T4
Il proemio
Il Mattino, vv. 1-32
Il Mattino, vv. 1-32
Proponiamo qui i primi versi del Mattino (secondo il testo dell’edizione del 1763), che fungono da proemio dell’opera: il Giovin Signore è invitato ad ascoltare il suo Precettor d’amabil Rito, un insegnante – il poeta stesso – incaricato di mostrargli quali siano i suoi doveri sociali.
Audiolettura
Giovin Signore, o a te scenda per lungo
di magnanimi lombi ordine il sangue
purissimo celeste, o in te del sangue
emendino il difetto i compri onori
5 e le adunate in terra o in mar ricchezze
dal genitor frugale in pochi lustri,
me Precettor d’amabil Rito ascolta.
Come ingannar questi noiosi e lenti
giorni di vita, cui sì lungo tedio
10 e fastidio insoffribile accompagna,
or io t’insegnerò. Quali al Mattino,
quai dopo il Mezzodì, quali la Sera
esser debban tue cure apprenderai,
se in mezzo a gli ozj tuoi ozio ti resta
15 pur di tender gli orecchi a’ versi miei.
Già l’are a Vener sacre e al giocatore
Mercurio ne le Gallie e in Albïone
devotamente hai visitate, e porti
pur anco i segni del tuo zelo impressi:
20 ora è tempo di posa. In vano Marte
a sé t’invita; ché ben folle è quegli
che a rischio de la vita onor si merca,
e tu naturalmente il sangue aborri.
Né i mesti de la Dea Pallade studj
25 ti son meno odiosi: avverso ad essi
ti feron troppo i queruli ricinti
ove l’arti migliori, e le scienze,
cangiate in mostri, e in vane orride larve,
fan le capaci volte echeggiar sempre
30 di giovanili strida. Or primamente
odi quali il Mattino a te soavi
cure debba guidar con facil mano.
Il proemio del Mattino, dopo un’apostrofe rivolta al Giovin Signore, al quale il poeta si offre come Precettor d’amabil Rito (vv. 1-7), presenta l’argomento dell’intero poemetto (vv. 8-15). Dai versi immediatamente successivi, attraverso pochi ma efficaci tratti, comincia poi a delinearsi la figura del nobile protagonista.
Fin dall’esordio è evidente la forte componente ironica del Giorno: si afferma di voler celebrare la nobiltà del giovane quand’anche si trattasse di un titolo acquistato con il denaro da un padre economo e abile nei guadagni, mentre è chiaro che la vera nobiltà, secondo le leggi dell’aristocrazia, dovrebbe essere solo quella di sangue. Ma il poeta-precettore finge di non dare peso a questa fondamentale distinzione, e si dichiara pronto a guidare l’ultimo rampollo di una casata più o meno nobile: un giovane ozioso e frivolo, che non ascolta i richiami dell’impegno bellico né dell’applicazione allo studio, ma consuma il suo tempo e le sue forze in convegni galanti e in giochi d’azzardo.
Il ruolo assunto dal precettore è del resto del tutto anomalo: contrariamente a quanto accade nei poemi didascalici “seri”, egli non impartirà al suo allievo insegnamenti oggettivamente utili, ma si limiterà a mostrargli come ingannare la noia. Il fatto che questo compito sia enunciato con una solenne serietà è parte della strategia di ribaltamento ironico che regola tutta l’opera.
Nel quadro di questo ribaltamento, comunque, c’è lo spazio per un’aperta polemica contro i metodi educativi tradizionali, oscurantisti e punitivi (i queruli ricinti / ove l’arti migliori, e le scienze, / cangiate in mostri, e in vane orride larve, / fan le capaci volte echeggiar sempre / di giovanili strida, vv. 26-30). Si tratta di un argomento tipicamente illuminista, che di lì a poco avrebbe trovato la più celebre consacrazione con la pubblicazione postuma (1782) del romanzo Emilio di Jean-Jacques Rousseau. Tuttavia, per quanto a quei tempi l’educazione fosse condotta in modo tale da creare negli allievi disgusto – anziché amore – per il sapere, ciò non toglie che il giovin signore odi gli studi soprattutto a causa della sua pigrizia e del suo disinteresse per la cultura.
Tipico tema illuministico è anche il rifiuto della guerra (In vano Marte / a sé t’invita; ché ben folle è quegli / che a rischio de la vita onor si merca, / e tu naturalmente il sangue aborri, vv. 20-23), che però il giovin signore fa proprio solo in chiave egoistica, anche qui come pretesto per scansare le fatiche e i rischi della vita militare.
Lo stile è alto, solenne, classicheggiante, come si addice al proemio di un poema. Tuttavia, tale enfasi si rivela presto ironica, riferita com’è a un individuo inerte, che disprezza le occupazioni migliori per dedicarsi completamente a ciò che di più vacuo c’è nella vita di una persona. Così l’ampio fraseggiare (si veda la struttura ricca di iperbati del primo, lungo periodo, che occupa i vv. 1-7), il lessico aulico (sangue / purissimo celeste, vv. 2-3; compri onori, v. 4; lungo tedio, v. 9, e così via), i nomi delle divinità classiche (Venere, Mercurio, Marte, Pallade Atena) stridono volutamente con la futilità dell’esistenza del giovane aristocratico.
1 Qual è l’argomento del poemetto?
2 A quali due tipi di nobiltà fa riferimento il poeta nella prima strofa?
3 Quali sono le caratteristiche del giovin signore?
4 Per quale motivo il giovane nobile non intende dedicarsi alle attività militari? Perché odia lo studio?
5 Perché il precettore si autodefinisce d’amabil Rito (v. 7)? A che cosa fa riferimento?
6 Trova alcuni esempi di iperbato.
7 In quali punti il poeta utilizza procedimenti retorici di tipo antifrastico?
8 Come si configura, sin dall’inizio, l’atteggiamento del poeta nei confronti del suo personaggio?
9 Scrivere per descrivere. Conosci persone simili al giovin signore descritto da Parini? Tracciane un ritratto in un testo descrittivo-narrativo di circa 30 righe.
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento