T1 - TESTO GUIDA - Rosella Postorino, Il cibo del Führer (da Le assaggiatrici)

testo guida

T1

Rosella Postorino

Il cibo del Führer

  • Tratto da Le assaggiatrici, 2018
  • romanzo
Rosella Postorino nasce a Reggio Calabria nel 1976 ma è ligure d’adozione. Si laurea in Lettere moderne a Siena ed esordisce come scrittrice nel 2004 con il racconto In una capsula, incluso nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere, scritta a più mani da giovani autrici italiane. Dopo il primo romanzo, La stanza di sopra, uscito nel 2007, pubblica nel 2009 L’estate che perdemmo Dio, storia di una famiglia del Sud immigrata a Nord e, quattro anni dopo, Il corpo docile (2013), dedicato all’esperienza di una giovane donna nata in carcere. La psicologia femminile è anche al centro del romanzo Le assaggiatrici, del 2018, che vince l’importante Campiello.

Il romanzo racconta la storia di Rosa Sauer, giovane tedesca reclutata con altre donne dai nazisti per verificare sulla sua propria pelle che i cibi destinati a Hitler non siano avvelenati. L’autrice ha preso spunto dalla vicenda storica di Margot Wölk (1917-2014), una ragazza tedesca che, tra l’inverno del 1941 e l’autunno del 1944, rischiò quasi ogni giorno di morire per scongiurare un eventuale avvelenamento del Führer. In queste pagine la protagonista si trova, per la prima volta, nel quartier generale del dittatore con le sue nuove compagne di lavoro.

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Audiolettura

Entrammo una alla volta. Dopo ore di attesa, in piedi nel corridoio,
avevamo bisogno di sederci. La stanza era grande, le pareti bianche. Al
centro, un lungo tavolo di legno su cui avevano già apparecchiato per
noi. Ci fecero cenno di prendere posto.

5      Mi sedetti e rimasi così, le mani intrecciate sulla pancia. Davanti a
me, un piatto di ceramica bianca. Avevo fame.
Le altre donne si erano sistemate senza far rumore. Eravamo in
dieci. Alcune stavano dritte e compite, i capelli tirati in uno chignon.1
Altre si guardavano intorno. La ragazza di fronte a me strappava pellicine

10    con i denti e le triturava sotto gli incisivi. Aveva guance morbide
chiazzate di couperose.2 Aveva fame.

Alle undici del mattino eravamo già affamate. Non dipendeva
dall’aria di campagna, dal viaggio in pulmino. Quel buco nello stomaco
era la paura. Da anni avevamo fame e paura. E quando il profumo

15    delle portate fu sotto il nostro naso, il battito cardiaco picchiò sulle
tempie, la bocca si riempì di saliva. Guardai la ragazza con la couperose.
Aveva la mia stessa voglia.

I fagiolini erano conditi con il burro fuso. Non mangiavo burro dal
giorno del mio matrimonio. L’odore dei peperoni arrostiti mi pizzicava

20    le narici, il mio piatto traboccava, non facevo che fissarlo. In quello
della ragazza di fronte a me, invece, c’erano riso e piselli.
«Mangiate», dissero dall’angolo della sala, ed era poco più che un
invito, meno di un ordine. La vedevano, la voglia nei nostri occhi. Bocche
dischiuse, respiro accelerato. Esitammo. Nessuno ci aveva augurato

25    buon appetito, e allora forse potevo ancora alzarmi e dire grazie, le
galline stamattina sono state generose, per oggi un uovo mi basterà.
Contai di nuovo le convitate. Eravamo in dieci, non era l’ultima
cena.
«Mangiate!», ripeterono dall’angolo, ma io avevo già succhiato un

30    fagiolino e avevo sentito il sangue fluire sino alla radice dei capelli,
sino alle dita dei piedi, avevo sentito il battito rallentare. Quale mensa
per me tu prepari3 – sono tanto dolci questi peperoni – quale mensa,
per me, su un tavolo di legno, nemmeno una tovaglia, ceramiche Aachen4
e dieci donne, se avessimo il velo sembreremmo delle suore, un

35    refettorio di suore che hanno fatto voto di silenzio.
All’inizio prendemmo bocconi misurati, come se non fossimo obbligate
a ingoiare tutto, come se potessimo rifiutarlo, questo cibo,
questo pranzo che non è destinato a noi, che ci spetta per caso, per
caso siamo degne di partecipare alla sua mensa.5 Poi però scivola per

40    l’esofago atterrando in quel buco nello stomaco, e più lo riempie più
il buco si allarga, più stringiamo le forchette. Lo strudel di mele è così
buono che d’improvviso ho le lacrime agli occhi, così buono che ne
infilo in bocca brani sempre più grossi, ingurgitando un pezzo dopo
l’altro sino a gettare indietro la testa e riprendere fiato, sotto gli occhi

45    dei miei nemici.

