2 - La psicologia e il lavoro organizzato

2. La psicologia e il lavoro organizzato

2.1 Cenni storici

È possibile collocare il primo incontro tra psicologia e lavoro organizzato già all’epoca degli sviluppi della psicologia come disciplina autonoma rispetto alla filosofia, sotto il nome di “psicotecnica”, la cui paternità è attribuita allo psicologo tedesco Hugo Münsterberg (1863-1916). La psicotecnica, prendendo le mosse dagli studi sulla fatica e sui requisiti psicofisici legati a diverse mansioni lavorative, rappresenta, infatti, la prima occasione in cui la psicologia mette a disposizione il suo sapere, in questo caso al servizio di situazioni lavorative.

Per definire metodologie d’indagine e tecniche d’intervento nella psicologia delle organizzazioni, occorre combinare le conoscenze di base del comportamento umano, cioè, per esempio, come un uomo lavora, con il continuo emergere di problemi legati all’organizzazione del lavoro umano, considerando sia gli aspetti tecnologici, come, per esempio, quali dispositivi rendono più facile e veloce la comunicazione tra uffici, sia quelli di tipo psicosociale, come, per esempio, quali soluzioni possono adottare i dirigenti per aumentare la motivazione nei propri collaboratori.

Si pensi, per esempio, alla situazione socioeconomica del mondo occidentale all’inizio del XX secolo: la rivoluzione industriale ha ormai sancito il passaggio alla produzione di massa e il numero di persone e di mezzi impiegati ha reso la fabbrica industrializzata ben distante dal concetto di bottega artigiana di grandi dimensioni. Per affrontare le problematiche connesse all’organizzazione, era stato adottato il modello dell’esercito, l’unica grande struttura organizzata fino a quel momento nota. Tuttavia, i nuovi problemi di coordinamento e gestione del personale richiedevano risposte adeguate, che il modello dell’esercito non era in grado di dare. A causa del clima eccessivamente autoritario che si respirava quotidianamente nei luoghi di lavoro, si cominciava, infatti, a dubitare che la sola disciplina militare fosse in grado di assicurare dei buoni risultati produttivi; è in questo momento che lo studio scientifico dell’uomo nei contesti lavorativi comincia ad affacciarsi come possibile aiuto all’organizzazione del lavoro.

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Il quarto Stato

Il quarto stato è un’opera di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907). Questo grande dipinto (quasi 3 metri di altezza per oltre 5 di lunghezza), famoso al grande pubblico, ha subito nel tempo diverse trasformazioni per opera del suo autore: il primo bozzetto fu realizzato nel 1891 in occasione di una manifestazione di protesta di operai; da esso l’artista trasse poi Fiumana, opera a sua volta oggetto di ulteriori interventi, sulla scia di eventi storici – su tutti i moti di Milano del 1898 e il massacro del generale Bava-Beccaris – che spinsero Pellizza a trasformare la fiumana di persone in un gruppo rivolto verso lo spettatore e a sostituire semplici uomini con lavoratori, i quali avevano trasformato la propria lotta per i diritti in una lotta politica: il titolo definitivo dell’opera divenne Il quarto stato nel 1901.

La scena è ambientata in piazza Malaspina a Volpedo. Il piccolo borgo agricolo in provincia di Alessandria era, in quei tempi, nelle mani della famiglia Malaspina, il cui palazzo si affacciava proprio su quella piazza. Un corteo di lavoratori (il proletariato, il quarto stato), composto da anziani, uomini, donne e bambini, è in movimento. La folla è compatta, fiera, determinata, rivendica i propri diritti e avanza verso lo spettatore, che è illuminato dalla luce del sole. Tale progressivo avvicinamento verso la luce e il contestuale allontanamento dal tramonto alle spalle, fatto di miseria e fatica, rappresentano la fiducia nel progresso della società e verso un futuro che appare denso di cambiamenti e di conquiste sociali.

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l’autore  Frederick Winslow Taylor

Frederick Taylor, nato in un quartiere di Filadelfia nel 1856, proviene da famiglia borghese, ma sviluppa sul campo la conoscenza delle dure condizioni del lavoro in fabbrica quando viene impiegato come apprendista operaio in una piccola officina meccanica di Filadelfia, un lavoro che è costretto ad accettare a seguito dell’interruzione, per una malattia agli occhi, degli studi da avvocato. Nel 1878, come capomastro di un’altra azienda (la Midvale Steel Co.), inizia una lunga serie di esperimenti nel campo della tecnica meccanica e in quello dell’organizzazione del lavoro, trovando il tempo anche per studi serali di ingegneria, in cui si laurea nel 1883. Il “taylorismo”, pur avversato da lavoratori e sindacati per i suoi impatti occupazionali e per lo sfruttamento psicofisico delle forze di lavoro, si diffonde in modo inarrestabile nella fabbrica moderna (applicandone i principi, Henry Ford ideò nel 1913 la catena di montaggio), mettendo in crisi il modello di sviluppo industriale basato sulla figura dell’operaio. Taylor muore nel 1915.

2.2 Taylor e l’organizzazione del lavoro

Il principale protagonista di questa fiorente nuova disciplina è l’ingegnere e imprenditore statunitense Frederick Winslow Taylor  L’AUTORE |. Uomo di molti interessi, è ricordato soprattutto per essere l’ideatore di un metodo che passerà alla storia: lo scientific management. Il metodo consiste in quattro punti fondamentali.
  1. 1 Analisi dettagliata del compito che deve essere svolto: il lavoro è scomposto in unità semplici e organizzato in modo razionale, seguendo una logica temporale. Obiettivo di tale operazione è individuare il modo ottimale, one best way, per svolgere ogni tipo di lavorazione, ossia ridurre lo sforzo fisico al minimo aumentando la produttività al massimo, introducendo o modificando utensili atti allo scopo. Applicando il principio one best way si può giungere a una conclusione scientificamente fondata che indichi, a seconda di quale sia il lavoro da svolgere, la modalità in assoluto migliore e più efficace.
  2. 2 Scelta del lavoratore: occorre individuare la persona con le attitudini fisiche e intellettive migliori a ricoprire quel ruolo. Questa procedura di selezione è rappresentata al meglio dalla celebre frase di Taylor «l’uomo giusto al posto giusto».
  3. 3 Addestramento del lavoratore selezionato: una volta scelta la persona adatta, questa deve essere addestrata a svolgere la propria parte del lavoro in modo che metta in pratica esattamente le procedure previste.
  4. 4 Individuazione del corrispettivo retributivo: la retribuzione, che costituisce elemento di motivazione, deve essere adeguata al tipo di lavoro svolto, alla quantità di lavoro prodotta in una unità di tempo e alle capacità del lavoratore; ciò permette di individuare operai di prima, seconda e terza classe.

L’approccio analitico e sequenziale sopra descritto determina tre conseguenze nell’ambito di un’impresa: la prima è l’introduzione dei primi processi di selezione del personale e di addestramento; la seconda è la formazione di strutture organizzative gerarchico-funzionali; la terza è la parcellizzazione del lavoro in unità che richiedono movimenti semplici, da cui sarebbe nata la catena di montaggio.

Se lo scientific management, da un lato, ha avuto il pregio di creare una struttura organizzativa e di individuare i parametri per la definizione delle mansioni e la loro qualificazione in termini di tempo, fatica e denaro, dall’altro, anche a causa della scomposizione del lavoro, ha generato una perdita di senso del lavoro stesso, dando per scontato che le persone lavorassero solo per ottenere un guadagno. Ciò ha determinato una netta distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

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La catena di montaggio

Il grande pittore messicano Diego Rivera (1886-1957), celebre per i grandi murales a tema sociale affrescati su edifici pubblici del suo paese, fu incaricato da Edsel Ford, figlio dell’ideatore della catena di montaggio Henry Ford, di eseguire 27 pannelli che avessero per tema l’industria di Detroit. L’artista li eseguì fra il 1932 e il 1933 in una sala interna del Detroit Institute of Arts. I due principali raffigurano lo stabilimento Ford di Rouge River a Dearborn, nel Michigan: nell’affresco qui riprodotto si può riconoscere, in basso a destra, il ritratto dello stesso Ford, che osserva i suoi operai impegnati nell’assemblaggio delle auto alla catena di montaggio.

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2.3 Mayo e la soddisfazione ricavabile dal lavoro

A metà degli anni Venti del Novecento il sociologo Elton Mayo  L’AUTORE, p. 282 |, professore della Harvard Business School, venne chiamato dalla direzione della Western Electric Company per determinare quali condizioni di lavoro aumentassero la produttività delle lavoratrici addette ai compiti di montaggio negli stabilimenti di Hawthorne, nei pressi di Chicago.

All’inizio i ricercatori modificarono numerose variabili, tra cui l’intensità dell’illuminazione, il numero delle pause, la durata delle pause e della giornata lavorativa; tuttavia molto presto si resero conto che i cambiamenti nella produttività non dipendevano da queste modifiche ma dal fatto che gli sperimentatori avevano coinvolto le lavoratrici nel processo di produzione: interpellate, le lavoratrici si sentivano così parte attiva nel processo produttivo e ciò contribuiva a rendere più efficace il loro lavoro.

La presenza di osservatori modifica quindi il comportamento lavorativo delle persone e questo fenomeno è ancora oggi noto come “▶ effetto Hawthorne”.

