Città “aperte” e deurbanizzazione
Negli ultimi decenni, fenomeni come l’aumento della percentuale di mezzi di trasporto personali per abitante (la diffusione delle automobili), il miglioramento dei trasporti pubblici che collegano le città ai centri vicini (come le ferrovie suburbane) e lo sviluppo di una fitta rete di telecomunicazioni (cellulari e Internet) nei Paesi sviluppati hanno fatto sì che una persona possa avere facile accesso ai servizi della città risiedendo a una distanza maggiore dal centro cittadino rispetto a quanto avveniva in precedenza. In altri termini, la nascita o la maggiore diffusione di comportamenti come il pendolarismo (cioè lo spostarsi ogni giorno su distanze medie e lunghe per raggiungere il posto di lavoro), il lavoro svolto a distanza e l’uso di Internet per acquistare beni e servizi o per interagire con le istituzioni hanno permesso anche a chi non risiede nel cuore di una città di adottare uno stile di vita “cittadino”. Queste nuove risorse hanno reso ormai sorpassata la tradizionale struttura cittadina a cerchi concentrici, con zone e quartieri sempre più esclusivi e ricchi a mano a mano che ci si avvicina al centro.
Oggi infatti, almeno in molte città dei Paesi avanzati come gli Stati Uniti e gli Stati europei, questo modello non vale più perché, a partire degli ultimi decenni del XX secolo, si è assistito al fenomeno della deurbanizzazione, cioè la “fuga” dalla città, e in particolare dal centro. I motivi di questa fuga sono in genere quelli legati ai problemi tipici della vita cittadina, come l’inquinamento, la criminalità e soprattutto i prezzi elevati delle abitazioni, che inducono molte persone a spostarsi nelle aree circostanti. Le città si sono quindi aperte verso l’esterno: in Paesi come gli Stati Uniti tutto questo ha significato soprattutto la nascita di grandi sobborghi residenziali nelle periferie, abitati prevalentemente dalle classi medie e alte, mentre nei Paesi dalla storia urbana più antica, come l’Italia, si è verificata una rinascita dei centri urbani medi e piccoli intorno alle grandi città, dove sono sorti anche parchi commerciali e complessi di uffici trasferitisi dai costosi centri cittadini.
Accanto a questi di modelli di espansione e “apertura” delle città, che avvengono in maniera per lo più ordinata secondo specifici progetti, esistono anche tipologie di espansione più disordinata, come il cosiddetto urban sprawl: si tratta di gruppi poco densi di edifici residenziali, commerciali e industriali, sorti senza un centro o un progetto unitario, che si allargano occupando i terreni un tempo agricoli o inutilizzati tra un centro urbano e l’altro. Le aree di urban sprawl si espandono lungo le grandi vie di comunicazione (strade e autostrade) senza tener conto delle tradizionali suddivisioni amministrative e politiche tra Comuni, Regioni o addirittura Stati, e sono caratterizzate dalla mancanza di servizi pubblici vicini, poiché questi si trovano ancora nei “vecchi” centri urbani. La nascita dell’urban sprawl è una conseguenza della diffusione del trasporto personale: con le sue strade a grande scorrimento e spesso prive di marciapiedi, questa realtà urbana è quasi impossibile da percorrere senza un veicolo a motore. Il modello dell’urban sprawl è molto criticato, in quanto massima espressione dello stile di vita urbano improntato all’individualismo: la mancanza di servizi e la difficoltà di spostamento per chi non possiede un veicolo penalizzerebbero le categorie più deboli (come anziani e disabili). Inoltre, questo tipo di espansione non pianificata dei centri abitati è stato attaccato per l’uso indiscriminato del suolo e la scarsa sostenibilità ambientale.