T5 - Il risveglio del giovin signore (Il Mattino)

T5

Il risveglio del giovin signore

Il Mattino, vv. 33-143

Al proemio dell’opera segue la descrizione del lungo sonno del giovin signore, che giace ancora pigramente fra le lenzuola mentre il resto del mondo è già da molto tempo attivo e laborioso. Il poeta ne descrive minutamente le occupazioni per evidenziare la vacuità della sua vita.


Metro Endecasillabi sciolti.

Sorge il Mattino in compagnìa dell’Alba

innanzi al Sol che di poi grande appare

35    su l’estremo orizzonte a render lieti

gli animali e le piante e i campi e l’onde.

Allora il buon villan sorge dal caro

letto cui la fedel sposa, e i minori

suoi figlioletti intepidìr la notte;

40    poi sul collo recando i sacri arnesi

che prima ritrovàr Cerere, e Pale,

va col bue lento innanzi al campo, e scuote

lungo il picciol sentier da’ curvi rami

il rugiadoso umor che, quasi gemma,

45    i nascenti del Sol raggi rifrange.

Allora sorge il Fabbro, e la sonante

officina riapre, e all’opre torna

l’altro dì non perfette, o se di chiave

ardua e ferrati ingegni all’inquieto

50    ricco l’arche assecura, o se d’argento

e d’oro incider vuol giojelli e vasi

per ornamento a nuove spose o a mense.

Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo,

qual istrice pungente, irti i capegli

55    al suon di mie parole? Ah non è questo,

Signore, il tuo mattin. Tu col cadente

sol non sedesti a parca mensa, e al lume

dell’incerto crepuscolo non gisti

jeri a corcarti in male agiate piume,

60    come dannato è a far l’umile vulgo.

A voi celeste prole, a voi concilio

di Semidei terreni altro concesse

Giove benigno: e con altr’arti e leggi

per novo calle a me convien guidarvi.

65    Tu tra le veglie, e le canore scene,

e il patetico gioco oltre più assai

producesti la notte; e stanco alfine

in aureo cocchio, col fragor di calde

precipitose rote, e il calpestìo

70    di volanti corsier, lunge agitasti

il queto aere notturno, e le tenèbre

con fiaccole superbe intorno apristi,

siccome allor che il Siculo terreno

dall’uno all’altro mar rimbombar feo

75    Pluto col carro a cui splendeano innanzi

le tede de le Furie anguicrinite.




Così tornasti a la magion; ma quivi

a novi studj ti attendea la mensa

cui ricoprien pruriginosi cibi

80    e licor lieti di Francesi colli,

o d’Ispani, o di Toschi, o l’Ongarese

bottiglia a cui di verde edera Bacco

concedette corona; e disse: siedi

de le mense reina. Alfine il Sonno

85    ti sprimacciò le morbide coltrici

di propria mano, ove, te accolto, il fido

servo calò le seriche cortine:

e a te soavemente i lumi chiuse

il gallo che li suole aprire altrui.

90    Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi

non sciolga da’ papaveri tenaci

Mòrfeo prima, che già grande il giorno

tenti di penetrar fra gli spiragli

de le dorate imposte, e la parete

95    pingano a stento in alcun lato i raggi

del Sol ch’eccelso a te pende sul capo.

Or qui principio le leggiadre cure

denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo

sciorre il mio legno, e co’ precetti miei

100  te ad alte imprese ammaestrar cantando.

Già i valetti gentili udìr lo squillo

del vicino metal cui da lontano

scosse tua man col propagato moto;

e accorser pronti a spalancar gli opposti

105 schermi a la luce, e rigidi osservàro,

che con tua pena non osasse Febo

entrar diretto a saettarti i lumi.

Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia

alli origlieri i quai lenti gradando

110 all’omero ti fan molle sostegno.

Poi coll’indice destro, lieve lieve

sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua

quel che riman de la Cimmeria nebbia;

e de’ labbri formando un picciol arco,

115 dolce a vedersi, tacito sbadiglia.

O, se te in sì gentile atto mirasse

il duro capitan qualor tra l’armi,

sgangherando le labbra, innalza un grido

lacerator di ben costrutti orecchi,

120 onde a le squadre varj moti impone;

se te mirasse allor, certo vergogna

avria di sé più che Minerva il giorno

che, di flauto sonando, al fonte scorse

il turpe aspetto de le guance enfiate.

125 Ma già il ben pettinato entrar di novo

tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede

quale oggi più de le bevande usate

sorbir ti piaccia in preziosa tazza:

indiche merci son tazze e bevande;

130 scegli qual più desii. S’oggi ti giova

porger dolci allo stomaco fomenti,

sì che con legge il natural calore

v’arda temprato, e al digerir ti vaglia,

scegli ’l brun cioccolatte, onde tributo

135 ti dà il Guatimalese e il Caribbèo

c’ha di barbare penne avvolto il crine:

ma se nojosa ipocondrìa t’opprime,

o troppo intorno a le vezzose membra

adipe cresce, de’ tuoi labbri onora

140 la nettarea bevanda ove abbronzato

fuma, ed arde il legume a te d’Aleppo

giunto, e da Moca che di mille navi

popolata mai sempre insuperbisce.

 >> pagina 442 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il brano è tutto giocato sul contrasto fra il pigro risveglio del giovin signore e la vita che già gli ferve intorno. La prima figura evocata è quella del contadino che si alza all’alba, si carica in spalla gli attrezzi e va verso i campi con il bue. Il prezioso dettaglio dei rami da cui cade la rugiada, scintillante come le gemme (vv. 44-45), e i richiami classici (per esempio alle dee Cerere e Pale, v. 41) sono elementi ancora tipici del gusto arcadico, grazie al quale l’autore manifesta la sua predilezione per la vita rurale rispetto a quella urbana.

Da quel gusto si discosta invece nettamente la figura del fabbro, il cui duro lavoro è ricondotto alla soddisfazione dei capricci della classe benestante. L’accenno al ricco inquieto per la paura dei ladri è per il poeta il modo di stigmatizzare i ceti abbienti e i loro privilegi, che essi sentono costantemente in pericolo. Un’analoga, feroce ironia è contenuta nella descrizione del terrore e della stizza che il giovin signore prova a sentir parlare di modesti operai e contadini. Egli inorridisce al semplice pensiero di doversi alzare all’alba e di svolgere un simile lavoro: i capelli gli si rizzano sul capo, in un’immagine comica che colpisce l’attenzione del lettore, infrangendo bruscamente l’idilliaca descrizione dei lavoratori operosi.

Segue la rievocazione della notte che ha preceduto il tardo risveglio del nobile rampollo: con enfasi e profusione di immagini mitologiche viene delineata la vita mondana degli aristocratici, che include ricche cene notturne e un sonno che si protrae fino a giorno inoltrato.

È a questo punto che la sequenza del risveglio elenca le diverse fasi che scandiscono il difficile mattino del fatuo damerino, costretto alla faticosa impresa di alzarsi dal letto. L’effetto straniante, con il quale viene parodizzata la vacuità della sua esistenza, si manifesta ora con un elogio così iperbolico da evidenziare l’aspetto ridicolo: l’apertura attenta delle imposte da parte dei servitori permetterà infatti al rampollo di non essere offeso dalla luce filtrante dei raggi mattutini, preservandogli una delicata oscurità. Non osasse Febo / entrar diretto (vv. 106-107), intima il precettore, arrivando ad accusare nientemeno che il Sole, il divino Apollo della mitologia classica, di hybris, cioè di tracotanza, nell’ardire di mancare di rispetto a un dio in terra.

Allo stesso modo, l’atto finale, incentrato sulla scelta della bevanda da assaporare, suggella enfaticamente l’indecente squallore di un’esistenza infima. Il dilemma cioccolato-caffè è presentato infatti come una questione dirimente, della massima gravità: meglio il cioccolato, offerto dal lavoro di individui di civiltà lontane ma orgogliosi di rendere omaggio al giovin signore, o il caffè, più adatto a sollevare l’umore dei nobili settecenteschi, affetti dall’ipocondrìa (v. 137)?

 >> pagina 443 

Le scelte stilistiche

L’uso della mitologia risponde in Parini a diversi obiettivi. Il riferimento a Cerere e a Pale (v. 41) appare serio e quasi commosso, perché allude alla sacralità del lavoro nei campi, un valore in cui il poeta crede profondamente. Al contrario, i successivi rimandi alle divinità antiche, introdotti dall’assimilazione dei nobili a una celeste prole (v. 61) e a un concilio / di Semidei terreni (vv. 61-62), presentano un’evidente funzione ironica e sarcastica, risultando decisamente iperbolici rispetto al giovin signore con cui vengono posti in rapporto: la folle corsa della carrozza paragonata a quella del carro di Plutone che rapisce Proserpina, le fiaccole che illuminano il percorso accostate alle torce portate dalle Furie (vv. 73-76), il Sonno personificato che, con sollecitudine quasi paterna, prepara il letto del giovane (vv. 84-86) la sgradevolezza estetica di Minerva mentre suona il flauto (vv. 122-124) hanno un effetto satirico perché la sproporzione tra la solennità delle immagini e la banalità della vita e delle occupazioni del nobile non fanno che rendere ridicolo quest’ultimo.

La denuncia dei vizi di un’intera classe sociale (è significativo, in tal senso, che al v. 61 si passi temporaneamente dalla seconda persona singolare alla seconda plurale) non è in contrasto con la base classicistica della poesia pariniana. L’adesione alle tesi illuministiche e la dimensione di impegno civile che l’autore attribuisce al proprio lavoro vanno di pari passo con la sua ricerca di uno stile elevato e del decoro formale tipico dei classici latini su cui Parini si era formato.

Qui, per esempio, lo stile del passo è sostenuto, oltre che da un lessico prezioso e aulico, ricco di latinismi (convien, 64; producesti, v. 67; tede, v. 76; anguicrinite, v. 76, e così via), anche dal ricorso a una cospicua serie di figure retoriche. Si trovano artifici fonosimbolici, come la fitta successione di accenti e di parole brevi (quasi tutte di due sillabe) del v. 42, va col bue lento innanzi al campo, e scuote, con cui il poeta «fa quasi sentire la cadenza dei tardi passi del bue» (Pinelli); o come i «cadenzati effetti sonori» (Ferroni) del v. 74, dall’uno all’altro mar rimbombar feo, che riproducono il rimbombo del carro di Plutone. Si trovano anafore (Allora, vv. 37 e 46, a sottolineare l’accordo tra la vita dei lavoratori e i ritmi della natura; A voi […] a voi, v. 61, con un chiaro valore ironico nei confronti di quella celeste prole e di quel concilio di Semidei rappresentati dall’oziosa nobiltà settecentesca). Compaiono, ancora, numerosi enjambement (come quello tra i vv. 49 e 50, inquieto / ricco, che introduce un ulteriore motivo di critica sociale); ipallagi (i nascenti del Sol raggi, v. 45; al lume / dell’incerto crepuscolo, vv. 57-58); di barbare penne, v. 136; sineddochi (male agiate piume, v. 59); metonimie (papaveri tenaci, v. 91; il mio legno, v. 99); metafore (la stessa espressione sciorre il mio legno, v. 99, metal, v. 102, che assimila la poesia alla navigazione). Sul piano sintattico, infine, si trovano i consueti, numerosissimi iperbati, che contribuiscono a innalzare il tono dell’opera.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Che cosa succede nel “mondo comune” quando sorge il sole?


2 Perché il giovin signore inorridisce alle parole del suo precettore?


3 Come ha trascorso la serata e la notte precedenti il giovane nobile?

Analizzare

4 I modi di vita antichi e “naturali” sono spesso posti da Parini in contrasto con quelli del suo tempo. Quali sono i primi e i secondi in questo brano? In che modo tale contrapposizione si lega a quella tra popolo e nobiltà?


5 La poesia pariniana tende spesso a nobilitare aspetti banali e prosaici del quotidiano. In questo brano, dove si nota un simile approccio?


6 Spiega il significato delle ipallagi, delle sineddochi e delle metonimie segnalate nell’analisi.


7 Rintraccia nel testo tre esempi di iperbato.

 >> pagina 444 

Interpretare

8 Quale atteggiamento ha l’istitutore nei confronti del suo allievo? È severo o lassista? Motiva la tua risposta facendo opportuni riferimenti al testo.


9 Perché Parini rappresenta in toni ameni il lavoro dei campi? Rispondi facendo riferimento a quanto hai studiato sull’autore.

Produrre

10 Scrivere per raccontare. Scrivi un testo narrativo di circa 40 righe, di contenuto reale o di invenzione, improntato a tua scelta a un tono serio, umoristico o tragicomico, dal titolo Quel giorno in cui sono rimasto a letto fino a tardi.

T6

La vergine cuccia

Il Mezzogiorno, vv. 503-556

L’episodio della vergine cuccia (qui riprodotto secondo il testo dell’edizione del Mezzogiorno del 1765) è uno dei più noti del Giorno, e costituisce un esempio delle condizioni cui doveva sottostare la servitù nelle case dei nobili. Un servitore, la cui unica colpa consiste nell’aver reagito contro una cagnetta che l’ha morso, viene immediatamente licenziato, e la sua famiglia finisce in miseria. Lo sprezzo della sofferenza umana in nome di una malintesa sensibilità “animalista” mostra in maniera tragicomica le conseguenze della disuguaglianza tra individui di diverse classi sociali. Lo spunto per ricordare l’episodio è fornito alla dama dalla perorazione a favore degli animali da parte di un commensale vegetariano (riportata tra virgolette all’inizio del brano).


METRO Endecasillabi sciolti.

«Pera colui che prima osò la mano

armata alzar su l’innocente agnella,

505 e sul placido bue: né il truculento

cor gli piegàro i teneri belati

né i pietosi mugiti né le molli

lingue lambenti tortuosamente

la man che il loro fato, ahimè, stringea».

510 Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto

al suo pietoso favellar dagli occhi

de la tua Dama dolce lagrimetta

pari a le stille tremule, brillanti

che a la nova stagion gemendo vanno

515 dai palmiti di Bacco entro commossi

al tiepido spirar de le prim’aure

fecondatrici. Or le sovviene il giorno,

ahi fero giorno! allor che la sua bella

vergine cuccia de le Grazie alunna,

520 giovenilmente vezzeggiando, il piede

villan del servo con l’eburneo dente

segnò di lieve nota: ed egli audace

con sacrilego piè lanciolla: e quella

tre volte rotolò; tre volte scosse

525 gli scompigliati peli, e da le molli

nari soffiò la polvere rodente.

Indi i gemiti alzando: aita aita

parea dicesse; e da le aurate volte

a lei l’impietosita Eco rispose:

530 e dagl’infimi chiostri i mesti servi

asceser tutti; e da le somme stanze

le damigelle pallide tremanti

precipitàro. Accorse ognuno; il volto

fu spruzzato d’essenze a la tua Dama;

535 ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore

l’agitavano ancor; fulminei sguardi

gettò sul servo, e con languida voce

chiamò tre volte la sua cuccia: e questa

al sen le corse; in suo tenor vendetta

540 chieder sembrolle: e tu vendetta avesti

vergine cuccia de le Grazie alunna.

L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo

udì la sua condanna. A lui non valse

merito quadrilustre; a lui non valse

545 zelo d’arcani uficj: in van per lui

fu pregato e promesso; ei nudo andonne

dell’assisa spogliato ond’era un giorno

venerabile al vulgo. In van novello

Signor sperò; ché le pietose dame

550 inorridìro, e del misfatto atroce

odiàr l’autore. Il misero si giacque

con la squallida prole, e con la nuda

consorte a lato su la via spargendo

al passeggiere inutile lamento:

555 e tu vergine cuccia, idol placato

da le vittime umane, isti superba.

 >> pagina 446 

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

L’episodio trae spunto dalle parole di un commensale vegetariano (il vegetarianismo, presso le classi più elevate, esisteva già nel Settecento), che, criticando l’abitudine di cibarsi di carne, augura la morte a chi a questo scopo uccide gli animali. La dama che il giovin signore accompagna in qualità di cavalier servente, sentendo tali parole, si commuove, e rievoca un episodio accadutole in passato. Per buona parte del brano (vv. 517-541) il poeta assume il suo punto di vista, e con un’immagine di gusto arcadico e classicistico – dall’effetto, ancora una volta, ironico –, paragona le lacrime della donna alle gocce di linfa che stillano sui tralci della vite a primavera (la similitudine* è ispirata alle Georgiche di Virgilio, II, 330-335). All’ironia dell’immagine bucolica si aggiunge il sarcasmo rivolto all’assurda ipersensibilità della dama, tanto piena di attenzioni e di morbosa empatia verso la sua cagnetta quanto indifferente al destino dei suoi servi.

Questa mancanza di senso delle proporzioni – per cui si asseconda il (presunto) capriccio di una cagnetta al prezzo della rovina di un essere umano e della sua famiglia – è il segno inequivocabile, per Parini, della decadenza di una classe sociale che ha smarrito i valori più importanti (quelli cristiani o quelli genericamente umani proposti dagli Illuministi).


1 Come viene descritta la vergine cuccia? Quale effetto vuole dare il poeta?


2 Quali meriti del servo non vengono considerati dalla dama?

Dal v. 542 il punto di vista torna a essere quello del poeta, che può descrivere crudamente la disumanità con cui viene liquidato il servitore e le condizioni disperate in cui egli è gettato insieme alla sua famiglia. Questa parte della narrazione è condotta attraverso immagini ed espressioni forti, volte a suscitare la partecipazione emotiva del lettore (la squallida prole, v. 552; la nudità del servo e della moglie, vv. 546 e 552-553). L’ipocrisia e l’insensibilità della dama diventano così evidenti da apparire agghiaccianti.


3 Individua nel testo i termini che rendono più vivo il dramma della famiglia del servitore.


4 Con quali termini viene descritta la reazione delle altre dame alla notizia? Che tipo di procedimento retorico puoi individuare?

 >> pagina 447 

Le scelte stilistiche

Rispetto alla gran parte dell’opera, Parini abbandona qui, temporaneamente, l’attitudine all’osservazione e alla descrizione minuziosa, per svolgere invece una vera e propria narrazione di tenore tragicomico (la vicenda è comica per la reazione esagerata della dama, tragica per il destino di sofferenza cui è condannato il servo). Per denunciare l’arroganza – che sconfina nella spietatezza – delle classi dominanti, Parini non si esercita in un discorso teorico, ma sceglie la strada del racconto, come se volesse far parlare i fatti stessi.


5 Il testo può essere diviso in quattro sequenze: indica nella tabella i versi corrispondenti e dai a ciascuna un titolo.


 I

vv.


II

vv.  

III

vv.  

IV

vv.  

6 Da quale punto di vista vengono narrati i fatti?

Anche in questo caso la strategia retorica dominante è l’ironia*. In tale chiave vanno lette l’umanizzazione e poi addirittura la divinizzazione della cagnetta: essa è de le Grazie alunna (vv. 519 e 541); ai suoi guaiti risponde la ninfa Eco, emotivamente partecipe del suo dramma (a lei l’impietosita Eco rispose, v. 529); come una divinità, infine, è placata soltanto da sacrifici umani (idol placato / da le vittime umane, vv. 555-556). Non a caso, il servo che ha osato mancarle di rispetto viene definito empio (v. 542) e il suo piede sacrilego (v. 523).

Ironica è anche la ripresa di moduli propri dell’epica classica in riferimento a una materia non certo eroica, ma anzi decisamente prosaica se non addirittura comica: il modulo deprecativo del v. 503 (Pera colui che), peraltro tipico della poesia pariniana (si trova per esempio al v. 25 della Salubrità dell’aria,  T2, p. 415); l’esclamazione ai vv. 517-518, con la ripetizione dello stesso termine (Or le sovviene il giorno, / ahi fero giorno!); la formula omerica della ripetizione del numero al v. 524 (tre volte rotolò; tre volte scosse), simmetricamente richiamata, in relazione non più alla cagnetta ma alla dama che risponde al suo grido d’aiuto, al v. 538 (chiamò tre volte la sua cuccia); l’epiteto formulare de le Grazie alunna, al v. 519 e poi di nuovo al v. 541.

Ancora, nella perifrasi* eufemistica – che rimanda all’ipocrita punto di vista della dama – con cui viene indicato il morso dato dalla vergine cuccia al servo (il piede / villan del servo con l’eburneo dente / segnò di lieve nota, vv. 520-522), si possono notare il valore nobilitante dell’aggettivo eburneo, oltre che del singolare per il plurale (dente anziché “denti”), e l’attenuazione di derivazione classica di lieve nota. Sarcastico, infine, è l’aggettivo pietose riferito alle dame al v. 549: la loro pietà, infatti, si esercita unicamente verso gli animali, tanto da esaurirsi prima di potersi indirizzare verso gli esseri umani.


7 Quali strategie retoriche usa il poeta per descrivere l’accorrere in soccorso della vergine cuccia (vv. 527-535)? Quale effetto producono?


8 A quale genere letterario rimandano le numerose ripetizioni e gli epiteti presenti nel testo?


9 Scrivere per argomentare. Animali ed esseri umani possono essere messi sullo stesso piano? Si possono attribuire loro gli stessi diritti? Sviluppa l’argomento in un testo argomentativo di circa 40 righe, facendo se possibile riferimento al dibattito attuale e a fatti realmente accaduti.

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento