1. Durkheim e l’ordine sociale

1. Durkheim e l’ordine sociale

1.1 LA SOCIOLOGIA E LE TRASFORMAZIONI SOCIALI

Émile Durkheim | ▶ L’AUTORE | è, insieme a Max Weber, il più importante sociologo dell’epoca classica, sia per la varietà di temi trattati, sia per il ruolo che ebbe nell’affermazione della sociologia come disciplina scientifica e autonoma.
Gran parte del suo lavoro è dedicato a comprendere in che modo la società del suo tempo avrebbe potuto mantenere la propria coesione durante un periodo – quello tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento – di profonde trasformazioni della vita quotidiana. In quest’epoca, infatti, comincia a prendere forma, soprattutto nelle grandi città europee, un nuovo modello di vita moderna, più simile a quello che conosciamo oggi. Giungono a compimento le trasformazioni iniziate un secolo prima con la Rivoluzione industriale | ▶ UNITÀ 2, p. 49 |: nel mondo del lavoro, con la diffusione del lavoro degli operai in fabbrica; nella vita personale e familiare, con lo sviluppo delle grandi metropoli moderne, che accolgono molti contadini che si spostano dalle campagne per andare a vivere in città.
Davanti a queste trasformazioni, Durkheim si chiede in che modo esse avrebbero potuto compromettere la ▶ coesione tra i membri della società e, inoltre, quali strumenti scientifici la nascente disciplina della sociologia avrebbe dovuto sviluppare per studiare tali cambiamenti.
Per Durkheim, la sociologia avrebbe dovuto fornire alla politica e alla collettività gli strumenti per mantenere la società come un organismo in equilibrio e coeso di fronte alle turbinose trasformazioni introdotte dagli sviluppi del capitalismo urbano moderno. Per questo, un altro dei suoi principali obiettivi è quello di consolidare la disciplina della sociologia come una scienza rigorosa, differenziandola dalla filosofia e dalla psicologia. Proprio per la sua convinta difesa della sociologia come disciplina autonoma, egli poté divenire uno dei primi studiosi a ottenere il titolo di “Professore di sociologia” all’università.
Una delle più importanti questioni che interessavano Durkheim era la seguente: che cosa tiene insieme la società come entità collettiva in un periodo in cui la vita sta diventando sempre più complessa?
Uno dei modi principali attraverso i quali egli affronta questo problema è quello di individuare come nasce e come si mantiene il senso di solidarietà tra gli appartenenti a una società, elemento essenziale affinché una collettività possa rimanere coesa e stabile nel cambiamento.

l’autORE  Émile Durkheim

Émile Durkheim (1858-1917) nasce in una cittadina della regione francese della Lorena da una famiglia di rabbini francesi. Ha inizialmente una formazione religiosa, ma successivamente intraprende una carriera accademica di successo, diventando il primo professore a ricoprire la cattedra universitaria di sociologia presso la prestigiosa università della Sorbona di Parigi, dove insegna per circa vent’anni. Oltre al suo ruolo accademico di primo piano, Durkheim riveste un ruolo importante nella vita politica francese, diventando anche consulente del ministro dell’istruzione.
Il suo primo grande lavoro sociologico è La divisione del lavoro sociale (1893), in cui affronta la questione del ruolo delle forme di solidarietà nella società. Nel 1895 scrive Le regole del metodo sociologico, il libro in cui definisce la funzione della sociologia. Nel 1897 pubblica una ricerca fondamentale, Il suicidio, in cui viene reso evidente il ruolo degli aspetti sociali alla base dei tassi di suicidio, aprendo così la strada alla rilevazione empirica come metodo caratteristico della disciplina sociologica. Il suo ultimo libro è Le forme elementari della vita religiosa (1912), in cui approfondisce un tema centrale in tutta la sua riflessione, ovvero il ruolo della cultura per la coesione sociale.

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1.2 LA SOCIETÀ E LE FORME DI SOLIDARIETÀ

