13.4 POMPEO, CESARE E IL PRIMO TRIUMVIRATO

LEZIONE 13.4 – Pompeo, Cesare e il primo triumvirato

Nemmeno la vittoria di Silla e la riorganizzazione istituzionale che ne seguì riuscirono a porre fine alle ostilità tra ottimati e popolari, nelle quali svolgeva un ruolo sempre più importante il proletariato urbano. In seguito alle guerre civili, la plebe di Roma viveva in condizioni sempre più misere ed era perciò disposta a votare, nei comizi tributi, per i politici più spregiudicati, allettata dai favori e dalle elargizioni promesse durante le campagne elettorali.

Di tale situazione si avvantaggiarono i comandanti dell’esercito, che, dopo aver ottenuto ricchezze e prestigio dai successi militari e dallo sfruttamento delle province, potevano procedere nel cursus honorum. Fu in questo periodo che alcuni di essi si imposero sulla scena politica con la forza delle armi, sottomettendo al loro potere l’autorità del senato attraverso dei veri e propri colpi di Stato. L’esercito, fondamentale per salvaguardare Roma dai nemici esterni e dal pericolo di gravi rivolte interne, divenne il principale strumento di lotta politica.

Le rivolte servili

Tra la seconda metà del II e l’inizio del I secolo a.C., dai territori conquistati da Roma giunsero in Italia centinaia di migliaia di schiavi, impiegati nelle occupazioni più varie al servizio dei loro padroni. Essi vivevano in condizioni più o meno dure, secondo l’impiego che il destino riservava loro. La situazione meno pesante era forse quella che riguardava i servi domestici, impiegati per le attività più umili nelle case dei nobili. In condizioni drammatiche vivevano gli schiavi dei latifondi, che in cambio del loro gravoso lavoro ricevevano solo misere razioni di cibo, e soprattutto i lavoratori delle miniere, molti dei quali morivano per la fatica. Vi erano poi coloro che, dopo essere stati addestrati in apposite scuole, venivano costretti ad affrontarsi in combattimenti crudeli, che costituivano spettacoli pubblici molto graditi dalla plebe di Roma e delle altre città. Tra costoro vi erano anche i ▶ gladiatori.

La condizione inumana degli schiavi aveva provocato già nel corso del II secolo a.C. numerose rivolte servili, tra le quali la più grave era scoppiata nelle campagne della Sicilia tra il 135 e il 131 a.C. Nel I secolo, invece, la ribellione più pericolosa ed estesa (73-71 a.C.) si avviò a partire da una nota scuola di gladiatori, quella di Capua. Guidata da Spartaco, un gladiatore originario della Tracia (regione a sud dei Balcani), la rivolta si estese a tutta l’Italia centrale e meridionale e giunse a raccogliere 150 000 schiavi ribelli.

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CIVILTÀ E CITTADINANZA – Educazione civica

Schiavi o lavoratori?

La Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali promossa dall’Onu, entrata in vigore nel 1976 e attualmente firmata da 164 Paesi, riconosce a ogni individuo il diritto al lavoro. Specifica inoltre che si debba trattare di un lavoro dignitoso, cioè che offra un compenso equo e commisurato all’attività svolta, che si svolga in sicurezza e senza pericoli per la salute del lavoratore, che abbia orari limitati e fissati per legge. Purtroppo in molti casi, e in particolare in alcune regioni del mondo, i diritti dei lavoratori non sono pienamente rispettati, se non del tutto ignorati, ed essi sono spesso costretti a guadagnarsi di che vivere in condizioni di sfruttamento che, in casi estremi, equivalgono a quelle della schiavitù. Si stima che attualmente nel mondo siano oltre 20 milioni gli individui soggetti a lavoro forzato o coatto, cioè costretti a lavorare contro la propria volontà. Sono sostanzialmente schiavi, impiegati come domestici, braccianti nelle piantagioni agricole e operai in fabbriche e laboratori manifatturieri. Vivono in condizioni igieniche precarie, senza percepire alcun compenso e molti subiscono violenze. La maggior parte dei casi di lavoro forzato si verifica nei Paesi più poveri del mondo, come quelli africani e del Sudest asiatico, ma il fenomeno è diffuso anche nei Paesi con economie avanzate, dove le persone più soggette a questo tipo di sfruttamento sono gli immigrati clandestini, costretti ad accettare lavori “in nero”, cioè senza alcun contratto o tutela, per paura di essere scoperti dalle autorità del Paese in cui sono entrati illegalmente. Sono numerosi anche gli immigrati tenuti in una condizione di schiavitù dalle stesse organizzazioni criminali che li hanno portati dai Paesi di origine, e che li costringono a lavorare per ripagare il debito contratto per garantirsi il viaggio. Nelle grandi città europee come Milano, Parigi o Londra, sono all’ordine del giorno le scoperte di laboratori clandestini dove immigrati irregolari (provenienti soprattutto da Cina, India, Pakistan e Sudest asiatico) sono costretti a vivere e lavorare in condizioni disumane.

Nei Paesi in via di sviluppo molti lavoratori operano in condizioni difficili e senza alcuna tutela. Nelle regioni più povere come quelle africane, soprattutto nel Sahel, nel Corno d’Africa e nell’Africa subsahariana, la maggior parte delle donne, degli uomini e dei bambini è costretta a lavorare la terra per procurarsi il necessario per sopravvivere, senza alcun tipo di protezione da parte dello Stato. Nei Paesi emergenti, dove la recente espansione industriale ha portato alla nascita di moltissime fabbriche che lavorano a ciclo continuo, le condizioni di lavoro negli stabilimenti sono invece sorprendentemente simili a quelli che si potevano incontrare in Europa e Nord America durante la prima rivoluzione industriale, nel XIX secolo. Dall’India al Pakistan e al Bangladesh, dalla Colombia al Messico, dall’Indonesia alla Tailandia, enormi fabbriche e innumerevoli laboratori artigianali e industriali più piccoli ospitano milioni di persone (molti dei quali bambini) che lavorano anche 18 ore al giorno per un compenso giornaliero a malapena sufficiente a garantire la sopravvivenza. Molti utilizzano macchinari pericolosi e sono esposti a sostanze chimiche tossiche, e gli incidenti, contro i quali non c’è alcuna tutela, sono all’ordine del giorno. Parecchi stabilimenti sono di proprietà o lavorano per imprese e multinazionali con sede nei Paesi economicamente più avanzati, che hanno spostato la produzione in zone più povere per approfittare degli stipendi bassi e abbattere i costi di manifattura. In Cina, i milioni di contadini che giungono ogni anno dalle campagne nelle grandi città hanno fatto la fortuna del settore industriale, che li impiega come manodopera a basso costo: un’espansione economica e industriale che ha un alto prezzo in termini sociali. In enormi stabilimenti grandi come città, sorti alla periferia di metropoli come Shanghai e Shenzen, possono lavorare anche centinaia di migliaia di persone, impiegate con turni massacranti nelle linee di montaggio di circuiti integrati e microchip per i più moderni computer e telefoni cellulari. Molti operai dormono in locali simili a caserme a pochi metri dai macchinari, e vengono puniti per ogni eventuale protesta organizzata, in quanto le organizzazioni sindacali sono proibite.

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La figura di Spartaco e la fine della rivolta

Più che una vera e propria guerra, la rivolta di Spartaco fu un insieme di azioni di guerriglia: gli schiavi non avevano intenzione di conquistare territori ma tentavano soltanto di sfuggire alle loro misere condizioni di vita e riacquistare la libertà. Raccolti in bande nelle campagne e tra le montagne, essi saccheggiavano le zone occupate e si spostavano continuamente per non farsi raggiungere dalle legioni romane. Questa mancanza di organizzazione determinò infine la sconfitta della rivolta, repressa nel sangue dall’esercito regolare di Roma.

Sebbene gli storici antichi abbiano esaltato il suo coraggio, e nonostante la rilettura moderna della vicenda di Spartaco abbia fondato sulla sua figura il mito dello schiavo ribelle che lotta contro l’ingiustizia, non è possibile attribuire a Spartaco la volontà di perseguire grandi progetti militari, né considerarlo capo di un vero esercito. Egli non aveva un intento strategico preciso e non mirava a conquistare Roma o altre città, ma solo a ottenere la libertà personale. Le lodi degli storici latini derivano dall’esigenza di giustificare il fatto che una massa di schiavi avesse a lungo tenuto in scacco le legioni di una grande potenza e rendere meno evidente la debolezza di Roma, incapace di mantenere la pace in Italia pur essendo padrona del Mediterraneo.

Dopo lunghi scontri, nel 71 a.C. i ribelli furono sconfitti sulle montagne della Calabria dall’esercito romano comandato da Marco Licinio Crasso. Per dissuadere altre rivolte servili, Crasso ordinò che i 6000 superstiti fossero crocefissi lungo la via Appia, tra Capua e Roma.

L’ascesa di Pompeo Magno...

Oltre a Crasso, nella repressione delle rivolte servili si distinse anche Gneo Pompeo Magno. Costui, negli stessi anni, trasse grande prestigio anche da importanti vittorie in una nuova guerra contro il re del Ponto, Mitridate (74-63 a.C.), e in Spagna, dove nel 72 a.C. riuscì a sconfiggere gli ultimi sostenitori di Quinto Sertorio, partigiano di Mario, e a ricondurre la provincia sotto il controllo di Roma. I successi militari alienarono però a Pompeo il sostegno dei senatori, preoccupati che egli acquisisse un potere eccessivo. Per ottenere l’appoggio dei popolari e dei cavalieri, allora, Pompeo si alleò a Crasso; eletti consoli nel 70 a.C., essi attuarono alcune riforme favorevoli alla fazione politica che li aveva sostenuti: i tribuni della plebe ottennero i poteri che erano stati sottratti loro da Silla, i tribunali speciali contro la corruzione nelle province furono nuovamente affidati ai membri dell’ordine equestre e molti senatori seguaci di Silla furono allontanati dal senato.

Tra il 67 e il 66 a.C. Pompeo accrebbe i propri poteri, facendosi nominare dal senato comandante supremo, con autorità militare illimitata, per le operazioni nel Mediterraneo orientale. Qui affrontò con successo i pirati della Cilicia (regione meridionale della penisola anatolica), che da tempo danneggiavano i commerci romani in Asia Minore, e nel 63 a.C. sconfisse definitivamente Mitridate, allargando l’influenza di Roma anche sulla Siria e sulla Palestina. La vittoria sul nemico orientale, che aveva duramente impegnato le legioni romane per decenni, aumentò il prestigio e l’autorità di Pompeo. Con i poteri speciali conferitigli agli inizi della campagna in Oriente, mai assegnati prima a nessun uomo politico o comandante militare, egli ebbe la possibilità di imporre la propria volontà anche in patria: l’autorità militare, le ricchezze accumulate nelle guerre contro Mitridate e il sostegno dei popolari e dei cavalieri, guidati dal suo alleato Licinio Crasso, lo resero dunque l’uomo più potente di Roma. Scavalcando l’autorità del senato, Pompeo diede un nuovo assetto politico all’Oriente creando nuove province (compito che sarebbe spettato ai senatori), come quella di Siria e di Palestina, e affidando il governo dei regni che confinavano con i territori romani a sovrani che gli garantivano fedeltà.

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... e di Giulio Cesare

Alla metà del I secolo a.C., mentre il senato si indeboliva sempre più e il potere era di fatto nelle mani dei comandanti dell’esercito, accanto alle figure di Pompeo e Crasso emerse quella di Gaio Giulio Cesare. Discendente da una prestigiosa famiglia nobile decaduta, la gens Iulia, ed esponente dei popolari, Cesare fu protagonista di una rapida carriera politica grazie al sostegno economico di Crasso e dell’ordine equestre.

La congiura di Catilina

Il contesto in cui Cesare avrebbe preso il potere era segnato dalla debolezza dell’ordinamento repubblicano. Un chiaro esempio della crisi istituzionale fu il tentativo di colpo di Stato organizzato nel 63 a.C. da un nobile romano, Lucio Sergio Catilina, uno degli uomini mossi dall’ambizione e pronti a impadronirsi del potere con le armi emersi sulla scena politica in questo periodo. Nel 65 a.C. egli aveva tentato di farsi eleggere console con l’appoggio delle classi popolari, proponendo la cancellazione dei debiti dei nullatenenti e una distribuzione delle terre dei latifondi. Essendo però stato sconfitto nelle elezioni, egli organizzò una ▶ congiura contro il senato, per impadronirsi del potere con la forza. Con l’appoggio di altri nobili romani della fazione dei popolari, Catilina allestì un esercito personale, in cui arruolò numerosi contadini e nullatenenti dell’Italia centrosettentrionale.

Le sue trame furono però scoperte da Marco Tullio Cicerone, console nel 63 a.C. Già noto per la sua attività di avvocato, durante la quale non aveva risparmiato la denuncia della corruzione di parte della classe aristocratica, Cicerone era un uomo di cultura ed era dotato di grande abilità oratoria. Membro di un’agiata famiglia dell’ordine equestre – e dunque homo novus nel senato –, egli si fece mediatore tra ottimati e popolari, nel tentativo di salvare la repubblica con un patto tra i ceti sociali che ne esprimevano la classe dirigente, e che potevano garantire la conservazione dell’ordinamento istituzionale esistente. Denunciate le trame di Catilina in senato (dove pronunciò la celebre frase Quo usque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?, “Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”), Cicerone neutralizzò il tentativo di colpo di Stato e fece uccidere i congiurati. I rischi per la repubblica erano stati temporaneamente sventati, ma il senato aveva ormai perso autorità e lo Stato era sempre più in balìa di uomini politici spregiudicati, che potevano contare sul sostegno delle proprie legioni e sul seguito delle masse dei proletari.

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IL PERSONAGGIO 

Marco Tullio Cicerone

Pochi personaggi rappresentano ancora oggi, a distanza di oltre duemila anni, la storia e la civiltà dell’antica Roma come Marco Tullio Cicerone. Nato ad Arpino, il 3 gennaio del 106 a.C., Cicerone simboleggia, con la sua vita e la sua ricca produzione scritta, molti dei temi più importanti della storia di Roma del I secolo a.C.

Proveniente da un’agiata famiglia dell’ordine equestre, incarnò le aspirazioni e le richieste di ascesa sociale di tanti cavalieri, soprattutto di quelli provenienti da fuori Roma. Una volta entrato in senato, fu uno dei maggiori difensori della repubblica contro l’ambizione di generali e vari uomini politici, ma fu anche conservatore, in quanto sostenitore del mos maiorum, ossia delle tradizioni degli antenati, e per questo uomo di spicco tra gli ottimati. Fu console nel 63 a.C. e sventò personalmente la congiura orchestrata dal senatore Lucio Sergio Catilina. Come avvocato, fu uno dei più celebri “principi del foro”, interprete della grande tradizione giuridica romana. Come oratore e scrittore, è ancora oggi uno degli autori più letti e tradotti della letteratura latina, creatore di uno stile letterario unico per la capacità di coniugare complessità di pensiero e chiarezza espositiva. Da studioso e cultore della filosofia, fu fondamentale per la diffusione e la comprensione a Roma e nei suoi

territori di vari concetti e autori della filosofia greca. Dal punto di vista culturale, infatti, Cicerone raccolse idealmente l’eredità del circolo degli Scipioni, guardando costantemente all’esempio della cultura greca e cercando al contempo di elaborarla nel sistema di valori prettamente latino.

