Il secondo libro del Secretum mette a nudo i tormenti e le inquietudini in cui si dibatte l’animo del poeta. Agostino infatti pone davanti agli occhi di Francesco i mali che lo assediano per indurlo a pentirsi e a modificare il suo atteggiamento nei confronti di sé stesso e della vita. In questo brano, in particolare, si sofferma sulla causa dell’inerzia spirituale dell’interlocutore, il tremendo peccato capitale che prende il nome di “accidia”.
T1 - Il male di vivere chiamato “accidia”
T1
Il male di vivere chiamato “accidia”
Secretum, II
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
Nel primo libro del Secretum, a Francesco che lamentava l’infelicità e la disperazione che gli avvelenano l’esistenza, Agostino aveva risposto mostrando la radice di tanta sofferenza, ovvero quel difetto della volontà che impedisce anche ad animi non meschini di scegliere il vero bene e dirigersi verso di esso con fermezza. Ora, nel secondo libro, la posizione di Agostino si fa più netta: con un vero e proprio atto d’accusa, sottopone l’interlocutore a un esame impietoso, mostrandogli uno per uno tutti i peccati di cui egli si è macchiato; tra questi, ultimo in ordine di analisi ma non certo di importanza e gravità, compare l’accidia (tristitia in latino), una vera e propria malattia dello spirito, uno stato di depressione acuta che induce all’ozio e alla negligenza, comportando rifiuto e odio del creato.
Costretto dalle domande pressanti di Agostino, Francesco descrive il proprio stato d’animo: è perennemente insoddisfatto, vittima di una tristezza da cui non riesce (o perfino non vuole) liberarsi, si sente inerte, paralizzato, incapace di uscire da una condizione di mortale pessimismo. E – ciò che è più paradossale – affiora in lui perfino un insano piacere per la sofferenza e il pianto: anche se la vittima è consapevole che nell’accidia tutto è aspro, doloroso e orrendo (r. 7), tuttavia non sa sottrarsi a una sorta di masochistica voluttà del dolore. Proprio questo irrazionale compiacimento accentua la sua debolezza, impedendogli di riemergere dall’apatia e di riavvicinarsi a Dio e ai valori dello spirito. Nessuna ribellione sembra possibile: circondato da una realtà minacciosa che pare opprimerlo da ogni parte, Francesco riconosce di avere ormai disprezzo dello stato umano (r. 51), di tutte le cose, sia che riguardino la triste sfera della sua esistenza, sia che appartengano agli altri.
Le scelte stilistiche
Il ritmo con il quale Agostino incalza l’interlocutore non gli concede respiro: l’incisiva brevità delle battute e la frequenza delle domande lo inchiodano, mostrando l’assalto vittorioso che l’accidia sferra fin dentro la debole cittadella della sua ragione. D’altra parte, Francesco non tenta nemmeno di difendersi: come un reo confesso, ammette la propria debolezza e le proprie contraddizioni, ricorrendo a una serie di metafore* belliche che rivelano il conflitto irrisolto che sente nell’animo. La logica argomentativa di Agostino è inoppugnabile ma si rivela, in fondo, impotente dinanzi all’atteggiamento di Francesco, disponibile a confessare il proprio peccato ma privo di forze per liberarsene. Il riscatto è impossibile: nel dialogo con sé stesso, Petrarca non può guarire dai propri mali, ma solo – e tuttavia non è poco – accrescere la propria coscienza autocritica.
VERSO LE COMPETENZE
COMPRENDERE E ANALIZZARE
INTERPRETARE
SCRIVERE PER...
Parlare e scrivere bene
Ammesso e non concesso: la SUBORDINATA CONCESSIVA
Capita a volte di fare riferimento a circostanze che però non determinano l’effetto che ci aspetteremmo. Agostino afferma che il suo interlocutore, Francesco, ha esposto le sue difficoltà (tu abbia trascorso, r. 39) in modo poco chiaro; tuttavia ciò non gli ha impedito di comprendere le radici dei suoi travagli. In questo caso, l’autore si è servito di una proposizione (subordinata) detta concessiva, proprio perché “concede”, ammette qualcosa che è in contraddizione rispetto a quanto detto nella reggente.
Ecco un esempio in cui, per introdurre la subordinata, utilizziamo la stessa congiunzione benché che troviamo nel testo:
Benché abbia studiato molto, non ha superato l’esame.
Si tratta di una concessiva esplicita con il verbo (abbia studiato) al congiuntivo.
PROVA TU Si può introdurre questa subordinata anche con altre congiunzioni o locuzioni: sebbene, nonostante, anche se, malgrado, con tutto che. Riscrivi la frase-esempio usando queste altre modalità. Fai attenzione, però: in due casi, il verbo deve essere all’indicativo.
Altre volte, quando il verbo della subordinata è lo stesso della reggente, la concessiva può essere implicita: in tal caso sarà introdotta dalle congiunzioni pur o anche seguite dal gerundio, oppure da pur, benché, sebbene, quantunque seguite dal participio passato.
PROVA TU Coniuga il verbo che ti sembra più coerente rispetto al contesto nel modo e nella forma giusti, così come viene indicato nella parentesi.
- Sebbene ....................................... (participio passato), la mia squadra ha giocato benissimo.
- Pur .......................................... (gerundio) la musica rock, apprezzo l’opera classica.
Letteratura attiva - volume 1
Dalle origini al Cinquecento