2. Weber e la razionalizzazione

2. Weber e la razionalizzazione

2.1 IL CONCETTO DI RAZIONALIZZAZIONE

Come Durkheim in Francia, anche Max Weber | ▶ L’AUTORE | contribuì, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, a fondare in Germania la sociologia come disciplina autonoma.
Un tema generale tipico della riflessione di Weber è quello della comprensione dei processi di razionalizzazione | ▶ APPROFONDIAMO, p. 94 |. Con questo termine si intende la trasformazione tipica della società moderna (grazie all’Illuminismo e al positivismo, | ▶ UNITÀ 2, p. 52 |) attraverso cui le credenze più antiche finirono per perdere via via rilevanza a favore della scienza e del ragionamento razionale. A Weber non sfuggiva, infatti, come sia nella sfera economica sia nelle relazioni interpersonali l’applicazione del calcolo razionale, basato sulla valutazione di mezzi e obiettivifosse ormai diventata la logica predominante, in grado di sostituire l’influenza che una volta era esercitata dalle tradizioni e dalle credenze religiose. Tutta la sua opera può, dunque, essere letta come una risposta alla necessità di comprendere i fattori sociali alla base della razionalizzazione della moderna civiltà occidentale e delle origini del sistema economico capitalistico, uno dei fenomeni esemplari attraverso cui il pensiero razionale è diventato dominante.
A tali temi è dedicato uno dei suoi studi più noti, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-1905), in cui egli avanza la tesi secondo la quale l’origine del capitalismo va ricercata nell’influenza esercitata dall’etica protestante di matrice ▶ calvinista, diffusasi a partire dal XVI secolo tra i primi commercianti-imprenditori del Nord Europa. Infatti, nel periodo successivo alla ▶ Riforma protestante, l’attitudine alla ricerca del successo negli affari, caratteristica del protestantesimo, aveva favorito lo sviluppo di un atteggiamento individuale funzionale allo sviluppo dei commerci e delle altre attività economiche che avrebbero poi dato vita al sistema industriale capitalistico.
Weber sostiene che un certo tipo di riferimenti culturali (le idee religiose del calvinismo) hanno direttamente influenzato la sfera materiale dell’economia (il capitalismo), contrapponendosi così alla lettura della società fatta da Karl Marx, il quale riteneva invece che fosse la struttura economica a dominare le logiche sociali, reputando le religioni e le ideologie nient’altro che sovrastrutture elaborate dalle classi superiori per tenere sotto controllo le masse di lavoratori salariati | ▶ UNITÀ 2, p. 71 |.

l’autORE  Max Weber

Max Weber (1864-1920) nasce a Erfurt, cittadina tedesca, e cresce in un ambiente familiare di intellettuali e politici. Studia giurisprudenza, storia ed economia e insegna nelle università di Friburgo e di Heidelberg. Nel 1897, alla morte del padre, rimane vittima di una grave forma depressiva che gli consente di riprendere l’attività scientifica soltanto nel 1903.
Durante la Prima guerra mondiale, segue con crescente preoccupazione il crollo politico e culturale della Germania e collabora alla riorganizzazione dello Stato tedesco dopo la fine dell'impero. Dopo la guerra, è tra i fondatori del neonato Partito democratico liberale tedesco, partecipa in prima persona alla redazione della Costituzione della Repubblica di Weimar (1918) e ai negoziati di pace durante la stesura del Trattato di Versailles (1919). Queste ultime esperienze sono fondamentali per la sua successiva riflessione sul tema del potere politico e della selezione degli uomini di governo.
Il suo studio più famoso è L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-1905), incentrato sulla nascita del capitalismo e sui rapporti tra processi economici e influenze culturali provenienti dalle credenze religiose. Lo studio sui rapporti tra religione protestante e capitalismo rappresenta solo una parte di una sua monumentale ricerca sul ruolo delle differenti tradizioni religiose (induismo, ebraismo, buddismo ecc.) nell’influenzare i diversi sistemi economici a livello mondiale.

