Ma come mai chiamiamo “giallo” ciò che all’estero è noto come crime fiction, policier, Kriminalroman, novela negra? Grazie alla collana “I gialli” lanciata da Arnoldo Mondadori nel 1929, caratterizzata proprio da copertine del medesimo colore. Lo straordinario successo che riscosse portò gli altri editori a imitarla, tanto da farne un emblema del genere.
I gialli furono a lungo considerati un prodotto d’importazione. Il pubblico preferiva gli autori stranieri, al punto che i pochi italiani spesso dovevano nascondersi dietro pseudonimi inglesi o francesi. Tutto ciò alimentò i sospetti del regime fascista, diffidente dinanzi a un filone che riteneva pericoloso, capace di “traviare” la gioventù. A partire dal 1938 venne emanata una serie di restrizioni, fra le quali spicca il divieto di proporre un colpevole italiano; durante la guerra si arrivò addirittura a ordinare la chiusura di tutte le collane di polizieschi.
Tutto ciò non intaccò per nulla il fascino esercitato dai gialli, a cui nel dopoguerra si dedicarono parecchi scrittori di prestigio, come Carlo Emilio Gadda (1893-1973), autore di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, una movimentata inchiesta ambientata a Roma e destinata a rimanere in parte irrisolta, e Leonardo Sciascia (1921-1989), che nel Giorno della civetta mise in scena con efficacia i codici di comportamento mafiosi.
L’interprete più importante degli ultimi anni è Andrea Camilleri (1925-2019; ▶ T2, p. 284), padre del commissario Montalbano, ma notevole successo di pubblico, in Italia e all’estero, riscuotono anche i romanzi di Maurizio de Giovanni (n. 1958; ▶ T3, p. 294).