Boccaccio nel Novecento
Il Novecento è il secolo dell’approfondimento critico dell’opera di Boccaccio, sia sul piano filologico (per allestire edizioni attendibili del Decameron, ma anche delle opere minori) sia su quello interpretativo.
Nella prima metà del secolo Attilio Momigliano, superando la riduzione desanctisiana di Boccaccio ad autore comico e licenzioso, ne rivendica la serietà artistica e la «sapienza umana», cioè la raffinata capacità di indagine psicologica. In quegli stessi anni, tra il 1920 e il 1930, anche Benedetto Croce sottolinea la qualità estetica della rappresentazione del Decameron, un’opera che – scrive – ritrae «la vita nella sua varietà e nelle sue infinite gradazioni». Successivamente altri studiosi, tra i quali Vittore Branca e Mario Baratto, approfondiscono lo studio dei legami tra l’opera di Boccaccio e il suo tempo.
Ma forse, più che i critici, sono stati gli scrittori a vivificare, negli ultimi decenni, l’immagine di Boccaccio, che ha trovato accoglienza nella letteratura, nell’arte, nel cinema e nel costume. Autori come i siciliani Vitaliano Brancati ed Ercole Patti hanno fatto interagire alcuni intrecci del novelliere trecentesco con i loro ricordi personali, nella chiave della satira sociale, mentre i napoletani Giuseppe Marotta e Domenico Rea hanno reinterpretato la carica di spregiudicatezza tipica dei personaggi decameroniani trasferendola nella loro città, insieme aristocratica e popolare. E non vanno dimenticati due scrittori quali Riccardo Bacchelli e Alberto Moravia, che hanno trovato nel realismo e nelle trame del capolavoro di Boccaccio diversi spunti per la loro produzione.
Infine – a riprova della stimolante freschezza con cui viene recepito oggi il Decameron – va fatta menzione delle versioni delle novelle di Boccaccio in italiano contemporaneo realizzate da scrittori affermati come Piero Chiara, Aldo Busi e Bianca Pitzorno.