Letteratura attiva - volume 2

PASSO PASSO La disumanità non è utile Beccaria affronta il tema della pena di morte nel paragrafo 28 del trattato, dopo avere discusso, in quello precedente, della «Dolcezza delle pene . Su quest ultimo punto l autore osserva come l atrocità dei supplizi sia contraria ai princìpi di umanità, leda il principio di proporzionalità tra delitto commesso e punizione inflitta, e risulti per di più inefficace, in quanto ciò che conta affinché una pena ottenga il suo effetto (vale a dire la deterrenza) non è la crudeltà dei castighi, ma la loro infallibilità (cioè la certezza della pena). proprio a partire dalla constatazione dell inutilità di questa prodigalità di supplicii (r. 2) che l autore giunge a discutere se la pena di morte sia veramente utile e giusta. 1. Che cosa intende Beccaria con l espressione prodigalità di supplicii (r. 2)? La pena di morte è illegittima Il primo argomento afferma che la pena di morte è giuridicamente illegittima in quanto non prevista dal patto con cui si è costituita la società e dal quale discendono le leggi e la sovranità stessa. Il diritto di punire si basa sì su una delega contenuta in tale patto, ma con questa delega il singolo non ha affatto concesso ad altri l arbitrio di ucciderlo (r. 8). Le leggi che attuano il diritto di punire, infatti, sono costituite dalla somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno (rr. 6-7), e in questo minimo sacrificio della libertà (r. 9) non è compreso quello massimo tra tutti i beni (r. 10), la vita. 2. In che cosa consiste l attualità della riflessione di Beccaria sulla pena di morte? e inutile Il secondo argomento, di tipo utilitaristico, rappresenta la parte maggiormente articolata del discorso di Beccaria, con cui l autore intende dimostrare che la pena di morte risulta meno efficace sempre nell ottica della deterrenza, vero scopo delle pene della 196 / IL SETTECENTO detenzione perpetua (ossia dell ergastolo). Il ragionamento prende le mosse dall individuazione di due situazioni ipotetiche nelle quali la morte di un cittadino può credersi (r. 17) utile o necessaria, e cioè quando nei periodi di guerra civile e di anarchia un soggetto, pur privato della libertà, abbia relazioni e potenza tali da rappresentare una minaccia per la sicurezza della nazione e per la forma di governo stabilita (rr. 18-20); oppure quando, anche in una situazione di normalità (durante il tranquillo regno delle leggi, r. 23), tale pena costituisca l unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti (r. 28). La formulazione di queste due ipotesi ha indotto alcuni studiosi a ritenere la posizione di Beccaria contraddittoria e non pienamente abolizionista. In realtà, il ripetuto e sapiente ricorso all espressione può credersi indica come Beccaria non preveda, nell ambito dello Stato di diritto, alcun caso in cui la pena di morte possa essere giusta, utile e necessaria. Del resto, la prima delle due ipotesi configura una situazione di assenza o di sospensione delle leggi (quando i disordini stessi tengon luogo di leggi, r. 22), e non può dunque essere utilizzata per dimostrare la necessità della pena di morte in una società civile; quanto alla fondatezza della seconda ipotesi, essa è smentita sia dall esperienza storica sia dall esame della natura umana. Il ragionamento si chiude, così, con una riflessione sull ergastolo. Infatti, il massimo effetto dissuasivo non discende dallo spettacolo terribile ma passeggiero (r. 44) della morte di un criminale, che impressiona gli animi per breve tempo, ma dall esempio di un soggetto privato della propria libertà per lungo tempo (rr. 44-46). La schiavitù perpetua (rr. 68-69), cioè appunto la reclusione a vita, deve dunque sostituire la pena di morte, la cui presunta esemplarità ha addirittura effetti contraddittori, arrivando a suscitare la solidarietà dei cittadini nei confronti del condannato (rr. 57-58). 3. In quali circostanze, secondo Beccaria, si potrebbe essere portati a ritenere ammissibile la pena capitale?

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Dal Seicento al primo Ottocento