Come terminano Le avventure di Pinocchio? Che domande: con la trasformazione del burattino in un bel ragazzo castano, con gli occhi celesti. Questo però non è il finale che aveva immaginato Collodi per una storia iniziata di malavoglia, giusto per pagare alcuni debiti di gioco e venire incontro alle insistenze di un amico che lavorava al «Giornale per i bambini». Nell’autunno del 1881 i primi capitoli arrivarono in redazione accompagnati da un biglietto eloquente: «Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare; ma se la stampi, pagamela bene per farmi venire la voglia di seguitarla».
La storia fu subito pubblicata, piacque e Collodi andò avanti sino al capitolo XV, quando il gatto e la volpe impiccano Pinocchio a un ramo della quercia grande. Il poveretto, invocato il padre, «Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito».
La lezione era chiara: questo è ciò che succede a chi si mette sulla cattiva strada. Ma nei giorni successivi il «Giornale per i bambini» fu tempestato dalle proteste dei lettori, che non sapevano rassegnarsi a un esito così atroce. Collodi si fece molto pregare, ma alla fine accettò di rimettere mano a Le avventure di Pinocchio. Poté quindi sbizzarrirsi nel raccontare l’eccezionale vitalità di un burattino al quale ne capitano di tutti i colori: rischia di annegare, andare a fuoco, essere fritto in padella, digerito da un pescecane… Tutti – a cominciare da Collodi – hanno cercato di farlo fuori, ma non c’è verso. Pinocchio non muore mai!