Mia madre diceva che quando si mangia si combatte con la morte. Lo
diceva prima di Hitler,6 quando andavamo alla scuola elementare di
Braunsteingasse 10, Berlino,7 e Hitler non c’era. Lei mi allacciava un
fiocco sul grembiule e mi porgeva la cartella, e mi raccomandava di

50    fare attenzione, durante il pranzo, a non strozzarmi. In casa avevo il
vizio di parlare sempre, pure con la bocca piena, chiacchieri troppo,
mi diceva, e io mi strozzavo proprio perché mi faceva ridere, quel tono
tragico, il suo metodo educativo fondato sulla minaccia di estinzione.

Quasi che ogni gesto di sopravvivenza esponesse al rischio della fine:

55    vivere era pericoloso; il mondo intero, un agguato.
Quando il pasto fu concluso, due SS8 si avvicinarono e la donna alla
mia sinistra si alzò:
«Seduta! Rimettiti al tuo posto!»
La donna cadde giù neanche l’avessero spinta. Una delle sue trecce

60    attorcigliate a chiocciola si allentò dalla forcina, ciondolando appena.
«Non avete il permesso di alzarvi. Resterete qui, sedute al tavolo,
sino a nuovo ordine. In silenzio. Se il cibo era contaminato, il veleno
entrerà in circolo rapidamente». L’SS ci squadrò una per una, per
testare la nostra reazione. Non fiatammo. Poi si rivolse ancora alla

65    donna che si era alzata: indossava un Dirndl,9 forse la sua era stata
deferenza.10 «Basta un’ora, tranquilla», le disse. «Tempo un’ora e sarete
libere».
«O morte», chiosò11 un camerata.12
Sentii la gabbia toracica restringersi. La ragazza con la couperose

70    nascose il viso nei palmi, soffocò i singhiozzi. «Piantala», sibilò la
bruna al suo fianco, ma a quel punto piangevano anche le altre, come
coccodrilli sazi, magari era un effetto della digestione.
A bassa voce dissi: «Posso chiederle come si chiama?». La ragazza
con la couperose non capì che stavo dicendo a lei. Allungai il braccio,

75    le sfiorai un polso, scattò, mi guardò con un’espressione ottusa, le si
erano spaccati tutti i capillari. «Come ti chiami?», ripetei. La ragazza
sollevò la testa verso l’angolo, non sapeva se aveva il permesso di
parlare, le guardie erano
distratte, era quasi mezzogiorno,

80    avvertivano un
certo  languore. Forse non
badavano a lei, così biascicò:
«Leni, Leni Winter»,
come fosse una domanda,

85    ma era il suo nome. «Leni,
io sono Rosa», le dissi,
«vedrai che tra un po’ ce
ne torniamo a casa».

Leni era poco più che una ragazzina, si intuiva dalle nocche paffute;

90    aveva la faccia di una che non era mai stata toccata in un fienile, nemmeno
nell’inerzia esausta della fine del raccolto.
Nel ’38, dopo la partenza di mio fratello Franz, Gregor mi aveva
portata qui a Gross-Partsch13 a conoscere i suoi genitori: li farai innamorare,
mi diceva, orgoglioso della segretaria berlinese che aveva

95    conquistato, che si era fidanzata con il capo, come in un film.
Era stato bello, quel viaggio a est in sidecar:14 Verso est noi cavalchiam,
diceva la canzone.15 La diffondevano gli altoparlanti, non solo
il 20 aprile.16 Il compleanno di Hitler era tutti i giorni.
Per la prima volta prendevo un traghetto e partivo con un uomo.

100  Herta mi aveva alloggiata nella stanza del figlio e aveva spedito lui a
dormire in soffitta. Quando i suoi genitori erano andati a letto, Gregor
aveva aperto la porta e si era infilato sotto le mie coperte. «No», avevo
bisbigliato, «non qui». «Allora vieni nel fienile». Mi si erano appannati
gli occhi. «Non posso, se tua madre se ne accorge?».

105  Non avevamo mai fatto l’amore. Non l’avevo mai fatto con nessuno.
Gregor mi aveva accarezzato piano le labbra, ne aveva disegnato
il perimetro, poi aveva premuto il polpastrello sempre più forte, fino
a scoprire i denti, aprirmi la bocca, ficcarci dentro due dita. Le avevo
sentite asciutte sulla lingua. Avrei potuto serrare la mandibola, morderlo.

110  Gregor non ci aveva nemmeno pensato. Si è sempre fidato di me.
Nella notte non avevo resistito, ero salita in soffitta e avevo aperto
io la porta. Gregor dormiva. Avevo accostato le labbra dischiuse alle
sue, per mescolare i respiri, si era svegliato. «Volevi sapere che odore
ho nel sonno?», mi aveva sorriso. Gli avevo spinto uno poi due poi

115  tre dita in bocca, avevo sentito la bocca allargarsi, la saliva bagnarmi.
Questo era l’amore: una bocca che non morde. O la possibilità di azzannare
a tradimento, come un cane che si ribella al padrone.
Indossavo la collana di pietre rosse, quando durante il viaggio di ritorno
mi aveva afferrato la nuca. Non era accaduto nel fienile dei suoi,

120  ma in una cabina senza oblò.

«Devo uscire», mormorò Leni. Me ne accorsi solo io.
La donna bruna accanto a lei aveva zigomi ossuti, capelli lucidi,
una durezza nello sguardo.
«Shhh», accarezzai il polso di Leni, stavolta non scattò. «Mancano

125  venti minuti, è quasi finita».

«Devo uscire», insisté. 
La bruna la guardò di traverso: «Non vuoi proprio stare zitta, eh?», 
la strattonò. 
«Ma che stai facendo?», quasi urlai.

130  Le SS si girarono verso di me. «Che succede?». 
Tutte le donne si girarono verso di me. 
«Per favore», disse Leni. 
Un’SS mi fu di fronte. Le arpionò un braccio e le scandì qualcosa 
nell’orecchio, qualcosa che non sentii, ma che le stropicciò il volto

135  sino a trasfigurarlo. 
«Sta male?», chiese un’altra guardia. 
La donna con il Dirndl saltò di nuovo in piedi: «Il veleno!». 

Anche le altre si alzarono, mentre Leni aveva un conato, l’SS faceva
appena in tempo a scostarsi, Leni vomitava per terra.

140  Le guardie uscirono di corsa, chiamarono il cuoco, lo interrogarono,
il Führer aveva ragione, gli inglesi vogliono avvelenarlo, le donne
si abbracciavano, altre piansero contro la parete, la bruna camminava
avanti e indietro con le mani sui fianchi e faceva uno strano rumore
col naso. Io mi avvicinai a Leni, le tenni la fronte.

145  Le donne si tenevano la pancia, ma non era per le fitte. Avevano
saziato la fame, e non c’erano abituate. 

 
Ci bloccarono lì per ben più di un’ora. Il pavimento fu pulito con i
giornali e un panno umido, rimase un lezzo acre. Leni non morì, smise
solo di tremare. Poi si addormentò con la mano nella mia e la guancia

150  sul braccio, appoggiata al tavolo, una bambina. Io sentivo lo stomaco
tendersi e ribollire, ma ero troppo stanca per agitarmi. Gregor si era
arruolato.
Non era un nazista, non siamo mai stati nazisti. Da ragazzina non
volevo entrare nella Bund Deutscher Mädel,17 non mi piaceva il foulard

155  nero che passava sotto il colletto della camicia bianca. Non sono
mai stata una buona tedesca. 

 
Quando il tempo opaco e smisurato della nostra digestione fece rientrare
l’allarme, le guardie svegliarono Leni e ci misero in fila verso il
pulmino che ci avrebbe riportate a casa. Il mio stomaco non ribolliva

160  più: si era lasciato occupare. Il mio corpo aveva assorbito il cibo del
Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io
avevo di nuovo fame.


Rosella Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli, Milano 2018

 >> pagina 450

A tu per tu con il testo

Può esistere un privilegio che ci favorisce ma, al tempo stesso, ci rende schiavi? Riusciamo a immaginare che ciò che preserva la nostra vita possa, inaspettatamente, ucciderci? E possiamo mai desiderare, con intensità, il godimento di un bene che sappiamo nascondere un’insidia mortale? Sembra impossibile conciliare contraddizioni tanto insolubili ma la Storia, come la vita stessa, si alimenta costantemente di paradossi. Per questo Rosa, nel pieno della sua giovinezza, affronta ogni giorno il rischio di rimanere uccisa, proprio per affermare la sua voglia di vivere. Di fronte alle squisite ma pericolose pietanze che le vengono imbandite, questa ragazza si dibatte ogni volta tra due contrapposte forme dell’istinto: la paura, che la trattiene e la paralizza, e la fame, che la spinge a divorare. Da questo nodo di pulsioni contrastanti nasce l’ambiguità che percepiamo leggendo: chi è, realmente, Rosa? È un’infelice vittima del nazismo? O non ne è forse un’inconsapevole collaboratrice? Da questa inquietante oscillazione, che solleva complessi problemi morali nelle nostre coscienze, si sprigiona il fascino ambivalente del personaggio.

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. Qual è il grado di parentela tra Rosa e i personaggi elencati? Associa il nome alla risposta corretta: ci sono due opzioni in più.

  • a) Herta
  • b) Gregor
  • c) Franz
  • d) Leni

1) Fratello
2) Marito
3) Madre
4) Suocera
5) Nessuno
6) Figlia

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


a) Rosa è un’entusiasta nazista.

  • V   F

b) Le assaggiatrici mangiano insieme.

  • V   F

c) Il marito di Rosa lavora in fabbrica.

  • V   F

d) Il marito di Rosa è partito per la guerra.

  • V   F

e) Leni muore.

  • V   F

f) La donna che indossa il Dirndl viene rimproverata da un SS.

  • V   F

g) Rosa è una ragazza di campagna.

  • V   F

h) Rosa ha un fratello.

  • V   F

i) Le assaggiatrici vivono insieme nel bunker.

  • V   F

j) Le assaggiatrici non si conoscono tra di loro.

  • V   F

3. Metti in ordine cronologico gli eventi della vita di Rosa. Segna un numero progressivo accanto all’avvenimento indicato.

  • a) Rosa prende posto alla tavola nel bunker
  • b) Rosa fa il suo primo viaggio in traghetto.
  • c) Rosa si fidanza.
  • d) Rosa fa la segretaria a Berlino.
  • e) La madre di Rosa le insegna che la vita è pericolosa.
  • f) Leni si sente male.
  • g) Leni si addormenta sul braccio di Rosa.
  • h) Rosa passa la notte nella casa dei suoceri.
  • i) Il marito di Rosa parte per la guerra.
  • j) Rosa chiede a Leni come si chiama.

 >> pagina 451 

Analizzare e interpretare

4. Il narratore è

  • a esterno onnisciente;
  • b interno protagonista;
  • c interno testimone;
  • d esterno con focalizzazione interna.

5. Il rapporto tra Rosa e Leni ricorda il rapporto tra madre e figlia. Quali passi del testo giustificano questa percezione?


6. Chi pronuncia le parole Quale mensa per me tu prepari (rr. 31-32)? Come si chiama questa tecnica narrativa?


7. Perché le parole non mangiavo burro dal giorno del mio matrimonio (rr. 18-19) danno importanti informazioni per la comprensione della vicenda?

Competenze linguistiche

8. Spiega, con parole diverse da quelle del testo, che cosa significano le seguenti espressioni:


a) inerzia esausta della fine del raccolto (r. 91)

b) mi si erano appannati gli occhi (rr. 103-104)

c) le stropicciò il volto sino a trasfigurarlo (rr. 134-135)

d) rimase un lezzo acre (r. 148)

e) il tempo opaco e smisurato della nostra digestione (r. 157)

Produrre

9. Scrivere per descrivere In base agli elementi del testo, prova a tratteggiare un breve ritratto di Leni e della donna con i capelli bruni.


10. Scrivere per raccontare Prova a immaginare un giorno qualsiasi della vita di Rosa, nella Berlino degli anni Quaranta, quando faceva la segretaria e non era ancora un’assaggiatrice di Hitler.

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa