3 Il mosaico maya nel cuore dell’America centrale

3. Il mosaico maya nel cuore dell'America centrale

3.1 SCOPERTA O CONQUISTA?

Il continente che oggi chiamiamo America è stato abitato, fin da decine di migliaia di anni fa, da popoli che hanno dato vita a sistemi culturali complessi e visioni del mondo originali. Gli europei hanno preteso di far coincidere il proprio arrivo con il punto zero della storia, cercando di cancellare tutto ciò che c’era stato prima della cosiddetta “scoperta” e imponendo un nuovo sistema di conteggio del tempo. Ma quest’opera è riuscita solo in parte. Per secoli i popoli indigeni hanno cercato di preservare la propria identità culturale e hanno trasmesso testimonianze fondamentali antecedenti la conquista.
Ne è un esempio il Popol Vuh | ▶ APPROFONDIAMO |, il libro della storia e della mitologia maya, che si è salvato dal rogo dell’Inquisizione grazie all’opera di alcuni studiosi indigeni che lo hanno trascritto in caratteri latini.
Pochi anni dopo, infatti, il vescovo dello Yucatán, Diego de Landa (1524-1579), avrebbe fatto bruciare tonnellate di libri redatti nella ▶ scrittura logosillabica maya. Oggi il Popol Vuh è considerato uno dei testi più antichi della storia dell’umanità e un contributo importantissimo alla letteratura mondiale.
Le differenti civiltà che hanno abitato e abitano tuttora il continente americano sono state frequentemente rappresentate nella cultura e nell’arte occidentali – pensiamo a film come La strada per El Dorado (2000) o Apocalypto (2006) – in modo riduttivo, quando non proprio degradante. La profonda spiritualità maya, per esempio, è stata strumentalizzata per divulgare presunte profezie sulla fine del mondo.
È difficile venire a capo di questi pregiudizi ed è pericoloso pretendere di capire culture così profondamente diverse dalla nostra. Con questa consapevolezza, ci accosteremo allo studio di alcuni aspetti dell’universo maya particolarmente rilevanti dal punto di vista pedagogico. Laddove possibile, inoltre, metteremo in luce elementi comuni ad altre civiltà mesoamericane. Infine cercheremo di mettere in tensione il passato e il presente, dal momento che la cultura maya non è un reperto archeologico seppellito in un passato perduto, ma una realtà viva e in costante mutamento, oggi come alle sue origini.
Si può notare questo aspetto a partire dalla lingua: attualmente la ▶ famiglia linguistica maya è composta da una trentina di lingue di cui solo due sono lingue morte, mentre le altre continuano a essere utilizzate nella comunicazione quotidiana. La dimensione linguistica evidenzia un’altra caratteristica importante: anche se è possibile identificare una visione del mondo unitaria, la cultura maya è simile a un mosaico attraversato da significative differenze interne.

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approfondiamo  IL POPOL VUH

Il Popol Vuh (letteralmente “Libro del consiglio”, “Libro di ciò che è comune”, “Libro del popolo”) è il testo che raccoglie i miti e la storia dei maya, in particolare del gruppo etnico quiché. La versione originaria del libro era in caratteri maya. Tra il 1554 e il 1558, in piena conquista, tre autori quiché ne realizzarono di nascosto una copia nella propria lingua ma usando caratteri latini e ampliandone il contenuto; il Popol Vuh che oggi conosciamo, infatti, comprende anche la narrazione di vicende legate alla conquista, come la feroce persecuzione spagnola, le torture compiute dal conquistatore Pedro de Alvarado, l'imposizione della cristianità.
Nella parte finale, gli autori quiché definiscono se stessi «madri della parola», «padri della parola». Di fatto, senza la loro valorosa opera, oggi non disporremmo di questo libro o, nella migliore delle ipotesi, gli studiosi starebbero ancora cercando di decifrarlo. All'inizio del XVIII secolo il manoscritto quiché è stato ritrovato e tradotto in spagnolo dal missionario Francisco Ximénez. Le numerose e autorevoli traduzioni successive si basano su questa versione.

3.2 LINEAMENTI STORIOGRAFICI: LA CIVILTÀ MAYA

Il territorio dell’America centrale, detto anche Mesoamerica o Anahuac nella lingua indigena nahuatl, vide sorgere nell’antichità diverse civiltà (la tolteca, l’olmeca, l’azteca o mexica e così via), tra cui la complessa e progredita civiltà maya.
Il territorio maya comprendeva gli odierni Stati del Sudest messicano (Yucatán, Campeche, Tabasco, Quintana Roo e la zona orientale del Chiapas), il Guatemala, il Belize, parte dell’Honduras e di El Salvador. Convenzionalmente la storia maya anteriore all’arrivo degli spagnoli (inizi del 1500) viene suddivisa in tre grandi periodi: preclassico (dal 2000 a.C. al 250 d.C.), classico (dal 250 al 900) e postclassico (dal 900 alla conquista).
La civiltà maya si è formata all’inizio del periodo preclassico, quando i villaggi agricoli diventarono sempre più grandi e complessi, fino a trasformarsi in centri urbani organizzati gerarchicamente sotto un’autorità; la popolazione aumentò, l’agricoltura si fece più intensiva e cominciò a essere usata la scrittura logosillabica.
Quello classico è considerato il periodo di massima fioritura della civiltà maya: è caratterizzato dal consolidamento dei commerci di lunga distanza e da un’intensificazione delle guerre tra i principali centri di potere per il controllo regionale. La civiltà maya, infatti, si basava su unità politiche indipendenti – città-Stato – che, a seconda delle circostanze storiche, erano in competizione tra loro, stipulavano alleanze o promuovevano la fondazione di colonie. Le città più grandi erano Tikal (con una superficie di 123 km2) in Guatemala, Caracol in Belize, Calakmul in Messico, con una popolazione superiore ai 50000 abitanti e circondate da insediamenti minori; seguivano Copán in Honduras, Palenque in Messico e Naranjo in Guatemala, con una popolazione compresa tra i 15 000 e i 25 000 abitanti, e poi un gran numero di centri con 10 000 abitanti o meno.
Nelle città sorgevano grandi edifici civico-cerimoniali e sontuose residenze riservate all’élite, mentre le abitazioni più semplici, dove risiedeva la gente comune, erano generalmente situate nelle periferie. Nel periodo classico si edificarono i monumenti maya più maestosi: piramidi, templi, palazzi con varie stanze, stadi per il gioco della palla | ▶ APPROFONDIAMO |, stele, altari scolpiti e iscrizioni; si consolidò l’uso della scrittura sui monumenti per registrare eventi significativi e celebrare date importanti della vita dei sovrani; si svilupparono il sapere astronomico e la misurazione del tempo per mezzo di calendari, che permettevano di anticipare eventi celesti in base ai quali pianificare attacchi bellici, rituali e attività della vita quotidiana.
Nella complessa società maya del periodo classico, la distinzione in gruppi sociali si basava su un insieme di fattori: economici, politici, etnici, dinastici e così via. È possibile identificare a grandi tratti i principali nuclei socialil’élite governante, i nobili, i vassalli di posizione sociale alta, media e bassa.
Forse esistevano anche gli schiavi, ma le testimonianze archeologiche disponibili non permettono di accertarlo.
All’inizio del periodo postclassico, intorno al 900, si situa il misterioso evento conosciuto come collasso maya: le città più importanti vennero abbandonate, la costruzione di grandi edifici e le iscrizioni monumentali cessarono. Secondo gli studiosi, tale declino fu la conseguenza di molteplici cause concomitanti, quali: una grave crisi ambientale e il parallelo sovrappopolamento, sommati all’incapacità politica di far fronte ai cambiamenti.
In tutta la regione mesoamericana si ebbero significative trasformazioni, legate al mutamento dei sistemi economici e politici, ai movimenti migratori, all’intensificazione dei conflitti e all’estensione del dominio della civiltà mexica. Nel periodo postclassico, due città esercitarono il ruolo di capitali culturali: dapprima Chichén Itzá, il più cosmopolita dei centri maya, e successivamente la vicina Mayapán, entrambe in Messico.
Mayapan dominò la penisola dello Yucatan fino al 1450 circa. Quando, qualche decennio dopo, arrivarono i conquistatori, la penisola era composta da numerose piccole province indipendenti, ciascuna retta da un governante locale.
Al contrario, nella regione degli altopiani guatemaltechi gli spagnoli trovarono città in espansione e con un elevato sviluppo agricolo, alcune delle quali guidavano potenti ed estese entità politiche (come i regni quiché e cakchiquel). La regione guatemalteca del Petén per diverso tempo si sottrasse all’invasione straniera grazie alle sue condizioni geografiche, che la rendevano isolata e di difficile accesso. Di fatto, la fase iniziale della conquista fu caratterizzata da una forte aggressività militare, in cui svolsero un ruolo fondamentale la superiorità bellica degli spagnoli guidati da Pedro de Alvarado e il sostegno di popolazioni indigene avversarie. Seguì poi una seconda fase di conquista pacifica, basata sulla missione evangelizzatrice dei frati domenicani, e infine si ebbe una terza, lunga fase, scandita da campagne militari e da tentativi di evangelizzazione. La resistenza indigena diede filo da torcere ai conquistatori, che soltanto nel 1697 riuscirono a soggiogare l’ultima città maya indipendente, Tayasal, nel Petén. Nel 1761, inoltre, il maya Jacinto Canek condusse una nuova ribellione.

  INVITO ALLA LETTURA 
Maria Longhena, SCRITTURA MAYA. RITRATTO DI UNA CIVILTÀ ATTRAVERSO I SUOI SEGNI, Mondadori, Milano, 1998

Uno dei meriti della civiltà maya è stata l’invenzione, a partire dal III secolo a.C., di un sofisticato sistema di scrittura. Si tratta di un sistema logosillabico, fondato cioè sull’uso congiunto di segni che corrispondono a parole (logogrammi) e a sillabe (glifi sillabici). Questo prezioso patrimonio è giunto ai nostri giorni soprattutto grazie alle iscrizioni monumentali su stele, altari e architravi, mentre quasi tutti i volumi redatti nella scrittura maya furono mandati al rogo dall’Inquisizione. Per questa ragione tale scrittura è rimasta per molto tempo un mistero, ma negli ultimi decenni la ricerca ha compiuto passi da gigante nella sua decifrazione.
Il libro Scrittura Maya. Ritratto di una civiltà attraverso i suoi segni di Maria Longhena, archeologa esperta di civiltà precolombiane, ci introduce alla conoscenza di questa scrittura, presentando circa duecento segni corredati da ricche immagini, indicazioni tecniche e percorsi di approfondimento.
Inoltre l’autrice mette in relazione la scrittura con altre dimensioni della cultura maya, esaminando i personaggi e le città principali, le divinità, i numeri, i corpi celesti e i calendari.

approfondiamo  IL GIOCO DELLA PALLA

Il gioco della palla era un sport di tipo rituale praticato da tutti i popoli mesoamericani a partire dal 1400 a.C. L’obiettivo e la durata del gioco, il modo in cui la palla poteva essere colpita, le dimensioni della palla e del campo da gioco, il numero dei giocatori variavano a seconda dei luoghi e delle epoche.
Nella versione più conosciuta, i giocatori dovevano colpire la palla con i fianchi, le ginocchia o i gomiti; i punti venivano totalizzati quando la palla attraversava un anello di pietra collocato a una delle estremità del campo. Il gioco della palla è documentato da diversi reperti archeologici, come sculture o vasi di ceramica finemente dipinti. La testimonianza più rilevante è contenuta nel Popol Vuh, il libro sacro dei maya quiché, dove sono narrate le gesta di due eroi gemelli, Hunahpu e Xbalanque, che affrontano in una terribile partita i signori di Xibalba, demoni degli inferi. Nel corso della partita, i gemelli superano temibili prove grazie a una serie di prodigi; quindi si consegnano volontariamente alla morte affinché, resuscitati e trasformati in mendicanti, possano sconfiggere i signori di Xibalba con l’inganno. In seguito a questi avvenimenti, Hunahpu e Xbalanque ascendono al cielo e si trasformano rispettivamente in Sole e Luna.
Si ritiene che i campi da gioco fossero collocati a un livello inferiore rispetto alla linea di terra proprio in riferimento alla partita giocata dagli eroi gemelli nel regno degli inferi. Inoltre la palla simboleggiava il movimento del sole e per questa ragione doveva essere sempre in movimento.
Questi elementi ci permettono quanto meno di intuire il significato profondo del gioco della palla. Il rituale, in molti casi, si concludeva con un sacrificio umano, ma non è ancora chiaro se a essere sacrificati fossero i perdenti o i vincitori.

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per immagini

Gli aquiloni e il culto dei morti

Il culto dei morti è molto sentito in Guatemala. I cimiteri guatemaltechi sono coloratissimi: ogni lapide e ogni tomba sono tinteggiate con il colore preferito dal defunto. Il primo novembre, giorno dedicato ai morti, nei cimiteri si svolgono delle importanti celebrazioni: oltre a pregare per i loro defunti, i parenti lanciano in volo aquiloni giganti che rappresentano attraverso tinte molto vivaci i temi della pace e della libertà e che, secondo la tradizione, hanno il potere di mettere in comunicazione il cielo e la terra. Secondo le credenze maya, questa usanza è anche utile per proteggersi dagli spiriti maligni.

3.3 LA COSMOVISIONE MAYA, UNA PEDAGOGIA PER LA VITA

L’antica concezione educativa maya si fonda sul principio della relazionalità: ogni persona è un’unità di mente, corpo, cuore e spirito e può esistere solo in virtù della rete di relazioni che genera e che dà sostegno alla sua vita. In questo senso, la realizzazione personale si compie sempre e solo in sintonia con la realizzazione degli altri esseri umani, in famiglia, nella comunità, nella società.
In particolare, hanno un valore fondamentale le relazioni intergenerazionali: le nonne e i nonni sono depositari del sapere che i nipoti assimilano e apprendono attraverso la condivisione e mediante l’ascolto dei loro consigli nelle differenti tappe della vita. Nel Popol Vuh si racconta che gli antenati, in punto di morte, raccomandano ai propri figli di non dimenticarli e di non cancellarli dalla memoria. 
L’interdipendenza tra antenati e discendenti e tra anziani e giovani garantisce la trasmissione del sapere come cammino di evoluzione spirituale che è, allo stesso tempo, un permanente ritorno all’origine.
La relazionalità non riguarda solo i rapporti umani, ma coinvolge anche la natura e il cosmo. Le collettività vegetali, animali, minerali, umane, infatti, sono espressione di una stessa radice di vita, anche se possiedono qualità e facoltà fisiche, psichiche, mentali e spirituali differenti. Le diverse manifestazioni della stessa totalità originaria sono tra loro complementari e si sostengono a vicenda. Una bella espressione di complementarità e convivenza armonica tra realtà differenti sono il giorno e la notte, che cedono il passo l’uno all’altra per contribuire alla realizzazione della vita. La stessa costituzione dell’universo è fondata su reti di relazioni e su rapporti di affinità.
Padre Sole, per esempio, è fonte indispensabile di vita per tutte le creature e anche per Madre Terra, che a sua volta è dispensatrice di acqua, aria, terra e alimenti, senza i quali non sarebbe possibile la vita; Padre Sole, inoltre, non potrebbe esistere senza la galassia di cui è parte, e senza la vibrazione energetica dell’universo non potrebbero esistere le galassie.
La cosmovisione maya, quindi, attribuisce a tutto ciò che esiste la stessa dignità; tutto ciò che esiste è componente ed essenza della totalità. Anche le parti del corpo, principalmente le mani, sono sacre, perché sono espressione dell’universo. Il senso profondo dell’educazione comunitaria, perciò, è orientare ogni persona perché si riconosca come scintilla del fuoco cosmico, perché alimenti questo fuoco e aiuti gli altri ad alimentarlo. Questa profonda connessione si comprende meglio esaminando alcuni temi della cosmologia maya, in particolare, l’albero della vita.
Per i maya, i quattro punti cardinali costituiscono i riferimenti principali sulla superficie della terra. In base a essi si organizza ogni pratica quotidiana, dalle attività agricole, ai rituali, alle offerte. Ognuna delle quattro direzioni è associata a un colore. L’Est è la direzione più importante, perché è quella da cui sorge il sole, ed è associata al colore rosso. Il Nord è associato al bianco, l’Ovest al nero, il Sud al giallo. I punti cardinali sono in relazione con il centro, l’Axis Mundi – a sua volta abbinato al colore verde –, in cui sorge l’albero della vita.
Questo maestoso albero, che la maggior parte degli autori identifica con la ceiba pentandra, rende esplicita la comunicazione fra le tre dimensioni dell’universo: il suo tronco attraversa il mondo mediano, le radici affondano nel mondo sotterraneo e i rami si estendono nei diversi strati del cielo. I tre livelli non rappresentano regioni distinte, ma dimensioni profondamente interconnesse. La connessione fra tutte le componenti dell’universo è una condizione e, allo stesso tempo, una ricerca. Tutte le manifestazioni materiali ed energetiche dell’universo si sincronizzano permanentemente per creare sintonia. Per gli esseri umani, orientarsi alla connessione significa cercare in ogni momento di comprendere la vita e i suoi cicli, conformando all’ordine cosmico tutti gli atti personali, comunitari e sociali.

FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Pedagogia & Letteratura

IL NAHUAL

Nahualnahualli o nagual è una parola della lingua mexica nahuatl che ha due principali significati: indica una persona che ha il potere di cambiare forma e di mutarsi in un animale, oppure identifica uno spirito protettore, in genere sotto forma di animale, che accompagna la persona per tutto il corso della sua vita.
Nel suo libro Mi chiamo Rigoberta Menchú, l’attivista maya, premio Nobel per la pace, si sofferma su questa seconda accezione e spiega che il nahual è espressione della relazione profonda che lega esseri umani e natura: non c’è una netta separazione tra animali e umani, poiché tutto ciò che esiste sulla terra ha a che fare con gli esseri umani e contribuisce alla loro esistenza. In Uomini di Mais, il premio Nobel per la letteratura Miguel Ángel Asturias, invece, offre una bellissima testimonianza letteraria sull’altra accezione di nahual.

«Il Guaritore e il cervo, tanto perché tu lo sappia, erano la stessa cosa. Ho sparato al cervo e ho ucciso il Guaritore, perché erano una cosa sola, identica, tutti e due.
[…] Erano un essere unico! Il Guaritore e il cervo erano come te e la tua ombra, come te e la tua anima, te e il tuo respiro!
[…] Come due gocce d’acqua in un’unica sorsata! […] Colui che ha la rara facoltà di essere uomo e animale insieme, nel caso che perda la vita lascia il suo corpo d’uomo nel punto in cui si trasformò, e il corpo di animale dove gli sopravvenne la morte.»

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3.4 ASTROLOGIA MAYA: IL CIELO STELLATO DENTRO DI NOI

«Il cielo stellato dentro di noi» è un’espressione coniata dalla comunità filosofica femminile Diotima che riprende, stravolgendola, una nota frase del filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804): «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me». L’espressione di Diotima ricongiunge ciò che Kant distingue nettamente (le leggi dell’universo e i principi morali) e mostra che dentro e fuori di noi regna lo stesso ordine. Questa prospettiva può aiutarci a comprendere quale importanza avesse e che cosa fosse lo studio del cielo per i maya: un tentativo costante di comprendere le leggi profonde dell’universo per sintonizzarsi con esse e conformarsi a esse.
Per secoli i maya hanno dedicato un’attenzione sistematica all’astronomia e allo studio dell’influenza dei corpi celesti sulle vicende della vita sociale (per esempio le guerre e le pratiche agricole) e personale. Grazie a elevate conoscenze matematiche e alla nozione dello zero, effettuavano calcoli anche molto complessi. Osservando il cielo a occhio nudo, arrivarono a conoscere approfonditamente il comportamento dei corpi celesti (in primo luogo il Sole, la Luna e Venere), costruirono un calendario solare preciso quanto quello che impieghiamo attualmente e furono in grado di prevedere fenomeni astronomici anche molto distanti nel tempo e nello spazio.
La competenza astronomica maya è racchiusa nel Codice di Dresda, un antico manoscritto risalente al XIII o al XIV secolo, redatto nella scrittura logosillabica e così chiamato dalla città tedesca in cui è stato ritrovato. Si tratta di uno dei manoscritti più antichi del continente americano, sopravvissuto insieme ad altri tre al rogo dell’Inquisizione. Il contenuto che è stato finora possibile decifrare comprende: tavole lunari che descrivono l’influenza delle fasi della Luna sulla vita collettiva, per esempio sulle nascite e sulle morti; il ciclo del pianeta Venere e le relative annotazioni sui tempi propizi per la guerra (i maya associavano Venere agli eventi bellici); pagine dedicate alla divinità della pioggia Chac, di importanza fondamentale perché legata all’agricoltura; previsioni sulle eclissi (i maya riuscirono a comprendere che c’è un’alta possibilità che si verifichi un’eclisse lunare o solare dopo rispettivamente
177 o 148 giorni lunari dall’ultima eclisse); rituali, cerimonie e profezie.
Si pensa che il Codice di Dresda sia stato redatto da almeno cinque scribi.
La raffinatezza della manifattura è indice dell’importanza religiosa e culturale di questo documento.
L’osservazione del cielo manifestava i suoi effetti sulla vita dei maya anzitutto attraverso i calendari | ▶ APPROFONDIAMO |, in base ai quali essi regolavano le attività civili e religiose. I maya utilizzavano diversi tipi di calendari (alcuni dei quali erano comuni ad altre civiltà mesoamericane) ed elaborarono un sistema di misurazione del tempo conosciuto con il nome di lungo computo. L’unità minima di questo sistema di misurazione è il giorno, kinventi giorni formano un mese, uinal; 18 uinal formano un anno di 360 giorni, il tun; 20 tun compongono un katun (7200 giorni, quasi 20 anni del nostro calendario); 20 katun danno un baktun (144 000 giorni, circa 400 anni) e via dicendo. Si tratta di un calcolo lunghissimo, su base  vigesimale, che veniva usato nelle iscrizioni monumentali e che permise ai maya di collocare l’inizio della loro storia in una data ben precisa, per noi corrispondente all’11 agosto del 3114 a.C. Secondo il lungo computo, il 21 dicembre 2012 si è completato il tredicesimo baktun. Si tratta quindi di una data importante, che indica la fine di un ciclo e l’inizio di un altro.
I maya ritenevano che gli esseri umani dovessero collaborare con le divinità al mantenimento dell’ordine cosmico, e appunto in questa ottica praticavano rituali e sacrifici. La matematica, l’astronomia, l’architettura, la misurazione del tempo attraverso calendari, dunque, erano campi di studio profondamente interconnessi. Il senso profondo di questo studio era comprendere l’universo per accordare a esso la vita sulla terra.
Anche l’architettura era associata allo studio del cielo, sicché molti degli imponenti edifici degli antichi maya erano osservatori astronomici. Nella città messicana di Chichén Itzá, il tempio dedicato al dio Kukulkán (il Serpente Piumato, IX-XII secolo) riproduce nella sua struttura il calendario solare maya. Questo edificio di forma piramidale è composto da una serie di terrazze quadrangolari alte complessivamente 24 metri, in cima alle quali vi è un tempio quadrangolare di sei metri di lato. Ciascuno dei quattro lati del tempio è accessibile mediante una scalinata di 91 scalini. Sommando gli scalini e il tempio centrale otteniamo il numero 365, pari al numero dei giorni secondo il calendario solare maya. Ai piedi della scalinata nord sono scolpite due teste di serpente. Durante gli equinozi di primavera e d’autunno, il sole del tardo pomeriggio proietta lungo tutto l’angolo nord-ovest della piramide una successione di ombre triangolari che, congiungendosi con una delle teste scolpite, sembra comporre l’immagine di un serpente piumato che striscia lungo la piramide verso terra.

approfondiamo  I CALENDARI MESOAMERICANI

I popoli mesoamericani utilizzavano due tipi di calendario, che erano conosciuti con nomi diversi ma funzionavano ovunque allo stesso modo.
Il calendario religioso, a uso rituale e divinatorio, era composto da 260 giorni (13 mesi di 20 giorni oppure 20 mesi di 13 giorni, a seconda delle differenti culture). A ogni giorno erano associati un nome e un numero. In base a questa associazione venivano scelti i nomi per i nuovi nati ed era possibile anticiparne il destino.
Il calendario civile (o solare), di 365 giorni, invece, era composto da 18 mesi di 20 giorni ciascuno, più un’appendice di 5 giorni. Questo calendario era un riferimento essenziale per lo svolgimento delle attività agricole. La lunghezza diversa dei due calendari implicava che una certa combinazione di date tornasse a ripetersi ogni 52 anni. Questo lasso di tempo, dunque, aveva un significato molto importante, poiché indicava il compimento di un ciclo e nella vita di una persona segnava il raggiungimento della maturità.

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  esperienze attive

Che giorno è... nel calendario maya? Nel lungo computo, le date si scrivono attraverso cinque cifre che indicano, in ordine, il baktun, il katun, il tun, l'uinal e il kin. Per esempio, il 14 febbraio 2019 del nostro calendario corrisponde alla data 13.0.6.4.6 del lungo computo. Tenendo presente la data 13.0.0.0.0 relativa al 21 dicembre 2012, a quale data del lungo computo corrisponde il giorno di oggi?

per lo studio

1. Quale importanza aveva l'osservazione del cielo per i maya?
2. Quali sono i punti salienti della cosmovisione maya?
3. Come si trasmette il sapere secondo i maya?

  Per discutere INSIEME 

Quale è, secondo te, il legame tra esseri umani, animali e natura? Come viene vissuta questa relazione nella nostra cultura? Quali elementi di criticità è possibile individuare nel modo in cui viviamo questo rapporto, alla luce dell'attuale crisi ecologica? Discutine in classe con i compagni.

I colori della Pedagogia - volume 1
I colori della Pedagogia - volume 1
L'educazione dal mondo antico all’alto Medioevo - Primo biennio del liceo delle Scienze umane