Torquato Tasso

I GRANDI TEMI

1 Il difficile rapporto con la corte

A distanza di poco più di due decenni, Ariosto e Tasso vivono nella stessa corte, quella ferrarese degli Estensi. Ma mentre il primo fronteggia la realtà senza mai lasciarsene sopraffare, osservando con equilibrio e coscienza critica le miserie dell’esistenza, il secondo tende a idealizzare un ambiente che invece si rivela un luogo di invidie e maldicenze, insidiato dal conformismo e dalla presenza occhiuta del tribunale dell’Inquisizione.

La corte quale regno di bellezza e di splendore dell’arte esiste ormai solo nella fantasia di Tasso, che vi proietta tutta la propria sognante immaginazione. Ma la realtà si manifesta invece ai suoi occhi molto diversa, e diversi i suoi protagonisti: tutt’altro che anime gentili impegnate in nobili imprese; piuttosto, piccoli uomini alle prese con litigi e bassezze quotidiane.

A questa degenerazione il poeta non reagisce con disincanto, serenità o ironia, ma con crescente instabilità, con un tormento inappagato, con un senso di disagio che lo porta a considerare sé stesso come uno sradicato, un disadattato. Serenità, ironia e dominio delle passioni sono sentimenti che Tasso non è in grado di vivere: la coscienza dello scarto tra sé e il modello del cortigiano (incarnato, tra l’altro, dalla figura del padre Bernardo) accentua la frustrante percezione di essere a corte un ospite indesiderato, vittima di un mondo che non può comprendere la sua arte e il suo genio.


DAI TEMI AI TESTI: T1, p. 763; T3, p. 768

 pagina 760 

2 Tra sensualità e spiritualità

Non capiremmo la figura di Torquato Tasso se non la collocassimo al centro dell’epoca manierista, che assiste alla crisi (ma non ancora alla fine) dei valori rinascimentali, ai quali si oppongono i nuovi valori dell’età controriformistica. La sua parabola poetica e umana suggerisce proprio l’immagine di questa transizione.

L’ambivalenza è infatti la caratteristica principale della sua immaginazione poetica, come si vede dal trattamento del sentimento amoroso, di cui il poeta coglie la bellezza e la sensualità ma anche la precarietà e l’incompiutezza.

Intorno al dissidio tra amore e dolore, sogno e realtà ruota tutta la produzione di Tasso. Da un lato troviamo i motivi rinascimentali, che non hanno perso attrattiva (l’amore, l’edonismo, la libertà); dall’altro, però, tali motivi, che Ariosto vagheggiava ancora con tranquillità d’animo, appaiono ora effimeri e minacciati da forze oscure, misteriose e irrazionali. Si tratta, per usare la definizione del critico Lanfranco Caretti, di una sorta di «bifrontismo»: Tasso è sempre in bilico tra l’aspirazione alla serenità del classicismo umanistico-rinascimentale e un’inclinazione alla trasgressione che pare anticipare il Barocco.

Tale ambiguità caratterizza tutta la sua personalità. Sul piano ideologico, il desiderio di naturalezza, la spinta all’evasione verso uno spazio incontaminato, il fascino esercitato su di lui dal sentimento amoroso e dalla sensualità passionale cozzano con le convenzioni imposte dall’etica e dalla religione, con il controllo esercitato dalle corti, sempre più ripiegate su sé stesse in un angusto culto dell’etichetta formale, e infine con una sorta di autocensura, che gli intima di adeguarsi ai sistemi ideologici e ai valori controriformistici. La celebrazione dell’ideologia cristiana, che vediamo nella Gerusalemme liberata, nasce proprio da questa esigenza di ortodossia autoimposta: un’esigenza che non impedisce tuttavia il continuo affiorare delle languide e seducenti tentazioni dell’amore.


DAI TEMI AI TESTI: T5, p. 787; T6, p. 794, myDbook.it, Qual rugiada o qual pianto

 pagina 761 

3 Amore e letteratura

Buona parte della produzione di Tasso ruota intorno all’amore, benché esso non sia mai vissuto dal poeta come una passione appagante. Anche quando Tasso evade verso l’idillio pastorale, come nell’Aminta, il rimpianto prevale sempre sul sereno godimento del piacere senza condizionamenti: un mondo di libertà, dominato dall’amore, esiste, ma solo nel tempo indefinibile di una bella favola. Anche dove, a prima vista, l’autore celebra la forza dell’amore e dell’istinto, si coglie sempre il lamento per il fatto che quella forza è ormai perduta: può essere vagheggiata ma non realizzata, perché oppressa dalle leggi, dalla falsa moralità, dall’ipocrisia della vita cortigiana.

Nella sua opera il poeta esprime proprio la malinconia e l’insofferenza derivanti da tale condizione. La letteratura si configura per lui come il luogo delle proprie tensioni e contraddizioni irrisolte: è grazie alla letteratura che egli tenta di surrogare la realtà, concependo la poesia come un’alternativa al mondo reale e come luogo del supremo riconoscimento di sé. Per questo si può dire che con Tasso venga meno l’idea dell’arte come regno appartato, paradiso sublime, non toccato dalle iniquità del mondo, tipica della letteratura umanistica. Egli afferma una nuova visione della letteratura, nella quale il poeta ha il dovere e insieme la missione di recuperare senso e dignità al proprio ruolo, documentando la molteplicità e le contraddizioni di una realtà storica frammentaria e dilaniata, impossibile da sanare.


DAI TEMI AI TESTI: T3, p. 768; T6, p. 794

Letteratura attiva - volume 1
Letteratura attiva - volume 1
Dalle origini al Cinquecento