Come vedremo [▶ Capitolo 14], il ruolo di primo piano esercitato nell’opposizione a Cesare gli costò la vita, il 7 dicembre del 43 a.C., quando venne raggiunto a Formia da sicari inviati da Marco Antonio, uno dei più fedeli sostenitori di Cesare.

L’accordo fra i triumviri

Nel 62 a.C., al ritorno dalla sua vittoriosa campagna in Oriente contro Mitridate, Pompeo avrebbe potuto imporre la propria autorità con la forza dell’esercito. Egli lanciò invece un segnale distensivo al senato: obbedendo al divieto di entrare sul suolo italico con le truppe armate, stabilito a suo tempo da Silla, sciolse subito il suo esercito, chiedendo in cambio l’assegnazione di nuove terre per i veterani. Il senato, però, rifiutò, temendo che questa concessione avrebbe aumentato la fedeltà dei legionari a Pompeo, con il rischio che egli li impiegasse per prendere il potere. Nel 60 a.C. Pompeo cercò dunque il sostegno di altri alleati per ottenere soddisfazione alle proprie richieste.

Sulla base di queste premesse, i tre personaggi politici più influenti del momento, e cioè Pompeo (sostenuto dai suoi soldati), Crasso (appoggiato dall’ordine equestre) e Cesare (a capo dei popolari) stipularono un accordo per spartirsi il potere, dando vita al cosiddetto ▶ triumvirato (da tres, “tre”, e viri, “uomini”). Esautorando il senato, essi assumevano di fatto la guida dello Stato. Il triumvirato non era però una vera e propria magistratura: a differenza dei consoli, i triumviri non erano stati nominati dai comizi, ma si erano imposti con un’iniziativa personale, sulla base di accordi privati non previsti dalle leggi repubblicane e fondati unicamente sul loro potere militare e sul loro prestigio politico. Il loro ruolo non aveva limiti temporali e ogni loro atto era assolutamente libero da qualsiasi controllo da parte del senato. La collegialità – tipica delle magistrature romane – forniva al triumvirato soltanto una parvenza di legittimità, ma in realtà assicurava la convergenza degli interessi delle diverse forze sociali in esso rappresentate. Privo di ogni fondamento costituzionale, il triumvirato rappresentò di fatto la fine dello Stato repubblicano.

Stretto il patto, i triumviri si impegnarono nell’attuazione dei loro programmi e nella soddisfazione degli interessi dei gruppi sociali che li avevano appoggiati:

  • Cesare fu eletto console nel 59 a.C. e ottenne il comando dell’Illiria e delle province galliche. Egli riuscì anche a ottenere che Cicerone, il principale e più autorevole avversario del triumvirato, fosse mandato in esilio;
  • Pompeo ottenne la distribuzione delle terre ai suoi veterani, precedentemente rifiutata dal senato e, dopo il consolato in coppia con Crasso, il comando della Spagna e della provincia d’Africa (55 a.C.);
  • a Crasso fu affidata la Siria, mentre gli appalti per la riscossione dei tributi in Asia Minore furono assegnati ai pubblicani dell’ordine equestre, suoi sostenitori politici.

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VOCI DALLA STORIA 

I sostenitori di Catilina

Lo storico latino Sallustio, contemporaneo dei fatti, dà una descrizione del contesto sociale in cui avvenne la congiura di Catilina.


