Al proemio dell’opera segue la descrizione del lungo sonno del giovin signore, che giace ancora pigramente fra le lenzuola mentre il resto del mondo è già da molto tempo attivo e laborioso. Il poeta ne descrive minutamente le occupazioni per evidenziare la vacuità della sua vita.
Metro Endecasillabi sciolti.
Sorge il Mattino in compagnìa dell’Alba
innanzi al Sol che di poi grande appare
35 su l’estremo orizzonte a render lieti
gli animali e le piante e i campi e l’onde.
Allora il buon villan sorge dal caro
letto cui la fedel sposa, e i minori
suoi figlioletti intepidìr la notte;
40 poi sul collo recando i sacri arnesi
che prima ritrovàr Cerere, e Pale,
va col bue lento innanzi al campo, e scuote
lungo il picciol sentier da’ curvi rami
il rugiadoso umor che, quasi gemma,
45 i nascenti del Sol raggi rifrange.
Allora sorge il Fabbro, e la sonante
officina riapre, e all’opre torna
l’altro dì non perfette, o se di chiave
ardua e ferrati ingegni all’inquieto
50 ricco l’arche assecura, o se d’argento
e d’oro incider vuol giojelli e vasi
per ornamento a nuove spose o a mense.
Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo,
qual istrice pungente, irti i capegli
55 al suon di mie parole? Ah non è questo,
Signore, il tuo mattin. Tu col cadente
sol non sedesti a parca mensa, e al lume
dell’incerto crepuscolo non gisti
jeri a corcarti in male agiate piume,
60 come dannato è a far l’umile vulgo.
A voi celeste prole, a voi concilio
di Semidei terreni altro concesse
Giove benigno: e con altr’arti e leggi
per novo calle a me convien guidarvi.
65 Tu tra le veglie, e le canore scene,
e il patetico gioco oltre più assai
producesti la notte; e stanco alfine
in aureo cocchio, col fragor di calde
precipitose rote, e il calpestìo
70 di volanti corsier, lunge agitasti
il queto aere notturno, e le tenèbre
con fiaccole superbe intorno apristi,
siccome allor che il Siculo terreno
dall’uno all’altro mar rimbombar feo
75 Pluto col carro a cui splendeano innanzi
le tede de le Furie anguicrinite.
Così tornasti a la magion; ma quivi
a novi studj ti attendea la mensa
cui ricoprien pruriginosi cibi
80 e licor lieti di Francesi colli,
o d’Ispani, o di Toschi, o l’Ongarese
bottiglia a cui di verde edera Bacco
concedette corona; e disse: siedi
de le mense reina. Alfine il Sonno
85 ti sprimacciò le morbide coltrici
di propria mano, ove, te accolto, il fido
servo calò le seriche cortine:
e a te soavemente i lumi chiuse
il gallo che li suole aprire altrui.
90 Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi
non sciolga da’ papaveri tenaci
Mòrfeo prima, che già grande il giorno
tenti di penetrar fra gli spiragli
de le dorate imposte, e la parete
95 pingano a stento in alcun lato i raggi
del Sol ch’eccelso a te pende sul capo.
Or qui principio le leggiadre cure
denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo
sciorre il mio legno, e co’ precetti miei
100 te ad alte imprese ammaestrar cantando.
Già i valetti gentili udìr lo squillo
del vicino metal cui da lontano
scosse tua man col propagato moto;
e accorser pronti a spalancar gli opposti
105 schermi a la luce, e rigidi osservàro,
che con tua pena non osasse Febo
entrar diretto a saettarti i lumi.
Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia
alli origlieri i quai lenti gradando
110 all’omero ti fan molle sostegno.
Poi coll’indice destro, lieve lieve
sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua
quel che riman de la Cimmeria nebbia;
e de’ labbri formando un picciol arco,
115 dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
O, se te in sì gentile atto mirasse
il duro capitan qualor tra l’armi,
sgangherando le labbra, innalza un grido
lacerator di ben costrutti orecchi,
120 onde a le squadre varj moti impone;
se te mirasse allor, certo vergogna
avria di sé più che Minerva il giorno
che, di flauto sonando, al fonte scorse
il turpe aspetto de le guance enfiate.
125 Ma già il ben pettinato entrar di novo
tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede
quale oggi più de le bevande usate
sorbir ti piaccia in preziosa tazza:
indiche merci son tazze e bevande;
130 scegli qual più desii. S’oggi ti giova
porger dolci allo stomaco fomenti,
sì che con legge il natural calore
v’arda temprato, e al digerir ti vaglia,
scegli ’l brun cioccolatte, onde tributo
135 ti dà il Guatimalese e il Caribbèo
c’ha di barbare penne avvolto il crine:
ma se nojosa ipocondrìa t’opprime,
o troppo intorno a le vezzose membra
adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
140 la nettarea bevanda ove abbronzato
fuma, ed arde il legume a te d’Aleppo
giunto, e da Moca che di mille navi
popolata mai sempre insuperbisce.
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Dentro il TESTO
I contenuti tematici
Il brano è tutto giocato sul contrasto fra il pigro risveglio del giovin signore e la vita che già gli ferve intorno. La prima figura evocata è quella del contadino che si alza all’alba, si carica in spalla gli attrezzi e va verso i campi con il bue. Il prezioso dettaglio dei rami da cui cade la rugiada, scintillante come le gemme (vv. 44-45), e i richiami classici (per esempio alle dee Cerere e Pale, v. 41) sono elementi ancora tipici del gusto arcadico, grazie al quale l’autore manifesta la sua predilezione per la vita rurale rispetto a quella urbana.
Da quel gusto si discosta invece nettamente la figura del fabbro, il cui duro lavoro è ricondotto alla soddisfazione dei capricci della classe benestante. L’accenno al ricco inquieto per la paura dei ladri è per il poeta il modo di stigmatizzare i ceti abbienti e i loro privilegi, che essi sentono costantemente in pericolo. Un’analoga, feroce ironia è contenuta nella descrizione del terrore e della stizza che il giovin signore prova a sentir parlare di modesti operai e contadini. Egli inorridisce al semplice pensiero di doversi alzare all’alba e di svolgere un simile lavoro: i capelli gli si rizzano sul capo, in un’immagine comica che colpisce l’attenzione del lettore, infrangendo bruscamente l’idilliaca descrizione dei lavoratori operosi.
Segue la rievocazione della notte che ha preceduto il tardo risveglio del nobile rampollo: con enfasi e profusione di immagini mitologiche viene delineata la vita mondana degli aristocratici, che include ricche cene notturne e un sonno che si protrae fino a giorno inoltrato.
È a questo punto che la sequenza del risveglio elenca le diverse fasi che scandiscono il difficile mattino del fatuo damerino, costretto alla faticosa impresa di alzarsi dal letto. L’effetto straniante, con il quale viene parodizzata la vacuità della sua esistenza, si manifesta ora con un elogio così iperbolico da evidenziare l’aspetto ridicolo: l’apertura attenta delle imposte da parte dei servitori permetterà infatti al rampollo di non essere offeso dalla luce filtrante dei raggi mattutini, preservandogli una delicata oscurità. Non osasse Febo / entrar diretto (vv. 106-107), intima il precettore, arrivando ad accusare nientemeno che il Sole, il divino Apollo della mitologia classica, di hybris, cioè di tracotanza, nell’ardire di mancare di rispetto a un dio in terra.
Allo stesso modo, l’atto finale, incentrato sulla scelta della bevanda da assaporare, suggella enfaticamente l’indecente squallore di un’esistenza infima. Il dilemma cioccolato-caffè è presentato infatti come una questione dirimente, della massima gravità: meglio il cioccolato, offerto dal lavoro di individui di civiltà lontane ma orgogliosi di rendere omaggio al giovin signore, o il caffè, più adatto a sollevare l’umore dei nobili settecenteschi, affetti dall’ipocondrìa (v. 137)?