 >> pagina 93 

2.2 RAZIONALIZZAZIONE E BUROCRAZIA

Come abbiamo visto, per Weber il processo di razionalizzazione della società indica la tendenza di lungo periodo, tipica in primo luogo del mondo occidentale, ad abbandonare i sistemi di credenze tradizionali per adottare il ragionamento razionale come logica principale nell’organizzazione della società. Il processo di razionalizzazione coincide dunque con un sempre maggior peso, nella società, delle istituzioni e delle forme di agire razionale, basate sulla valutazione oggettiva degli obiettivi da perseguire e sul metodo scientifico. Tuttavia, l’affermarsi della ragione non significa che tutti i comportamenti umani siano divenuti razionali. Anche nella società moderna continuano a essere presenti forme di azione che possono essere basate sulle emozioni o sull’accettazione acritica delle tradizioni e delle routine consolidate.
D’altro canto, sebbene Weber riconosca molti aspetti positivi nel processo di razionalizzazione, ne individua anche problemi e pericoli. Se la ragione, infatti, ha liberato gli individui dai comportamenti legati alla tradizione e alla superstizione, per un altro verso ha aperto al rischio di una ▶ disumanizzazione dei valori e delle libertà dell’essere umano: gli individui, sostiene Weber, rischiano di diventare “ingranaggi di una macchina” e possono ritrovarsi come rinchiusi in una “gabbia d’acciaio” rappresentata dalla struttura delle istituzioni burocratiche prodotte dalla logica razionale.
A tal proposito, egli associa il processo di razionalizzazione a un’altra trasformazione culturale, che definisce come disincanto del mondo: la tendenza, tipica della modernità razionale, non più di interpretare il mondo attraverso riferimenti mistici e spirituali, ma di descriverlo grazie al pensiero scientifico.
Una delle forme tipiche assunte dall’applicazione del pensiero logico e razionale al mondo moderno è la burocrazia. Con questo termine, in sociologia, si intende un particolare tipo di amministrazione dello Stato in cui grande potere è demandato a organizzazioni e uffici gestiti secondo particolari logiche e comportamenti standardizzati. Tale genere di gestione, se si mostra più efficiente e veloce, genera, però, anche meccanismi impersonali che possono ridurre gli esseri umani a semplici ingranaggi incapaci di riuscire a esprimere liberamente i loro valori e desideri.

 >> pagina 94 

approfondiamo  LA RAZIONALIZZAZIONE

Per “razionalizzazione” si intende l’affermarsi della razionalità nei più diversi ambiti della vita.
Il termine “razionalità” in questo contesto non significa semplicemente “ragione”, ma va inteso in una accezione doppiamente specifica. In primo luogo, esso non si riferisce alla razionalità scientifica o teorica, ma alla razionalità dell’agire. A sua volta l’agire razionale è definito non tanto da quelle caratteristiche più generali alle quali di solito si pensa quando si qualifica un’azione come “razionale” – sensatezza, comprensibilità, logicità, ecc. – bensì da elementi quali la regolarità, la ripetibilità, la controllabilità, la dominabilità dei corsi dell’azione, e soprattutto la conformità allo scopo sulla base di criteri soggettivi, in cui emerge in primo piano l’aspetto dell’efficienza calcolabile (conformemente all’etimologia latina: ratio = calcolo, computo, e in senso lato raziocinio). Così nell’accezione moderna “razionalità” significa primariamente “razionalità rispetto allo scopo”, che Max Weber definisce nel modo seguente:
«Agisce in maniera razionale rispetto allo scopo colui che orienta il suo agire in base allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze concomitanti, misurando razionalmente i mezzi in rapporto agli scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze, e infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco » [...]. È importante in questo contesto la contrapposizione tra razionalità rispetto allo scopo e razionalità rispetto al valore: «Agisce in maniera puramente razionale rispetto al valore colui che – senza riguardo per le conseguenze prevedibili – opera al servizio della propria convinzione relativa a ciò che ritiene essergli comandato dal dovere, dalla dignità, dalla bellezza, dal precetto religioso, dalla pietà e dall’importanza di una “causa” di qualsiasi specie» [...]. Il concetto moderno di razionalità non include la valutazione razionale di questi orientamenti verso valori e scopi superiori, che attengono alla sfera puramente soggettiva di una decisione in ultima istanza privata; in questa prospettiva l’agire razionale rispetto al valore va considerato sostanzialmente irrazionale. Il concetto di razionalità così inteso è circoscritto di conseguenza al rapporto ottimale tra determinati scopi, i mezzi a disposizione e le conseguenze prevedibili, dove anche gli scopi possono essere oggetto di una valutazione critica per quanto riguarda la raggiungibilità in rapporto ai mezzi a disposizione, il grado di desiderabilità in rapporto alle conseguenze negative, e infine la compatibilità con altri scopi.

Enciclopedia delle scienze sociali Treccani, 1997 – voce curata da Herbert Schnädelbach

>> pagina 95 

  INVITO ALLA VISIONE   
Charlie Chaplin, TEMPI MODERNI, 1936

Nel film Tempi moderni (1936) il regista e protagonista Charlie Chaplin interpreta Charlot, un operaio che lavora in una grande fabbrica come addetto alla catena di montaggio, dove la sua mansione è quella di stringere bulloni. I movimenti ripetuti e impersonali, i ritmi disumani a cui è sottoposto, che lo costringono a lavorare anche durante la pausa pranzo, alienano completamente l’uomo, che comincia a vedere bulloni, leve e ingranaggi ovunque, proprio come se vivesse all’interno di un macchinario.

2.3 I DIFFERENTI TIPI DI AZIONE SOCIALE

Al contrario di Durkheim, il quale concepisce la società come un’entità superiore all’individuo, Weber riconosce maggiore importanza alla società intesa come insieme delle singole azioni individuali e dei differenti tipi di agire, tanto da definire il proprio approccio allo studio della società come individualismo metodologico.
Egli si domanda: quali sono le differenti forme di agire che caratterizzano la vita sociale degli individui? Quali di esse sono rilevanti per la sociologia e quali di esse rispondono a un criterio di razionalità?
In primo luogo, Weber riconosce che un’azione diventa significativa per la sociologia quando è dotata di senso, ovvero quando mostra motivazioni socialiSe un’azione non rivela motivazioni di tale genere, resta un comportamento individuale e non rappresenta, dunque, un’azione sociale. Partendo da questa iniziale definizione, egli individua quattro differenti tipi di azione dotata di senso sociale:
  • l’azione orientata allo scopo o definita razionale rispetto allo scopo perché compiuta per massimizzare il raggiungimento di un obiettivo, organizzando in modo razionale gli strumenti utili per conseguirlo. Si tratta di un tipo di azione ricorrente in ambito economico, quando vogliamo acquistare un oggetto e ragioniamo razionalmente su quale possa essere il modello più utile o quale faccia risparmiare denaro a parità di qualità;
  • l’azione orientata ai valori o definita come razionale rispetto al valoreanche questo tipo di azione ha una base razionale, che implica un ragionamento sui mezzi e i fini da raggiungere. Tuttavia, questo secondo tipo di azione è il frutto di un ragionamento che si basa su alcuni particolari valori o principi astratti.
    ESEMPIO: recarsi a donare il sangue è un’azione che si compie non perché vi sia un guadagno individuale, ma perché questo gesto corrisponde a un principio superiore, che riguarda il valore che hanno nella nostra cultura la vita umana e la solidarietà;
  • l’azione affettiva, che non è dettata né da un calcolo strumentale né da principi superiori, ma è invece il risultato di reazioni emotive e di sentimentiLa rabbia o l’amore, per esempio, sono sentimenti che spesso spingono le persone a compiere azioni poco razionali, e che possono produrre conseguenze non volute;
  • l’azione tradizionale, che racchiude un insieme di forme di agire e di pensare basate sulla consuetudine e sulla routine. Quando, infatti, facciamo le stesse azioni per un lungo periodo di tempo, siamo spesso portati a pensare che sia l’unico modo per compierle, senza riflettere se possano esistere soluzioni alternative.

 >> pagina 96 

2.4 LE FORME DEL POTERE E LA LORO “LEGITTIMAZIONE”

Un altro importante tema della riflessione di Max Weber è quello che riguarda il potere e, dunque, i modi attraverso i quali alcuni individui o gruppi riescono a conquistare il comando della società.
Weber fa innanzitutto una distinzione tra potenza e potere:
  • la potenza è la capacità di far valere la propria volontà anche di fronte a una resistenza e, dunque, riguarda soprattutto il modo in cui qualcuno riesce a convincere attraverso la forza e la violenza qualcun altro: per esempio, con l’invio di eserciti o con la coercizione fisica degli individui;
  • il potere, invece, è un concetto molto più interessante dal punto di vista sociologico, poiché riguarda la capacità di imporre le proprie volontà grazie alla persuasione e all’autorità. Il potere, dunque, si fonda sul fatto che le decisioni di alcuni individui vengono considerate come legittime e giustificate anche in una condizione in cui non si esercita alcuna forza o minaccia. Se lo Stato, per esempio, ci chiede di compiere una certa azione (pagare le tasse o guidare secondo il codice della strada), noi generalmente ubbidiamo non solo perché sappiamo che lo Stato invierà la polizia per fare rispettare le leggi (potenza), ma anche perché riteniamo che l’apparato statale sia un’istituzione legittimata a creare le leggi e a farle rispettare. Proprio perché riteniamo il potere dello Stato come legittimo, siamo così portati a ubbidire alle leggi e alle norme sociali.
Weber non si limita solo a definire il potere, ma individua tre differenti tipi di potere legittimo che entrano in gioco nelle vicende della società:
  • il potere tradizionale, basato sul rispetto delle consuetudini che provengono dalla tradizione e dalla storia. Un re, per esempio, regna perché è tradizione e credenza che il ruolo di comando spetti ai figli primogeniti dei re e dei nobili;
  • il potere carismatico, che si fonda sulla capacità di alcuni individui di esercitare un particolare fascino e influenza sulle altre persone, tanto da poter essere in grado di sovvertire le consuetudini tradizionali o le leggi esistenti. Cesare, Napoleone o Gandhi sono esempi di uomini che sono stati in grado di guidare le rispettive società proprio grazie a una personalità carismatica e capace di rompere con la tradizione;
  • il potere razionale, che si fonda su leggi e procedure basate sulla ragione, relative al modo in cui i rappresentanti del potere vengono nominati. Si tratta del modello oggigiorno dominante, anche se non in modo esclusivo, nella società occidentale, dove espliciti regolamenti e leggi indicano le modalità attraverso cui scegliere capi e governanti: in genere tramite votazioni ed elezioni.

 >> pagina 98 

2.5 LE CLASSI SOCIALI E IL CETO

Un altro argomento di riflessione, per Weber, è quello relativo a comprendere in che modo la società si organizzi in differenti gruppi in base alle diverse caratteristiche degli individui.
Come per Marx, anche per Weber la classe sociale è basata su aspetti che riguardano la posizione individuale e, di conseguenza, le differenze rispetto al mercatoal denaro, al possesso di beni materiali, al lavoro svolto (tra un manager e un operaio, per esempio).
Oltre a quello di classe, Weber individua e definisce un altro gruppo sociale, legato, invece, alla cultura e alle relazioni tra gli individui: il ceto. Questo riconosce o conferisce prestigio sociale a un individuo in quanto appartenente a determinati strati della società (per esempio, ai ceti nobiliari del passato) o a raggruppamenti professionali, come nel caso dei notai, dei professori universitari o anche delle star del cinema.
Le classi sociali sono in genere più aperte rispetto ai ceti, soprattutto perché la possibilità di accesso a una classe superiore è basata sull’arricchimento materiale e la società capitalistica è caratterizzata proprio dalla possibilità di arricchirsi. L’appartenenza a un ceto più elevato, invece, essendo basata sul possesso di particolari caratteristiche sociali e culturali, è più difficile da conseguire, perché dipende da fattori meno facili da acquisire, come nel caso del prestigio che viene riconosciuto dagli altri membri della società.

2.6 LA COMPARAZIONE TRA “TIPI IDEALI”

Mentre si occupava dell’analisi dei processi sociali e politici, Weber ha anche contribuito a sviluppare alcuni concetti propri della disciplina sociologica. Per Weber le vicende storiche sono il risultato di una serie di cause e di fattori differenti che rendono tali avvenimenti unici rispetto a tutti gli altri. Tuttavia, egli riteneva che fosse possibile identificare alcune caratteristiche astratte all’interno di questi avvenimenti, in modo da poter accostare e comparare situazioni storiche differenti tra loro. Grazie alla “modellizzazione” dei fenomeni è così possibile interpretare scientificamente gli eventi che si osservano nella società. Weber definisce questi modelli astratti con il termine di tipi ideali o idealtipi.
In altre parole, un “tipo ideale” è una costruzione teorica fatta dal sociologo che rappresenta un utilissimo strumento atto a permettere paragoni e comparare fenomeni sociali o economici indipendentemente dal proprio contesto storico. Secondo Weber, infatti, al fine di comprendere un particolare fenomeno sociale non basta descrivere dettagliatamente le azioni compiute da chi vi partecipa, ma è invece necessario interpretare questi eventi in relazione alla loro somiglianza con altri modelli astratti di riferimento.
Le differenti forme di potere descritte da Weber costituiscono un esempio di idealtipi: modelli astratti di come funziona l’autorità nelle varie epoche storiche, che ci danno la possibilità, per esempio, di comparare il potere dei re medievali a quello delle democrazie di oggi.

 >> pagina 99 

2.7 L’AVALUTATIVITÀ DELLA SCIENZA

L’ultimo importante contributo metodologico di Weber riguarda la sua riflessione sul ruolo della scienza sociologica rispetto alla sfera politica. Per il sociologo tedesco, infatti, la sociologia deve sviluppare il proprio carattere di scientificità nella ricercaliberandosi dall’influenza delle ideologie politiche e dei giudizi di valore. Egli definisce dunque il principio di ▶ avalutatività della scienza: non spetta a quest’ultima stabilire quali valori e obiettivi una società debba fare propri. Essa deve, invece, fornire gli strumenti scientifici capaci di comprendere e valutare gli accadimenti politici e sociali.
Sul piano del metodo, Weber sa bene che anche gli scienziati hanno idee politiche e interessi personali, orientamenti che possono influenzarli nella scelta e nell’interpretazione degli argomenti di studio. Tuttavia, quando uno scienziato affronta un problema, deve essere capace di evitare il più possibile che i propri valori personali o le ideologie dominanti influenzino le conclusioni della ricerca.
Questo principio rappresenta un’importante presa di posizione di Weber rispetto alla relazione tra sociologia e politica. Il principio di avalutatività della scienza è, infatti, una critica al materialismo storico di Marx e Engels, che faceva seguire all’analisi oggettiva una interpretazione politica degli eventi | ▶ UNITÀ 2, p. 71 |. Ma è anche una critica nei confronti del positivismoche riteneva fosse compito delle scienze sociologiche accompagnare la società verso un miglioramento costante. Weber contribuisce in questo modo alla distinzione tra la sociologia, disciplina capace di produrre conoscenze oggettive, e l’impegno politico, al quale spetta invece il compito di individuare principi, valori e fini da raggiungere per una società.
per lo studio

1. Quale elemento caratteristico contraddistingue la visione della società di Weber in confronto all’approccio di Durkheim?
2. Quali sono i differenti tipi di azione sociale per Weber?
3. Cos’è un idealtipo?


  Per discutere INSIEME 

Secondo Weber il potere politico può essere di differenti tipi: tradizionale, carismatico o razionale. Pensando a tutto quello che avete studiato in storia, vi viene in mente un personaggio in particolare che descrivereste come dotato di un potere “carismatico”? E invece una figura storica caratterizzata da un potere di tipo “tradizionale”? E una con un potere di tipo “razionale”? Confrontatevi e provate a motivare le vostre scelte.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane