2 La comunicazione: sviluppo, modelli e funzioni

2. La comunicazione: sviluppo, modelli e funzioni

“Comunicare” significa letteralmente “mettere in comune”, ovvero condividere informazioni, pensieri ed emozioni. La comunicazione avviene tra esseri umani, animali, piante, cellule e persino tra macchine.

2.1 LO SVILUPPO DELLA COMUNICAZIONE

Gli esseri umani hanno una predisposizione genetica a entrare in relazione con altri individui. I neonati, infatti, esprimono chiaramente una preferenza per le interazioni sociali rispetto a quelle con oggetti inanimati. Per comunicare tra loro le persone utilizzano sia segnali che segni, ovvero sia codici naturali che culturali.
Il bambino alla nascita dispone, come corredo genetico, di un repertorio di sistemi di segnalazione (fonici, mimici, posturali, gestuali) che attiva in maniera inconsapevole, a seconda delle proprie necessità biologiche, e a cui altrettanto automaticamente l’adulto è predisposto a rispondere. I codici più importanti nelle interazioni precoci sono la coordinazione e la condivisione del focus dell’attenzione, le espressioni del volto e il contatto fisico. Dunque, la comunicazione non verbale si sviluppa prima di quella verbale; un bambino di pochi mesi infatti è capace di sorridere ed esprimere contentezza ben prima di pronunciare la sua prima parola.
Inizialmente il bambino con i suoi comportamenti produce effetti non intenzionali sul ricevente, poi sviluppa la capacità di compiere atti comunicativi finalizzati a uno scopo, ovvero esprime le proprie intenzioni comunicative, e solo in seguito impara a parlare. Perciò, possiamo affermare che gli aspetti pragmatici fanno la loro comparsa prima delle abilità linguistiche vere e proprie (fonologiche, morfologiche e sintattiche). Successivamente, il bambino sarà a lungo impegnato nell’apprendimento dei sistemi convenzionali di segni culturalmente elaborati per trasmettere informazioni, e delle regole per interpretarli. I bambini non imparano semplicemente che cosa dire, ma anche come, dove, a chi e in quali circostanze. Per esempio, essi impareranno con il tempo quando una comunicazione può essere informale e quando è necessaria una condotta di cortesia.

2.2 FORME DELLA COMUNICAZIONE

Comunichiamo ogni volta che entriamo in contatto e ci relazioniamo con gli altri, sia nel mondo reale sia in quello virtuale dei mezzi di comunicazione di massa (telefono, televisione, Internet ecc.). Non solo attraverso il linguaggio verbale, ma anche per mezzo di segnali non verbali come l’espressione del viso, i gesti o il modo di vestire. Tutti i nostri comportamenti trasmettono dei messaggi, sia intenzionalmente sia in maniera inconsapevole | ▶ APPROFONDIAMO, p. 114 |.
Nel contesto delle attività umane sono presenti diverse forme di comunicazioneda quelle più astratte, come le espressioni artistiche (musica, teatro, cinema, danza, arti figurative, letteratura ecc.), alle comunicazioni visive più dirette ed esplicite (segnali stradali, cartelloni pubblicitari), dagli articoli scientifici ai cartoni animati, passando per i social network.
Ciò significa che siamo quotidianamente immersi in un flusso continuo di scambi comunicativi, tanto che la comunicazione è considerata lo sfondo dell’esperienza umana e il suo fondamento. Si ritiene infatti che il bambino cominci a percepire se stesso durante i primi scambi comunicativi con la madre. La comunicazione interpersonale, in particolare i rimandi ricevuti dagli altri, chiamati feedback, facilitano il riconoscimento di sé e modellano la formazione dell’individuo.
ESEMPIO: una madre che comprende le emozioni del figlio e si mostra empatica favorisce in lui lo sviluppo della consapevolezza dei propri stati d’animo e la fiducia nel poter essere capito dagli altri. Allo stesso modo, un bambino che si sente ripetere continuamente che è imbranato, che non è capace e non sa fare niente, crescerà insicuro e con scarsa stima di sé.
Tutte le relazioni sociali si basano sulle interazioni comunicative fra le persone. La competenza linguistica e la competenza comunicativa sono abilità distinte e interdipendenti. Se la prima riguarda la padronanza del codice linguistico a livello sintattico e semantico, la seconda coinvolge molti più fattori, come il saper riconoscere le norme del contesto che regolano le interazioni e, a livello più profondo, la conoscenza di sé e dell’altro. La competenza comunicativa è ciò che consente di usare in maniera efficace la lingua, cioè di saper esprimere le proprie intenzioni e interpretare correttamente quelle altrui.

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approfondiamo  LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

I comportamenti che solitamente sono considerati parte della comunicazione non verbale possono essere semplificati in quattro categorie:
  • i segnali paralinguistici e prosodici: la qualità della voce, il volume e le vocalizzazioni, ovvero pause, colpi di tosse, riso, pianto, sospiri, emissioni di suoni come «uh» o «ehm»;
  • le espressioni del volto, o mimica facciale: movimenti dei muscoli facciali che veicolano significati affettivi, emozioni e atteggiamenti, come per esempio lo sguardo;
  • il comportamento spaziale: i gesti, la postura e la posizione del corpo, la distanza tra i parlanti (studiata dalla prossemica) e la presenza o meno di contatto fisico;
  • l’aspetto o l’immagine esteriore: l’abbigliamento, l’acconciatura, il trucco, gli artefatti che decorano il corpo.
La comunicazione a livello non verbale è in parte universale e in parte determinata da fattori culturali. Per esempio, le espressioni del volto che comunicano le emozioni di base (felicità, sorpresa, tristezza, paura, disgusto e rabbia) sono identiche e riconoscibili in tutto il mondo, mentre quando e come sia lecito esibire un’emozione dipende da norme sociali che variano all’interno di diverse culture.
Lo stesso vale per il contatto fisico e la distanza. In generale la vicinanza aumenta al crescere del grado di intimità esistente tra gli interlocutori, ma quella che viene considerata la distanza ottimale durante la comunicazione è molto diversa a seconda della cultura di appartenenza. Secondo l’antropologo e studioso di prossemica Edward Hall (1914-2009) ogni individuo percepisce quattro zone di distanza progressiva tra se stesso e gli altri: la zona intima, alla quale sono ammesse solo le persone con cui si ha un legame stretto; la zona personale, nella quale si trova di norma un interlocutore qualsiasi (a circa un metro, un metro e mezzo); la zona sociale, quella che occupa un gruppo di persone che comunicano tra loro; e la zona pubblica, che separa un oratore dal suo pubblico.

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2.3 MODELLI DELLA COMUNICAZIONE

Esistono principalmente due diversi modelli per spiegare e rappresentare la comunicazione: lineare e circolare.

Il modello lineare
Negli anni Quaranta del secolo scorso l’ingegnere delle telecomunicazioni americano Claude Shannon (1916-2001) mentre lavorava presso i Bell Telephone Laboratories, sviluppò insieme al matematico Warren Weaver (1894-1978) una teoria che illustra il processo comunicativo ispirandosi alla comunicazione telefonica.
Questo modello descrive la comunicazione come una trasmissione lineare di informazioni da una fonte a un destinatario. La fonte, cioè il luogo in cui si origina il messaggio, si serve di un’emittente, ovvero chi lo trasmette e lo codifica per inviarlo tramite un canale fisico (naturale o artificiale) a un ricevente in grado di decodificarlo. Il modello di Shannon è detto “lineare” in quanto considera la comunicazione in senso unidirezionale, per cui i comunicanti assumono alternativamente il ruolo attivo di emittente e il ruolo passivo di ricevente.
Per comunicare è dunque necessario disporre di un codice, che consiste in un sistema di segnali o di segni condiviso sia dalla fonte che dal destinatario, usato per esprimere il messaggio. Codificare consiste dunque nel tradurre in simboli convenzionali il proprio pensiero, in modo da poterlo trasmettere ad altri; decodificare è l’azione opposta, che consiste nel ricostruire il pensiero altrui attraverso la comprensione dei simboli.
Un ulteriore elemento interessante della teoria di Shannon è il concetto di rumore, cioè qualsiasi interferenza nella trasmissione che influenza l’attività di decodifica e quindi la comprensione del messaggio da parte del destinatario. Il rumore spiega la frequente non coincidenza tra i processi di codifica e decodifica, che Shannon aveva osservato durante l’uso del telefono. Ogni canale comunicativo ha un proprio rumore di fondo non eliminabile, a cui si possono aggiungere altri rumori fisici o, nel caso della comunicazione tra esseri umani, il cosiddetto rumore psicologico, dato dagli stati mentali degli interlocutori.
ESEMPIO: quando due persone parlano tra loro la mente di chi parla è la fonte della comunicazione e il suo apparato vocale è l’emittente. Il destinatario è la mente di chi ascolta, il quale utilizza come ricevente il suo apparato uditivo. Il codice usato è quello linguistico, nello specifico una lingua che entrambi gli interlocutori conoscono, per esempio l’italiano. Il canale di trasmissione sono le onde sonore che si propagano nell’aria. Il processo di decodifica può essere influenzato dalla presenza di altri suoni nell’aria (rumore fisico) così come dagli stati mentali, i sentimenti e i pensieri dei due interlocutori (rumore psicologico).
Pensiamo ora a due persone che si trovano una di fronte all’altra, senza parlare. Anche in questo caso avviene una comunicazione. Oltre al canale uditivo-vocaleinfatti, esistono altri canali naturali attraverso cui si trasmettono informazioni:
  • il canale visivo-cinesicoche grazie al senso della vista permette di percepire i movimenti dell’interlocutore (espressioni facciali, gesti ecc.);
  • il canale motorio-tattileche si attiva con il contatto fisico e la percezione tattile (strette di mano, carezze, lettura Braille);
  • il canale chimico-olfattivoattraverso il quale si trasmettono gli odori, più sviluppato negli animali che nell’uomo.
Di conseguenza, possiamo affermare che durante un’interazione sono attivi nello stesso momento diversi canali e codici comunicativi | ▶ APPROFONDIAMOp. 118 |.

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Le emoticon

Le emoticon, piccoli smile che rappresentano diverse espressioni ed emozioni ormai presenti in tutti i programmi e app di messaggistica, sono diventate parte integrante del modo di comunicare tra persone.
L’utilizzo delle emoticon “colora” e aggiunge dettagli alla comunicazione mediata dal testo scritto, permette di far capire all’altro come ci sentiamo o come vogliamo fargli credere di sentirci in quel momento. Allo stesso modo, le emoticon che riceviamo ci aiutano a comprendere l’intenzionalità e l’umore della persona che ci scrive, o quello che desidera che noi capiamo.
Esse hanno assunto valore universale: nelle app di messaggistica più diffuse al mondo le emoticon da poter utilizzare sono sempre le stesse per qualunque utente di qualunque cultura.

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Il modello circolare
La comunicazione umana è un processo complesso, dinamico e circolare, fatto dall’interazione di tutti i partecipanti che hanno contemporaneamente un ruolo attivo e si influenzano a vicenda. A differenza della teoria lineare di Shannon, il modello circolare della comunicazione, messo a punto dalla Scuola di Palo Alto | ▶ GLI AUTORI, p. 123 |, mette in luce la bi-direzionalità degli scambi comunicativi tra esseri umani.
Il ricevente non si limita a rispondere all’emittente quando è il suo turno, ma mentre ascolta invia a sua volta messaggi, il cosiddetto feedback (retroazione, riscontro). Il feedback solitamente si esprime attraverso segnali non verbali che permettono all’emittente di capire se il suo messaggio è stato ricevuto e interpretato correttamente, e, in generale, di percepire la reazione del suo interlocutore.
Per esempio, egli può annuire in segno di assenso oppure corrugare la fronte per esprimere di non aver capito o non essere d’accordo.
Il modello circolare, inoltre, evidenzia l’importanza del contesto (dal latino contextus, “legame”) entro cui si svolge la comunicazione, in grado di influenzarla e venirne a sua volta influenzato. A questo proposito, il concetto di rumore, inteso come elemento esterno al messaggio che impedisce una perfetta simmetria fra il processo di codifica e quello di decodifica, rappresenta un primo aspetto di contesto. Tuttavia, mentre secondo Shannon il contesto era una variabile di disturbo nella decodifica di un messaggio, con il modello circolare esso viene visto come il luogo dove nasce la comunicazione e dal quale non si può prescindere per interpretarla. La codifica e la decodifica di un messaggio non sono semplici operazioni di traduzione, ma implicano, rispettivamente, una scelta tra diverse intenzioni comunicative e tra possibili interpretazioni. In altre parole, il significato di una comunicazione dipende dal contesto nel quale si verifica.
ESEMPIO: in chiesa bisogna entrare vestiti in un certo modo e non si deve urlare. Se qualcuno si presenta in costume da bagno e si mette a gridare comunica oltraggio e mancanza di rispetto verso l’istituzione religiosa, ma se la stessa persona si trova sulla spiaggia, il suo aspetto e il suo comportamento non saranno considerati in alcun modo offensivi e fuori luogo.
Anche la comunicazione influenza e modifica il contesto.
ESEMPIO: il giorno del compleanno è consuetudine fare gli auguri. Un messaggio di auguri farà sentire bene chi compie gli anni, invece, non ricevere alcun messaggio metterà probabilmente di cattivo umore.
È inoltre possibile distinguere tra contesto esterno e contesto internoQuest’ultimo, come il rumore psicologico, fa riferimento alle idee, ai sentimenti e alle esperienze personali di ciascun parlante. Nell’esempio appena citato la comunicazione ha modificato il contesto interno, cioè lo stato mentale di colui che ha ricevuto o meno il messaggio di auguri.
Il contesto interno è sempre coinvolto nella produzione e nella comprensione dei messaggi. Un esempio della sua influenza sono i pregiudizi, cioè aspettative rigide riguardo al proprio e all’altrui comportamento.
ESEMPIO: nello scambio di battute che segue alla base della comunicazione di B vi è un pregiudizio.
A: «Ti consiglio di provare questo ristorante, recentemente ho mangiato un fritto misto incredibile e ho trovato tutto impeccabile!»
B: «Non ci penso nemmeno, il cuoco è straniero, non può essere soddisfacente la sua cucina italiana!»

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Un ricatto senza voce

Nel dipinto Susanna e i vecchioni la pittrice Artemisia Gentileschi (1593-1654) racconta l’episodio dell’Antico Testamento in cui la giovane e pura Susanna, sorpresa da due anziani, viene sottoposta a un ricatto sessuale. La posa, le espressioni, la gestualità dei protagonisti del quadro sono un chiaro esempio di comunicazione non verbale, in cui intervengono altri canali comunicativi oltre a quello uditivo-vocale. Il dipinto non ha voce, ma trasmette chiaramente il racconto della vicenda e le emozioni dei protagonisti.

approfondiamo  DEFICIT SENSORIALI E COMUNICAZIONE

Perché le persone sorde dalla nascita sono definite “sordomute”? Poiché, pur avendo un apparato fonatorio perfettamente funzionante, non hanno mai potuto ascoltare i suoni della propria lingua madre, e di conseguenza imparare a usarli. Per questo motivo, oltre a non poter sentire, non possono nemmeno parlare in maniera chiara.
Per comunicare i sordomuti usano le lingue dei segni, che utilizzano come codice comunicativo gesti, espressioni e movimenti, del tutto simili nella struttura alle lingue parlate.
Ogni Paese ha una propria lingua dei segni, ma solo alcuni Stati hanno riconosciuto ufficialmente la lingua dei segni usata dalle persone sordomute nel proprio territorio. Per esempio, la lingua dei segni italiana (Lis) non ha ancora ricevuto lo statuto di lingua.
I ciechi comunicano attraverso l’alfabeto Braille, che ha preso il nome dal suo inventore, il francese Louis Braille (1809-1852). Si tratta di un codice basato su sei punti in rilievo su una superficie, disposti in modo differente per formare le lettere: il non vedente, toccando con i polpastrelli la superficie, identifica le parole attraverso la posizione dei puntini.

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2.4 LE FUNZIONI DELLA COMUNICAZIONE

Per descrivere il processo comunicativo non basta rispondere alle domande: chi invia il messaggio?
Che cosa trasmette? A chi? Attraverso quale canale? Bisogna anche chiedersi: perché? Con quali effetti? Quali sono gli scopi e le motivazioni dell’emittente, le sue intenzioni? E che cosa ottiene? Quali conseguenze ha tale comunicazione?
Negli anni Sessanta del secolo scorso il linguista russo Roman Jakobson | ▶ L’AUTORE | ha individuato le funzioni, ovvero gli scopi, di una comunicazione, collegando ognuna di esse a un fattore costitutivo del processo comunicativo.
  • La funzione fàtica riguarda i messaggi che hanno l’obiettivo di instaurare, stabilire, prolungare o interrompere un contatto tra gli interlocutori;
    si tratta di una funzione preliminare a tutti gli altri scopi, spesso svolta dall’incontro degli sguardi o dai saluti.
    ESEMPIO: l’espressione «Pronto?» quando l’interlocutore è al telefono.
  • La funzione referenziale o informativa è relativa alla trasmissione di informazioni, dati e conoscenze. È chiamata referenziale perché il contenuto del messaggio si riferisce a un argomento o a un oggetto che risiede nel contesto esterno allo scambio comunicativo.
    ESEMPIO: «La proiezione del film inizierà alle ore 21».
  • La funzione espressiva o emotiva consiste nella trasmissione degli stati d’animo e degli atteggiamenti dell’emittente e può essere più o meno intenzionale.
    ESEMPIO: un messaggio emotivo esplicito potrebbe essere la frase: «Oggi mi sento triste». Allo stesso modo il mio interlocutore potrebbe accorgersi della mia tristezza osservando l’espressione triste del mio volto, anche senza che io glielo comunichi apertamente (messaggio implicito).
  • La funzione conativa, detta anche persuasiva o imperativa, è evidente in quei messaggi volti a influenzare il comportamento del destinatario.
    ESEMPIO: «Mi passi il sale?» oppure «Stai attento!». Anche gli slogan pubblicitari hanno questa funzione, ovvero di influenzare il comportamento dei destinatari affinché siano propensi a comprare il prodotto pubblicizzato.
  • La funzione metalinguistica riguarda la riflessione sulla lingua stessa.
    In altre parole svolgono questa funzione tutti i messaggi che comunicano qualcosa sul codice che si sta utilizzando oppure su un altro codice: si tratta di messaggi che parlano di messaggi.
    ESEMPIO: le definizioni presenti nei dizionari, la spiegazione della grammatica di una lingua o la traduzione da una lingua a un’altra. Anche la critica letteraria o la recensione di un film sono esempi di metacomunicazione.
  • Un caso particolare di funzione metalinguistica è la funzione poetica o estetica, per cui un messaggio viene contemplato per i suoi aspetti formali (scelta del lessico, composizione, musicalità ecc.) anche se il suo contenuto risulta ambiguo o di difficile comprensione.

Nella maggior parte dei casi i messaggi svolgono più di una funzione allo stesso tempo, anche se una prevale sulle altre. L’analisi delle funzioni comunicative, oltre a enfatizzare il ruolo del contesto, si concentra sull’intenzione di chi parla (scopi e motivazioni dell’emittente) e sull’interpretazione di ciò che viene detto.
ESEMPIO: quando si riceve un messaggio non è sempre facile dedurre quale sia la sua funzione. Se un amico mi dice: «Stasera esce il nuovo film di Leonardo Di Caprio», vuole solo informarmi o mi sta proponendo di andare a vederlo?
Può anche capitare che si attribuisca un’intenzionalità a un comportamento che ne è in realtà privo oppure l’emittente può volontariamente celare la sua reale intenzione: è il caso dell’inganno, quando una persona mente e chi ascolta, non essendo consapevole della menzogna, attribuisce un’altra intenzione al messaggio ricevuto.

l’autore  Roman Jakobson

Roman Jakobson nasce nel 1896 a Mosca, dove si laurea e fonda, giovanissimo, un circolo linguistico. A causa degli sconvolgimenti politici in Russia, si trasferisce in Cecoslovacchia per proseguire e approfondire i suoi studi; anche qui è tra i fondatori del circolo linguistico di Praga, formato da un gruppo di studiosi e linguisti che daranno un contributo decisivo alla formulazione delle teorie sulle funzioni del linguaggio.
Durante la Seconda guerra mondiale e in seguito all’invasione nazista della Cecoslovacchia Jakobson, di origine ebrea, è costretto a emigrare dapprima in Norvegia, poi in Svezia e infine negli Stati Uniti, dove porterà avanti i suoi studi di linguistica e semiologia.
Muore a Boston nel 1982, dopo essere diventato uno dei maggiori linguisti del XX secolo, in particolare per lo studio della teoria della comunicazione linguistica.

per lo studio

1. Come funziona il modello della comunicazione lineare di Shannon?
2. Che cosa si intende per feedback nel modello della comunicazione circolare?
3. Che cos’è la funzione fàtica della comunicazione?
4. Fai un esempio di funzione metalinguistica della comunicazione.


  Per discutere INSIEME 

Di seguito trovate il famoso dialogo tra Romeo e Giulietta nell’omonima tragedia di Shakespeare. Provate a leggerlo in classe individuando alcune delle funzioni comunicative presenti.

GIULIETTA: O Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?
Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo stesso nome.
Ovvero, se proprio non lo vuoi fare, giurami soltanto che mi ami, ed io smetterò di essere una Capuleti.
ROMEO: Devo continuare ad ascoltarla oppure rispondere a ciò che dice?
GIULIETTA: È solamente il tuo nome ad essermi ostile: tu saresti sempre lo stesso anche se non fossi un Montecchi.
Che cosa vuol dire la parola Montecchi? Non è una mano, o un braccio o un viso, ne un’altra parte che appartiene ad un essere umano. Oh, sii qualche altro nome! Quello che noi chiamiamo col nome di rosa, anche chiamato con un nome diverso, conserverebbe ugualmente il suo dolce profumo. Allo stesso modo Romeo, se portasse un altro nome, avrebbe sempre quella rara perfezione che possiede anche senza quel nome.
Rinuncia quindi al tuo nome, Romeo, ed in cambio di quello, che tuttavia non è una parte di te, accogli tutta me stessa.
ROMEO: Ti prendo in parola. D’ora in avanti non sarò più Romeo.
GIULIETTA: Chi sei tu, così nascosto dalla notte, che inciampi nei miei pensieri più nascosti?
ROMEO: Non so dirti chi sono, adoperando un nome.
Perché il mio nome, o diletta santa, è odioso a me stesso, perché è nemico a te.
E nondimeno strapperei il foglio dove lo trovassi scritto.

I colori della Psicologia - volume 1
I colori della Psicologia - volume 1
Primo biennio del liceo delle Scienze umane