Secondo Durkheim, tutti i tipi di società – dalle tribù primitive fino alla Parigi di inizio Novecento – sono basate sull’esistenza di forme di solidarietà tra i propri membri, che consentono alle persone di rispettarsi reciprocamente, di avere fiducia l’una nell’altra e di sentirsi parte di una comunità.
Egli individua due forme di solidarietà: la solidarietà meccanica e la solidarietà organica | ▶ APPROFONDIAMO, p. 84 |.
  • La solidarietà meccanica è caratteristica di società piccole e omogenee al proprio interno, nelle quali gli individui condividono molte esperienze e hanno un forte senso di appartenenza al gruppo. È il caso, per esempio, delle tribù primitive oppure dei piccoli paesi e dei villaggi di contadini dove ogni membro del gruppo partecipa in modo totalizzante alle attività della propria collettività come andare a caccia, coltivare i campi o preparare il cibo. Questo tipo di solidarietà si fonda, dunque, sul fatto che, quasi meccanicamente, gli individui hanno molte esperienze in comune e per questo si sentono legati tra loro.
  • La solidarietà organica è caratteristica della società moderna, ossia di una società complessa in cui gli individui diventano sempre più diversi e distanti tra loro. Con la solidarietà organica non sono più l’uguaglianza e la condivisione tra gli individui a essere determinanti, ma lo sono invece le difformità che si vengono a creare attraverso la differenziazione sociale.
    L’aumento delle differenze tra gli individui comporta che nessuno è più autosufficiente e che, per vivere bene, tutti iniziano ad avere bisogno degli altri. Diventano fondamentali, così, i vincoli prodotti dal proprio ruolo lavorativo, gli obblighi contrattuali e la necessità di affidarsi ad altre persone per compiti che diventano molto specializzati.
    ESEMPIO: in una grande città, per ricevere sostegno dobbiamo spesso chiedere assistenza allo Stato e a uno dei suoi enti (i pompieri, la polizia, un ospedale e così via) piuttosto che ai nostri familiari, come avviene invece in una piccola comunità che si basa sulla solidarietà meccanica.

approfondiamo  I CONCETTI DI “COMUNITÀ” E “SOCIETÀ” IN FERDINAND TÖNNIES

Una distinzione simile a quella fatta da Durkheim circa le due forme di solidarietà è quella di un altro sociologo tedesco a lui contemporaneo: Ferdinand Tönnies (1855-1936). Egli individua due tipi di gruppi: la comunità e la società. Con il primo termine Tönnies si riferisce a relazioni sociali basate su sentimenti di solidarietà e su obbligazioni reciproche, tipiche nelle società arcaiche e premoderne, come nel caso della parentela o dell’amicizia. Con il termine di “società” egli si riferisce invece a una condizione più tipica delle società moderne, in cui gli individui si associano in base alla comunanza degli obiettivi individuali e a una logica strumentale. Gli esempi sono in questo caso gli Stati e altre forme di collettivi o organizzazioni istituzionali come i sindacati o i partiti.
Le «relazioni tra volontà umane» – afferma Tönnies – danno luogo ad “associazioni” che possono essere concepite «o come vita reale e organica – e questa è l’essenza della comunità –  come formazione ideale e meccanica – e questo è il concetto della società». La comunità deve quindi essere intesa «come un organismo vivente, e la società, invece, come un aggregato e prodotto meccanico». In base a questa distinzione, la comunità ha le sue radici nei rapporti di discendenza e si ritrova in associazioni più vicine a tali rapporti. La comunità di sangue, che si esprime in modo essenziale nei rapporti madre-bambino, uomo-donna come coniugi, e tra fratelli, è la forma primaria di comunità, che trova la sua «unità e perfezione» nel rapporto padre-figli; ma si danno pure comunità di luogo e comunità di spirito. Ne risultano tre forme originarie di comunità: la parentela, il vicinato, l’amicizia, «la forma propriamente umana e più elevata di comunità». Il tratto caratteristico della comunità, in tutte le sue forme, è «un modo di sentire comune e reciproco, associativo, che costituisce la volontà propria di una comunità».

Dizionario di filosofia Treccani, 2009

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1.3 LA DIVISIONE DEL LAVORO E LA DIFFERENZIAZIONE SOCIALE

Alla base delle due differenti forme di solidarietà vi è una trasformazione centrale nello sviluppo dell’epoca moderna. Si tratta del processo che Durkheim definisce divisione del lavoro sociale.
Secondo il sociologo francese, il passaggio dalle società arcaiche e semplici a quelle moderne e complesse – come era diventata senza dubbio la Francia di fine Ottocento – è caratterizzato dall’affermarsi di un nuovo modello di divisione dei compiti nella società. Al contrario delle società tradizionali, dove tutti i membri della comunità svolgono pochi medesimi lavori, le società moderne iniziano a presentare un alto livello di specializzazione delle attività svolte dagli individui: dall’operaio al medico, dal cantante all’autista di tram e così via.
La differenza che si viene a creare nei tipi di lavoro e nella specializzazione delle attività è la dimensione più visibile alla base di un processo di crescente differenziazione sociale: anche perché svolgono lavori differenti in luoghi diversi, gli individui della società moderna si distinguono sempre di più anche in altri aspetti della loro esistenza, pervenendo a visioni diverse del mondo.
Il tema della differenziazione sociale è strettamente legato all’idea di ▶ individualizzazionecon l’aumentare delle differenze tra gli individui, aumenta anche, in ognuno, il riconoscimento di se stesso come un’entità autonoma e diversa dagli altri. Di conseguenza si sviluppa anche la sua indipendenza da legami di tipo tradizionale, familiari e di gruppo.
Ragionando attorno a questi temi, Durkheim è, dunque, uno dei primi studiosi a riconoscere che, già alla fine dell’Ottocento, le trasformazioni sociali hanno prodotto una serie di cambiamenti che si sarebbero rivelati fondamentali nei successivi decenni: la preminenza della dimensione individuale su quella collettiva, infatti, si proporrà come uno degli aspetti maggiormente caratteristici della società occidentale.

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1.4 LE RAGIONI SOCIALI DEL SUICIDIO E L’ANOMIA

Il tema del rapporto tra esperienza individuale e dimensione collettiva ritorna costantemente nel lavoro di Durkheim. Non a caso una delle sue ricerche più importanti è quella che riguarda le motivazioni e le ragioni che spingono le persone a suicidarsi: un gesto considerato spesso come puramente individuale, ma che, a ben guardare, rivela precise cause proprio nei meccanismi della vita collettiva.
Nell’opera Il suicidio (1897), il sociologo francese spiega – attraverso l’uso di dati statistici riferiti alle condizioni sociali della popolazione – come questo atto sia strettamente dipendente dalla perdita, da parte degli individui, di una sintonia con la collettività di appartenenza, ossia con il contesto di relazioni sociali e di influenze culturali in cui le persone sono immerse.
In particolare, Durkheim distingue e argomenta tre condizioni di squilibrio in grado di spingere al suicidio:
  • l’assenza di relazioni di amicizia o di frequentazione con altre personeda cui origina il suicidio egoistico. Egli mostrò che il tasso di suicidi è maggiore in campagna e nei piccoli paesi piuttosto che in città, perché la vita in campagna è meno ricca di relazioni con altre persone rispetto alla densità di scambi della popolazione urbana. Inoltre, i suicidi erano più diffusi tra le donne separate che tra quelle sposate, proprio perché questa condizione influiva sulla mancanza di legami stretti. Infine, suicidarsi era più diffuso tra gli aderenti alla religione protestante che tra i cattolici, poiché la visione della vita condivisa tra i protestanti era maggiormente incline a riconoscere l’essere umano come solo e isolato davanti al cospetto di Dio;
  • l’eccesso di integrazione e di immedesimazione nel proprio gruppo socialeche dà luogo al suicidio altruistico. L’esempio in questo caso è il suicidio per motivi d’onore, che avviene nel caso in cui un individuo, avendo tradito i valori culturali del proprio gruppo, trova nel suicidio l’unica via per riacquistare rispetto all’interno della società: è il caso del suicidio rituale dei samurai;
  • l’ anomia, ossia l’“assenza di norme”, che si verifica quando la società, in alcuni momenti di particolare mutamento storico, fornisce agli individui pochi punti di riferimento culturale o morale per agire oppure si pone addirittura in conflitto con le loro aspettative e i loro ideali. Per Durkheim la condizione di anomia è, senza dubbio, una delle principali cause che favoriscono le possibilità di suicidio. L’anomia non è solo, come suggerisce il termine, “assenza di norme”, ma è, in modo ben più profondo, la mancanza di una sintonia tra le aspettative e i bisogni di un individuo e i vincoli e i ruoli imposti dalla società.

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1.5 LA RELIGIONE COME ESPERIENZA SOCIALE

Un altro tema centrale nella riflessione di Durkheim è quello del ruolo della religione nella società: un argomento al quale egli dedica il suo ultimo e più importante libro, Le forme elementari della vita religiosa (1912).
Durkheim, al pari di Comte | ▶ UNITÀ 2, p. 57 |, ritiene che la sociologia debba sostituire le credenze religiose come punto di riferimento per tenere coesa la collettività. Fin dall’antichità le religioni e le credenze mistiche hanno offerto un orientamento morale agli individui e hanno reso possibile l’emergere di un sentimento di solidarietà tra loro. Attraverso tali considerazioni, Durkheim giunge alla conclusione che la società sia un fenomeno di tipo religioso. Egli, tuttavia, non intende dire che la società è legata all’esistenza di un dio o di una divinità, ma che la società ha bisogno di credenze e rituali condivisi da tutti per rendere visibile alle persone l’esistenza di un’entità collettiva superiore al singolo.
Per Durkheim, come nelle comunità religiose o tribali, anche in quelle laiche sono possibili rituali mistici o totemici che sono alla base della creazione di momenti di effervescenza collettiva e di rigenerazione, durante i quali l’individuo ha l’opportunità di sperimentare una condizione di fusione e sintonia con gli altri membri della società.
ESEMPIO: la passione collettiva che coinvolge i tifosi sportivi in uno stadio di calcio, come nei rituali delle tribù primitive, contribuisce a rinsaldare un’appartenenza collettiva.
In altre parole, anche se spesso non ce ne accorgiamo, tutti noi partecipiamo di un’entità collettiva, che chiamiamo appunto “società”. Ce ne rendiamo conto solo in particolari momenti in cui condividiamo una forte esperienza insieme a tante altre persone, come nel caso di manifestazioni politiche, partite di calcio allo stadio, grandi concerti o altre situazioni di partecipazione di massa. Queste situazioni costituiscono momenti in cui la società si rende visibile all’individuo rinforzando la percezione di una dimensione collettiva tra simili.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane