v. 33), atterrato ed incerto (v. 34), sofferto (v. 35) ecc.

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Sintetizza il contenuto dell’ode in circa 10 righe.


2 Qual è il novo destino (v. 3) che attende i piemontesi?


3 Di chi potrebbe essere l’amico stendardo del v. 82?


4 Che cos’è il furor delle menti segrete (v. 90)?

ANALIZZARE

5 Oltre alle interiezioni e alle apostrofi, altri espedienti volti a sostenere il tono elevato del componimento sono le interrogative retoriche, le anafore, i parallelismi, i chiasmi, le personificazioni. Trovane esempi nel testo completando la seguente tabella.


Interrogative Retoriche 1.
2.
3.
Anafore 1.
2.
3.
Parallelismi 1.
2.
3.
Chiasmi 1.
2.
3.
Personificazioni 1.
2.
3.

6 Quale figura retorica troviamo nella frase Se la terra ove oppressi gemeste / preme i corpi de’ vostri oppressori (vv. 57-58)?


7 Evidenzia i passi in cui la visione politica e quella religiosa si intrecciano e si confermano a vicenda.

 >> pagina 831

INTERPRETARE

8 I critici hanno notato in questo testo l’accostamento inatteso di parole normalmente tra loro lontane: per esempio, al v. 87, armati dei propri dolori. Prova a spiegare il significato di tale espressione, apparentemente paradossale, alla luce della situazione storica descritta da Manzoni in questa poesia.

Produrre

9 Scrivere per argomentare. Rifletti sulla definizione manzoniana di nazione (una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor, vv. 31-32) e spiega (in un testo di circa 40 righe) se, a tuo avviso, oggi – a seguito dei cambiamenti storici e sociali intercorsi – essa sia ancora attuale o meno.

Dibattito in classe

10 Confronta l’ode con il Canto degli italiani di Goffredo Mameli ( p. 717): quali sono le somiglianze e le differenze? Secondo te, anche Marzo 1821 avrebbe potuto essere scelto come inno nazionale? perché? Discutine con i compagni.

Per approfondire I moti del 1820-1821

I moti del 1820-1821 furono rivoluzioni organizzate da società segrete (Carboneria e altre) con finalità costituzionali e liberali. La loro repressione dimostrò la capacità di intervento della Santa Alleanza e la portata delle difficoltà che il movimento liberale e nazionale italiano avrebbe dovuto affrontare sulla strada dell’indipendenza e dell’unità.

Dalla Spagna al Regno delle Due Sicilie

I fatti ebbero inizio in Spagna il 1° gennaio 1820, quando il colonnello Quiroga e l’ufficiale Riego sollevarono a Cadice le truppe pronte a imbarcarsi per l’America. L’insurrezione si estese ad altre province e il re Ferdinando VII fu costretto a concedere la Costituzione spagnola del 1812, il modello più democratico dopo quelle francesi del 1791 e 1793.L’esempio spagnolo incoraggiò la Carboneria napoletana, al cui vertice era il generale Guglielmo Pepe. Il 2 luglio due sottotenenti di cavalleria, Morelli e Silvati, si sollevarono con il loro squadrone e occuparono Avellino. Il moto dilagò fulmineo e già il 7 luglio Ferdinando I concesse la Costituzione spagnola, che fu accettata anche dalla Sicilia orientale. Palermo invece il 14-16 luglio insorse rivendicando il ristabilimento dell’autonomia dell’isola, soppressa con l’istituzione del regno delle Due Sicilie, e l’egemonia palermitana. Il governo rivoluzionario di Napoli fece ricorso all’intervento armato, ma in ottobre la frattura non era ancora definitivamente ricomposta.Nel frattempo Metternich, consapevole che in Spagna e a Napoli si giocava la credibilità del sistema di controllo internazionale istituito a Vienna nel 1815, faceva solennemente proclamare a Troppau il diritto di intervento. Nel gennaio 1821 il re Ferdinando I, smentendo il giuramento di fedeltà prestato a Napoli alla Costituzione da lui concessa, chiese l’intervento austriaco. Agli inizi di marzo un esercito di 50.000 uomini sconfisse l’esercito rivoluzionario ed entrò a Napoli, dove Ferdinando I attuò una dura repressione.

I moti piemontesi

Nello stesso mese di marzo iniziò tuttavia il moto piemontese. I federati, capeggiati da Santorre di Santarosa, avevano ritardato l’azione convinti di poter coinvolgere nel loro progetto la dinastia e in particolare il principe Carlo Alberto di Carignano, possibile erede al trono.Lo spostamento dell’esercito austriaco verso Napoli convinse però una parte cospicua di carbonari e federati, non solo del Piemonte, ma anche della Lombardia, che fosse quello l’unico momento per colpire l’Austria. Quando l’8 marzo 1821 si sollevò la fortezza di Alessandria e il 12 il re Vittorio Emanuele I abdicò a favore di Carlo Felice, Carlo Alberto, nominato reggente per l’assenza da Torino del nuovo sovrano, concedette la Costituzione di Spagna solo perché non seppe resistere alla pressione di carbonari e federati, subendola quindi come un’imposizione.Quando Carlo Felice, da Modena, lo sconfessò e gli intimò di lasciare Torino, diede la sensazione ancora per qualche giorno di voler dirigere il nuovo regime, ma il 20 lasciò nottetempo la città e si recò a Novara presso le truppe rimaste fedeli al re. L’8 aprile gli insorti furono sconfitti presso Novara dalle truppe sabaude e dall’esercito austriaco. La repressione non fu cruenta. Le poche condanne a morte emesse furono nei confronti di cospiratori già fuggiti all’estero. La repressione fu durissima invece in Spagna, dopo che un esercito francese nel 1823 ebbe eseguito il mandato del congresso della Santa Alleanza a Verona e ristabilito il potere assoluto di Ferdinando VII.

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento