LA PITTURA DEL PRIMO SEICENTO

ARTEMISIA GENTILESCHI

(1593-1653)

pittrice e donna di coraggio

Artemisia si ispira a Caravaggio nell’uso della luce e nel realismo, riuscendo a ottenere grandi successi in un mondo prevalentemente maschile.

Eroina nella vita e nell’arte

Figlia di Orazio Gentileschi, pittore pisano trasferitosi a Roma, Artemisia è considerata una dei più noti caravaggeschi, pittori che si rifanno allo stile e ai temi di Caravaggio. Talento precoce, si forma nella bottega paterna, dove conosce l’artista Agostino Tassi che le usa violenza. Forte e coraggiosa, la giovane decide di denunciarlo e inizia così un lungo processo in cui è costretta a raccontare quanto successo e a giurarlo addirittura sotto tortura. Il Tassi, giudicato colpevole, viene condannato all’esilio per cinque anni, ma in realtà non sconta interamente la pena, rientrando in città poco dopo.

Nel 1621, Artemisia lascia Roma e, dopo un breve soggiorno a Firenze, approda a Napoli, dove apre bottega, divenendo molto richiesta da signori e potenti. La brutale vicenda vissuta, tuttavia, rimane scolpita perennemente nel suo animo e nelle sue opere.

Artemisia al lavoro

L’atteggiamento determinato e orgoglioso di Artemisia Gentileschi emerge pienamente nell’ ▶ Autoritratto come allegoria della Pittura, dove sceglie di presentarsi come pittrice e in una posa anticonvenzionale, dando di fatto le spalle all’osservatore e concentrandosi solo sul suo lavoro. Lo sfondo neutro e la luce che colpisce il corpo della pittrice derivano dall’esempio di Caravaggio, mentre del tutto nuova è l’attenzione che l’artista pone sulle stoffe dell’abito e sul dettaglio della collana.

 pagina 319

Una pittura dai toni tragici

La pittura di Artemisia Gentileschi si caratterizza per la scelta di temi drammatici. A livello stilistico predilige colori ricchi per rappresentare in modo dettagliato le stoffe e la morbidezza dei corpi delle figure, resa ancor più evidente dal gioco di ombre e di luci direttamente ispirato a Caravaggio.

I soggetti scelti dalla pittrice, dipinti con grande teatralità, fanno spesso riferimento a scene di aggressione, forse proprio a causa del ricordo della violenza subita.

Osserviamo, per esempio, il dipinto  Giuditta e Oloferne delle Gallerie degli Uffizi. Del soggetto biblico, Artemisia sceglie l’apice del dramma. Come su un palcoscenico, infatti, la bella Giuditta, accompagnata dalla serva Abra, è raffigurata nell’atto di tagliare la testa a Oloferne: tiene vigorosamente l’uomo per i capelli e affonda la spada con forza, indietreggiando leggermente con il busto quasi a non voler sporcare di sangue il bell’abito giallo oro che indossa.

Fedele al dato reale, Artemisia non tenta di nascondere alcun dettaglio, né il terrore sul volto dell’uomo, con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati, né il sangue che schizza a fiotti dalla sua gola recisa. L’effetto finale è “spaventoso”.

A ciò concorre anche l’uso di una luce nitida e forte che proviene da una fonte esterna, come sul palco di un teatro.

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Giuditta e Oloferne

Eroina biblica, Giuditta è il simbolo della salvezza del popolo di Israele contro la minaccia dell’esercito assiro, guidato dal generale Oloferne. Si racconta che questi avesse messo sotto assedio la città di Betulia, dove viveva Giuditta, e che i governatori stessero per cedere al nemico. La giovane donna, che era vedova, decise allora di sedurre il generale, per poi eliminarlo. Durante un banchetto, Giuditta si offrì a Oloferne e, dopo essere stata condotta nella sua camera, riuscì a sopraffarlo e a decapitarlo.

Storie della Storia dell’arte - volume B
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