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Le scelte stilistiche
L’uso della mitologia risponde in Parini a diversi obiettivi. Il riferimento a Cerere e a Pale (v. 41) appare serio e quasi commosso, perché allude alla sacralità del lavoro nei campi, un valore in cui il poeta crede profondamente. Al contrario, i successivi rimandi alle divinità antiche, introdotti dall’assimilazione dei nobili a una celeste prole (v. 61) e a un concilio / di Semidei terreni (vv. 61-62), presentano un’evidente funzione ironica e sarcastica, risultando decisamente iperbolici rispetto al giovin signore con cui vengono posti in rapporto: la folle corsa della carrozza paragonata a quella del carro di Plutone che rapisce Proserpina, le fiaccole che illuminano il percorso accostate alle torce portate dalle Furie (vv. 73-76), il Sonno personificato che, con sollecitudine quasi paterna, prepara il letto del giovane (vv. 84-86) la sgradevolezza estetica di Minerva mentre suona il flauto (vv. 122-124) hanno un effetto satirico perché la sproporzione tra la solennità delle immagini e la banalità della vita e delle occupazioni del nobile non fanno che rendere ridicolo quest’ultimo.
La denuncia dei vizi di un’intera classe sociale (è significativo, in tal senso, che al v. 61 si passi temporaneamente dalla seconda persona singolare alla seconda plurale) non è in contrasto con la base classicistica della poesia pariniana. L’adesione alle tesi illuministiche e la dimensione di impegno civile che l’autore attribuisce al proprio lavoro vanno di pari passo con la sua ricerca di uno stile elevato e del decoro formale tipico dei classici latini su cui Parini si era formato.
Qui, per esempio, lo stile del passo è sostenuto, oltre che da un lessico prezioso e aulico, ricco di latinismi (convien, 64; producesti, v. 67; tede, v. 76; anguicrinite, v. 76, e così via), anche dal ricorso a una cospicua serie di figure retoriche. Si trovano artifici fonosimbolici, come la fitta successione di accenti e di parole brevi (quasi tutte di due sillabe) del v. 42, va col bue lento innanzi al campo, e scuote, con cui il poeta «fa quasi sentire la cadenza dei tardi passi del bue» (Pinelli); o come i «cadenzati effetti sonori» (Ferroni) del v. 74, dall’uno all’altro mar rimbombar feo, che riproducono il rimbombo del carro di Plutone. Si trovano anafore (Allora, vv. 37 e 46, a sottolineare l’accordo tra la vita dei lavoratori e i ritmi della natura; A voi […] a voi, v. 61, con un chiaro valore ironico nei confronti di quella celeste prole e di quel concilio di Semidei rappresentati dall’oziosa nobiltà settecentesca). Compaiono, ancora, numerosi enjambement (come quello tra i vv. 49 e 50, inquieto / ricco, che introduce un ulteriore motivo di critica sociale); ipallagi (i nascenti del Sol raggi, v. 45; al lume / dell’incerto crepuscolo, vv. 57-58); di barbare penne, v. 136; sineddochi (male agiate piume, v. 59); metonimie (papaveri tenaci, v. 91; il mio legno, v. 99); metafore (la stessa espressione sciorre il mio legno, v. 99, metal, v. 102, che assimila la poesia alla navigazione). Sul piano sintattico, infine, si trovano i consueti, numerosissimi iperbati, che contribuiscono a innalzare il tono dell’opera.
Verso le COMPETENZE
Comprendere
1 Che cosa succede nel “mondo comune” quando sorge il sole?
2 Perché il giovin signore inorridisce alle parole del suo precettore?
3 Come ha trascorso la serata e la notte precedenti il giovane nobile?
Analizzare
4 I modi di vita antichi e “naturali” sono spesso posti da Parini in contrasto con quelli del suo tempo. Quali sono i primi e i secondi in questo brano? In che modo tale contrapposizione si lega a quella tra popolo e nobiltà?
5 La poesia pariniana tende spesso a nobilitare aspetti banali e prosaici del quotidiano. In questo brano, dove si nota un simile approccio?
6 Spiega il significato delle ipallagi, delle sineddochi e delle metonimie segnalate nell’analisi.
7 Rintraccia nel testo tre esempi di iperbato.
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Interpretare
8 Quale atteggiamento ha l’istitutore nei confronti del suo allievo? È severo o lassista? Motiva la tua risposta facendo opportuni riferimenti al testo.
