La luce del futuro - volume B

Albatri, acrobati e rockstar SPECCHI di CARTA Che cosa chiediamo a un poeta? Innanzitutto di essere sincero, risponderebbero in molti. Di esprimere nel modo più intenso e immediato possibile i moti del suo cuore. Ma nel fare questo una componente di finzione è inevitabile, sostiene Pessoa (teniamo presente che il termine finzione deriva dal verbo latino fingere, che significa creare , plasmare , immaginare ). Ognuno crea con i materiali a sua disposizione: e come si può pensare che uno, cento o mille versi esauriscano l infinita complessità dell animo umano? Leggendo i Canti di Leopardi o ascoltando un album di Vasco Rossi ci facciamo un idea della loro personalità. Certo saremmo piuttosto sorpresi se qualcuno scoprisse che il poeta di Recanati in realtà è stato uno spensierato mattacchione e il cantautore emiliano un oscuro ragioniere tutto casa e chiesa. Non è così, naturalmente. Ma se mai potessimo conoscerli, presto ci renderemmo conto che solo in parte corrispondono allo stereotipo che ci siamo costruiti leggendo i versi dell uno o ascoltando le canzoni dell altro. Il poeta è un fingitore, per necessità: non un bugiardo. GUIDA ALLA LETTURA Uno, cento, mille Pessoa Nel corso della sua vita Pessoa inventò innumerevoli eteronimi, personaggi d invenzione ai quali attribuiva i suoi versi, dotandoli di una precisa biografia (con tanto di data di nascita e di morte), un aspetto esteriore, idee politiche e uno stile personale. Ecco dunque lvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro, Bernardo Soares, Ant nio Mora e tanti altri (centotrentasei, secondo i conteggi più accreditati). Tutte maschere, che colgono un aspetto della poliedrica ed enigmatica sensibilità di Pessoa. Ciò vale anche per Autopsicografia, firmata con il suo vero cognome, Pessoa, che del resto in portoghese significa genericamente persona , e sembra perciò suggerire l inesauribile capacità di riplasmarsi del suo possessore. Qualunque cosa scriva, il poeta deve fare appello all immaginazione. Ma non si tratta di un inganno: tale è il suo trasporto nel processo creativo, che arriva a coinvolgere nella finzione il dolore che davvero sente (v. 4). Un gioco di specchi deformanti Con una sintassi semplice, senza usare termini ricercati, Pessoa descrive il complesso gioco di specchi innescato dalla poesia. La seconda quartina introduce la figura del lettore. Anch egli è un fingitore. A ben vedere, infatti, non viene a contatto con nessuno dei dolori provati dal poeta (v. 7), quello vero e quello finto, e neppure con il dolore che patisce nella propria vita reale. L emozione che prova non ha radici nella realtà, ma non per questo è meno intensa. Il lettore prende a prestito stati d animo attribuiti a qualcun altro, qualcuno magari neppure esistito, e lascia che questi stati d animo lo investano con la forza di una tempesta. Può capitare così di piangere leggendo versi scritti in un altro tempo, in un altra lingua, da uno sconosciuto che sentiamo più vicino a noi dei nostri amici più stretti. Un trenino chiamato cuore Pessoa chiude il componimento sulla parola cuore, ma lo fa senza attribuirgli enfasi. Con affettuosa ironia lo paragona infatti al giocattolo di un bambino: un trenino a molla (v. 11) che gira in tondo all infinito sui binari, illudendo la ragione (v. 10). Sedotti dalle immagini della poesia, scordiamo le nostre sofferenze, o le riconosciamo in quelle degli altri, alleviando così la solitudine della condizione umana. Come ha scritto un altro scrittore portoghese, il premio Nobel José Saramago, «Fernando Pessoa non riuscì mai a essere davvero sicuro di chi fosse, ma grazie al suo dubbio possiamo riuscire a sapere un po di più chi siamo noi . 97

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Poesia e teatro