Esperimenti come quello di Mayo fanno emergere una dimensione che non era stata tenuta in considerazione dal modello di Taylor, improntato solo a fornire una prestazione migliore in cambio di un salario più alto. La dimensione sommersa, che si potrebbe definire socio-emotiva, è portata alla luce dai gruppi di operaie prese in esame, che sembrano basare il loro comportamento sulla soddisfazione ricavabile dal lavoro e non solamente sul salario.

La conclusione di Mayo è dunque basata sulla dimensione sociale del lavoro come un elemento fondante il lavoro stesso, al di là degli incentivi economici. La motivazione al lavoro non può prescindere dalla soddisfazione di bisogni sociali quali il coinvolgimento, l’ascolto e l’attenzione alle istanze dei lavoratori.

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l’autore  Elton Mayo

Nato ad Adelaide, in Australia, nel 1880, si trasferisce negli Stati Uniti nel 1922. Qui, dal 1926 al 1947, svolge la maggior parte della sua carriera di accademico presso l’Harvard Business School, dove approda in virtù dell’interesse suscitato dai suoi studi sulle cause dell’elevato turnover in una fabbrica tessile.

Influenzato, fra gli altri, da Marx e Freud, focalizza il suo pensiero sull’aspetto psicoanalitico della natura umana e, guardando ai conflitti industriali e politici in Australia, sviluppa un’analogia tra le nevrosi di guerra e la natura psicologica delle agitazioni industriali. Partendo, inoltre, da studi antropologici, collega il morale del lavoratore alla percezione della funzione sociale del suo operare.

Proprio grazie al suo pensiero e ai suoi studi prende piede quella che sarebbe stata la moderna psicosociologia industriale.

Si trasferisce in Inghilterra nel 1947, dove muore due anni dopo. In suo omaggio, è stata istituita la Elton Mayo School of Management di Adelaide.

2.4 Il fattore umano

Alla luce degli esperimenti di Mayo, il lavoratore non è più solo portatore di bisogni fisici legati al sostentamento, ma è anche orientato alla ricerca e alla realizzazione di legami sociali soddisfacenti; non basta, quindi, utilizzare un sistema, come è quello basato sul salario, di ricompense e punizioni, ma è indispensabile considerare anche i bisogni sociali.

I dipendenti sono molto più soddisfatti del lavoro perché, da un lato, hanno la sensazione di essere individui e non ingranaggi di una macchina; dall’altro, grazie alla comunicazione con i ricercatori, si sentono maggiormente investiti della responsabilità della propria performance e di quella dell’intero gruppo. Ai fini di tale performance, la sensazione di coesione e la stima di sé divengono più importanti di qualsiasi miglioramento nell’ambiente di lavoro.

Posto che, dunque, i lavoratori “hanno anche un cuore”, per rendere più efficienti i sistemi di direzione dell’azienda è necessario attrezzarsi per soddisfare, oltre alle ragioni economiche, anche questo tipo di bisogni dei lavoratori. Ciò facilita l’identificazione dei dipendenti con gli obiettivi dell’azienda, e questo rende meno conflittuale il rapporto di lavoro.

Il “fattore umano”, human factor, riveste un ruolo chiave che per un’azienda è rischioso ignorare o sottovalutare. I lavoratori non possono più essere considerati come “macchine” un po’ complicate, ma come uomini complessi che hanno una vita al di fuori del posto di lavoro, capace d’influenzarne il comportamento all’interno del lavoro stesso.

Da qui discende l’importanza di pensare all’organizzazione, per quanto riguarda obiettivi, incentivi e responsabilità, non nei termini di individuo ma di gruppo, ponendo attenzione sia ai bisogni psicosociali sia a quelli emotivi: ciò diviene la chiave per un maggiore grado d’impegno e per l’identificazione con gli scopi dell’organizzazione stessa da parte dei dipendenti. Il coinvolgimento dei lavoratori nelle vicende che riguardano l’azienda e l’attenzione alla motivazione dei dipendenti e ai loro rapporti con l’azienda stessa costituiranno i pilastri della corrente di ricerca e intervento dello Human relations movement.

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  esperienze attive

Benessere e malessere a scuola Individuate nella vostra scuola 20 ragazzi di classi differenti da sottoporre a un’intervista riguardante il loro benessere e malessere a scuola.

Cercate poi di individuare gli argomenti più ricorrenti e discutetene in classe.

per lo studio

1. Descrivi gli esperimenti di Mayo e le conclusioni alle quali è giunto.

2. Spiega che cos’è il “fattore umano”.


  Per discutere INSIEME 

Ipotizzate un’attività lavorativa di tipo manuale e provate a scomporla seguendo il modello di Taylor, individuandone tutti i passaggi necessari. Confrontatevi poi fra compagni.

I colori della Psicologia - volume 2
I colori della Psicologia - volume 2
Secondo biennio del liceo delle Scienze umane