9 Perché Parini rappresenta in toni ameni il lavoro dei campi? Rispondi facendo riferimento a quanto hai studiato sull’autore.
Produrre
10 Scrivere per raccontare. Scrivi un testo narrativo di circa 40 righe, di contenuto reale o di invenzione, improntato a tua scelta a un tono serio, umoristico o tragicomico, dal titolo Quel giorno in cui sono rimasto a letto fino a tardi.
T6
La vergine cuccia
Il Mezzogiorno, vv. 503-556
L’episodio della vergine cuccia (qui riprodotto secondo il testo dell’edizione del Mezzogiorno del 1765) è uno dei più noti del Giorno, e costituisce un esempio delle condizioni cui doveva sottostare la servitù nelle case dei nobili. Un servitore, la cui unica colpa consiste nell’aver reagito contro una cagnetta che l’ha morso, viene immediatamente licenziato, e la sua famiglia finisce in miseria. Lo sprezzo della sofferenza umana in nome di una malintesa sensibilità “animalista” mostra in maniera tragicomica le conseguenze della disuguaglianza tra individui di diverse classi sociali. Lo spunto per ricordare l’episodio è fornito alla dama dalla perorazione a favore degli animali da parte di un commensale vegetariano (riportata tra virgolette all’inizio del brano).
METRO Endecasillabi sciolti.
«Pera colui che prima osò la mano
armata alzar su l’innocente agnella,
505 e sul placido bue: né il truculento
cor gli piegàro i teneri belati
né i pietosi mugiti né le molli
lingue lambenti tortuosamente
la man che il loro fato, ahimè, stringea».
510 Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto
al suo pietoso favellar dagli occhi
de la tua Dama dolce lagrimetta
pari a le stille tremule, brillanti
che a la nova stagion gemendo vanno
515 dai palmiti di Bacco entro commossi
al tiepido spirar de le prim’aure
fecondatrici. Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
520 giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
525 gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando: aita aita
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l’impietosita Eco rispose:
530 e dagl’infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide tremanti
precipitàro. Accorse ognuno; il volto
fu spruzzato d’essenze a la tua Dama;
535 ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore
l’agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
540 chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
vergine cuccia de le Grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
545 zelo d’arcani uficj: in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne
dell’assisa spogliato ond’era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
550 inorridìro, e del misfatto atroce
odiàr l’autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
555 e tu vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.
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Analisi ATTIVA
I contenuti tematici
L’episodio trae spunto dalle parole di un commensale vegetariano (il vegetarianismo, presso le classi più elevate, esisteva già nel Settecento), che, criticando l’abitudine di cibarsi di carne, augura la morte a chi a questo scopo uccide gli animali. La dama che il giovin signore accompagna in qualità di cavalier servente, sentendo tali parole, si commuove, e rievoca un episodio accadutole in passato. Per buona parte del brano (vv. 517-541) il poeta assume il suo punto di vista, e con un’immagine di gusto arcadico e classicistico – dall’effetto, ancora una volta, ironico –, paragona le lacrime della donna alle gocce di linfa che stillano sui tralci della vite a primavera (la similitudine* è ispirata alle Georgiche di Virgilio, II, 330-335). All’ironia dell’immagine bucolica si aggiunge il sarcasmo rivolto all’assurda ipersensibilità della dama, tanto piena di attenzioni e di morbosa empatia verso la sua cagnetta quanto indifferente al destino dei suoi servi.
Questa mancanza di senso delle proporzioni – per cui si asseconda il (presunto) capriccio di una cagnetta al prezzo della rovina di un essere umano e della sua famiglia – è il segno inequivocabile, per Parini, della decadenza di una classe sociale che ha smarrito i valori più importanti (quelli cristiani o quelli genericamente umani proposti dagli Illuministi).
1 Come viene descritta la vergine cuccia? Quale effetto vuole dare il poeta?
2 Quali meriti del servo non vengono considerati dalla dama?
Dal v. 542 il punto di vista torna a essere quello del poeta, che può descrivere crudamente la disumanità con cui viene liquidato il servitore e le condizioni disperate in cui egli è gettato insieme alla sua famiglia. Questa parte della narrazione è condotta attraverso immagini ed espressioni forti, volte a suscitare la partecipazione emotiva del lettore (la squallida prole, v. 552; la nudità del servo e della moglie, vv. 546 e 552-553). L’ipocrisia e l’insensibilità della dama diventano così evidenti da apparire agghiaccianti.
3 Individua nel testo i termini che rendono più vivo il dramma della famiglia del servitore.
4 Con quali termini viene descritta la reazione delle altre dame alla notizia? Che tipo di procedimento retorico puoi individuare?
>> pagina 447
Le scelte stilistiche
Rispetto alla gran parte dell’opera, Parini abbandona qui, temporaneamente, l’attitudine all’osservazione e alla descrizione minuziosa, per svolgere invece una vera e propria narrazione di tenore tragicomico (la vicenda è comica per la reazione esagerata della dama, tragica per il destino di sofferenza cui è condannato il servo). Per denunciare l’arroganza – che sconfina nella spietatezza – delle classi dominanti, Parini non si esercita in un discorso teorico, ma sceglie la strada del racconto, come se volesse far parlare i fatti stessi.
5 Il testo può essere diviso in quattro sequenze: indica nella tabella i versi corrispondenti e dai a ciascuna un titolo.
I
vv.
II
vv.
III
vv.
IV
vv.
6 Da quale punto di vista vengono narrati i fatti?
Anche in questo caso la strategia retorica dominante è l’ironia*. In tale chiave vanno lette l’umanizzazione e poi addirittura la divinizzazione della cagnetta: essa è de le Grazie alunna (vv. 519 e 541); ai suoi guaiti risponde la ninfa Eco, emotivamente partecipe del suo dramma (a lei l’impietosita Eco rispose, v. 529); come una divinità, infine, è placata soltanto da sacrifici umani (idol placato / da le vittime umane, vv. 555-556). Non a caso, il servo che ha osato mancarle di rispetto viene definito empio (v. 542) e il suo piede sacrilego (v. 523).
Ironica è anche la ripresa di moduli propri dell’epica classica in riferimento a una materia non certo eroica, ma anzi decisamente prosaica se non addirittura comica: il modulo deprecativo del v. 503 (Pera colui che), peraltro tipico della poesia pariniana (si trova per esempio al v. 25 della Salubrità dell’aria, ▶ T2, p. 415); l’esclamazione ai vv. 517-518, con la ripetizione dello stesso termine (Or le sovviene il giorno, / ahi fero giorno!); la formula omerica della ripetizione del numero al v. 524 (tre volte rotolò; tre volte scosse), simmetricamente richiamata, in relazione non più alla cagnetta ma alla dama che risponde al suo grido d’aiuto, al v. 538 (chiamò tre volte la sua cuccia); l’epiteto formulare de le Grazie alunna, al v. 519 e poi di nuovo al v. 541.
Ancora, nella perifrasi* eufemistica – che rimanda all’ipocrita punto di vista della dama – con cui viene indicato il morso dato dalla vergine cuccia al servo (il piede / villan del servo con l’eburneo dente / segnò di lieve nota, vv. 520-522), si possono notare il valore nobilitante dell’aggettivo eburneo, oltre che del singolare per il plurale (dente anziché “denti”), e l’attenuazione di derivazione classica di lieve nota. Sarcastico, infine, è l’aggettivo pietose riferito alle dame al v. 549: la loro pietà, infatti, si esercita unicamente verso gli animali, tanto da esaurirsi prima di potersi indirizzare verso gli esseri umani.
7 Quali strategie retoriche usa il poeta per descrivere l’accorrere in soccorso della vergine cuccia (vv. 527-535)? Quale effetto producono?
8 A quale genere letterario rimandano le numerose ripetizioni e gli epiteti presenti nel testo?
9 Scrivere per argomentare. Animali ed esseri umani possono essere messi sullo stesso piano? Si possono attribuire loro gli stessi diritti? Sviluppa l’argomento in un testo argomentativo di circa 40 righe, facendo se possibile riferimento al dibattito attuale e a fatti realmente accaduti.