E non soltanto i complici della congiura ebbero la mente tanto sconvolta, ma tutta la plebaglia in massa, avida di pubblici rivolgimenti, favoriva l’iniziativa di Catilina. In questo, appunto, pareva conformarsi al suo costume. In uno Stato, infatti, coloro che nulla possiedono guardano sempre con invidia i facoltosi, esaltano i malvagi, odiano l’antico, aspirano al nuovo; per insofferenza della propria condizione desiderano vivamente sovvertire ogni cosa, si nutrono senza discernimento di torbidi e di sedizioni, poiché la povertà si può facilmente conservare senza pericolo. Ma la plebe romana, in verità, correva al precipizio per molti motivi. Anzitutto, erano confluiti a Roma […] coloro che ovunque eccellevano in corruzione e sfrontatezza, e con essi altri impudenti dissipatori del loro patrimonio, e infine tutti quelli che l’infamia o il delitto avevano scacciato dalla loro patria. In secondo luogo molti, memori della vittoria di Silla, vedendo che da semplici soldati alcuni erano diventati senatori e altri si erano tanto arricchiti da condurre una vita principesca, speravano, ciascuno per sé, di trarre simili benefici dalla vittoria, qualora avessero imbracciato le armi. Inoltre la gioventù, che nelle campagne aveva trascinato una vita di miserie con il lavoro delle braccia, allettata dalle largizioni pubbliche e private, aveva preferito all’ingrata fatica l’ozio cittadino. […] Per di più, coloro che alla vittoria di Silla avevano avuto proscritti i parenti, confiscati i beni, diminuito il diritto di libertà non certamente con diverso animo attendevano la conclusione della lotta.

Gaio Sallustio Crispo, Bellum Catilinae, 37


STUDIO CON I TESTI
  • Perché, secondo Sallustio, i poveri vedono di buon occhio l’impresa di Catilina?
  • Che cosa era successo a Roma dopo l’affermazione di Silla?

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Le conquiste di Cesare in Gallia

Il comando di Cesare in Gallia fu la premessa dell’espansione militare romana degli anni successivi e, per il triumviro, il primo passo per la conquista dei pieni poteri nello Stato. Tra il 58 e il 52 a.C. Cesare condusse a termine la conquista della Gallia Transalpina (ossia “al di là delle Alpi” e dunque distinta dalla provincia della Gallia Cisalpina, estesa nella Pianura Padana e dalla Gallia Narbonense, nella Francia meridionale). Cesare conquistò in pochi anni la maggior parte dei territori occupati dalle tribù di origine celtica.

Nel 58 a.C., nella battaglia di Bibratte, sconfisse gli Elvezi, che, premuti da altri popoli germanici alle loro spalle, avevano abbandonato il loro territorio (coincidente con l’attuale Svizzera) arrivando a minacciare i confini romani. Nell’ottica di spingerli stabilmente oltre il Reno, egli affrontò poi i Germani di Ariovisto, battendoli nella pianura alsaziana. Cesare si spinse fino alle coste meridionali della Britannia (l’attuale Inghilterra), che raggiunse nel 55 a.C., senza però riuscire a stabilirvi un vero controllo territoriale. Pochi anni dopo, tuttavia, Cesare dovette affrontare una rivolta che vide alleata gran parte delle tribù nemiche. Nella sanguinosa guerra che seguì (e di cui egli stesso lasciò un resoconto, il De bello Gallico) Cesare superò la strenua resistenza dei Galli Arverni (popolo della Gallia celtica nella regione dell’odierna Alvernia), guidati dal loro valoroso re Vercingetorige. Essi furono sconfitti e sottomessi solo in seguito all’assedio e alla conquista della città di Alesia, nel 52 a.C. Dopo la vittoria, Cesare promosse un’intensa e spietata romanizzazione della Gallia, che implicò lo sterminio e la riduzione in schiavitù di molte popolazioni transalpine.

IL LUOGO

Alesia

Nel De bello Gallico, Cesare colloca la città di Alesia sulla sommità di un monte molto alto, che si ergeva da un territorio bagnato da due fiumi. Il condottiero specifica che la città guardava verso una pianura estesa, circondata da colli tra loro vicini e uguali nell’altezza. All’epoca delle guerre galliche, Alesia era la capitale della tribù dei Mandubi. Sembra che fosse un centro di culto di prima importanza, ospitando templi dedicati alle divinità celtiche. La posizione dominante, come descritto da Cesare, assicurava alla città una fortificazione naturale ma, in aggiunta, Alesia era difesa anche da cinta murarie.

Molti studi storici e archeologici successivi si sono concentrati sull’esatta collocazione dell’oppidum (“luogo fortificato”), tuttavia l’esatta localizzazione di Alesia è rimasta ignota. Alcune ipotesi indicano la città di Alise-Sainte-Reine, un comune francese nella Costa d’Oro che, tra il 1861 e il 1865, restituì, nel contesto degli scavi promossi da Napoleone III, strutture simili a quelle descritte nel De bello Gallico. L’ipotesi che identifica Alesia con il comune di Alise-Sainte-Reine potrebbe essere confermata dalla vicinanza del monte Auxois e da alcuni rinvenimenti tuttavia poco significativi.

Altre teorie indicano la possibilità che Alesia coincida con il comune di Chaux-des-Crotenay, anch’esso nella regione della Borgogna, ai piedi della catena montuosa del Giura, che segna parte del confine tra Svizzera e Francia. Questa seconda ipotesi, più robusta della precedente, sarebbe confermata dalle più recenti ricerche che, negli anni Novanta del secolo scorso, hanno portato alla luce reperti significativi, come un sistema di fortificazioni ben conservato, alcuni elementi di arredo domestico risalenti all’epoca delle guerre galliche e le tracce di cinta murarie a margine di un centro abitato collocato sulla sommità di un colle. Tuttavia, tale teoria è stata molto criticata, così come molti dubbi sono stati sollevati sulla accuratezza e veridicità di alcuni episodi narrati dallo stesso Cesare.

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VOCI DALLA STORIA 

La fame e l’orrore degli assediati di Alesia

In questo brano, tratto dal De bello Gallico (“La guerra gallica”), Cesare riporta il macabro discorso con cui uno dei capi degli Arverni esortò i cittadini e i guerrieri di Alesia a resistere all’assedio romano. È probabile che l’episodio sia stato inventato da Cesare per giustificare la conquista della Gallia, ammantandola di una missione civilizzatrice di popoli barbari e disumani.


Gli assediati di Alesia, passato il giorno in cui erano attesi i soccorsi e consumata l’intera scorta di grano, ignari delle manovre che si svolgevano nella terra degli Edui, convocano un’assemblea per decidere sulla conclusione delle loro fortune. Diversi furono i pareri espressi, o in favore della resa, o di una sortita mentre non mancavano ancora le forze. Fra tutti non ci sembra di dover trascurare il discorso di Critognato per la sua eccezionale ed empia ferocia. Era costui un arverno d’illustre famiglia e tenuto in gran conto, che così parlò: «Nulla dirò della proposta di coloro i quali chiamano resa l’onta suprema della schiavitù; per me questi tali non dovrebbero essere considerati cittadini né ammessi nella loro assemblea. Io vorrei avere a che fare solo con coloro che parteggiano per una sortita. [...] Nel prendere una decisione cerchiamo di aver riguardo per tutta la Gallia che abbiamo sollecitato ad accorrere in nostro aiuto. Ebbene, quale pensate che sarebbe, dopo la strage, qui, in un luogo solo, di ottantamila uomini, lo spirito dei nostri parenti e consanguinei, costretti a battersi quasi sui cadaveri stessi? Non private del vostro soccorso chi per salvarvi non ha tenuto conto del proprio rischio; non abbattete l’intera Gallia per stolta temerarietà o per debolezza d’animo, non condannatela a eterna schiavitù. [...] Qual è dunque la mia proposta? Fare ciò che fecero i nostri avi nella guerra, nemmeno paragonabile a questa, dei Cimbri e dei Teutoni: ridotti nelle loro rocche e premuti da una carestia simile alla nostra, si tennero in vita con i cadaveri di quanti per età risultavano inservibili per la guerra, ma non si consegnarono al nemico. Se non ne avessimo l’esempio giudicherei ugualmente una bellissima cosa che lo si instaurasse adesso, per tramandarlo ai posteri. Perché, quali somiglianze ebbe quella guerra con la nostra? I Cimbri dopo aver razziata la Gallia e seminata la rovina alla fine ne uscirono e cercarono altre terre, lasciandoci il nostro diritto, le nostre leggi, le nostre campagne, la libertà. I Romani invece a che altro mirano o che altro vogliono, se non installarsi per invidia sui campi di un popolo conosciuto per la sua nobiltà e per la potenza militare, imponendogli per sempre il giogo della servitù? Mai essi hanno combattuto per altro che per questo. Se ignorate cosa avviene presso nazioni lontane, guardate la Gallia a noi confinante: ridotta a provincia, perso il suo diritto e le sue leggi, prostrata sotto le scuri, geme in perpetua servitù».

Gaio Giulio Cesare, La guerra gallica, VII, 77, 1-16, trad. di C. Carena, Mondadori, Milano 1992


STUDIO CON I TESTI
  • In quale situazione di difficoltà si trovavano gli abitanti di Alesia?
  • Quale soluzione viene proposta da Critognato?
  • Come vengono presentati i Romani nel suo discorso?

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SULLO SCHERMO E SULLA PAGINA

I Signori di Roma

Colleen McCullough (1937-2015) è stata una prolifica scrittrice e illustratrice di romanzi storici ambientati nella Roma tardo-repubblicana e imperiale. Benché la sua formazione accademica si fosse sviluppata in ambito medico, McCullough ha orientato la propria curiosità verso studi storico-letterari e grazie ai suoi numerosi romanzi storici ha ottenuto la laurea ad honorem in lettere presso la Macquarie University di Sydney nel 1993.

La sua produzione letteraria improntata sull’antica Roma comprende un cospicuo numero di romanzi raccolti in una saga che si pone lo scopo, dichiarato apertamente dall’autrice, di restituire il contesto storico-sociale della cultura romana come sfondo di vicende private avvincenti e dinamiche. I sette episodi della saga intitolata I Signori di Roma, in particolare, hanno visto una diffusione amplissima a livello internazionale.

Complessivamente, le narrazioni si articolano su un orizzonte temporale che va dal 110 a.C. fino al 27 a.C. e, dunque, dalla parabola discendente della repubblica alla fase iniziale dell’impero. I signori di Roma sono: Gaio Mario, Lucio Cornelio Silla, Gneo Pompeo, Gaio Giulio Cesare, Ottaviano Augusto. La saga prende l’avvio con l’episodio intitolato I giorni del potere (1990), che tratteggia gli eventi che hanno visto il passaggio del potere da Gaio Mario a Cornelio Silla. Le vicende che si articolano intorno ai protagonisti includono anche avvenimenti minori, con la partecipazione di altri personaggi storici di rilievo, come Marco Tullio Cicerone, che nel secondo volume della saga, intitolato I giorni della gloria (1991), viene ritratto nel suo prestigio professionale, ma anche nei suoi aspetti puramente umani, sullo sfondo di uno scenario irrecuperabilmente spaccato. Roma si è da poco lasciata alle spalle la guerra sociale e sta per scivolare nel dirupo della guerra civile: è questo il contesto nel quale si dipanano gli intrecci umani e politici orditi da Cesare, Pompeo e Crasso nelle trame dei due titoli successivi – I favoriti della fortuna (1993), Le donne di Cesare (1995) – e poi in Cesare, il genio e la passione (1998). Gli ultimi due episodi della serie – Le Idi di Marzo (2002) e Cleopatra (2007) – raccontano l’ascesa di Ottaviano Augusto e il ruolo che la sovrana d’Egitto cercò di ritagliarsi nello scacchiere internazionale.

IN SINTESI

Il primo triumvirato (60 a.C.)


Schema. Cesare viene eletto console nel 59 a.C.; ottiene il comando dell’Illiria e delle province galliche. Pompeo ottiene la distribuzione delle terre per i suoi veterani e il comando della Spagna. Crasso ottiene il governo della Siria e la riscossione dei tributi in Asia Minore.
GUIDA ALLO STUDIO
  • Per quale motivo l’esercito divenne il principale strumento di lotta politica a Roma?
  • Chi era Spartaco? Di quale episodio fu protagonista?
  • Quali imprese militari procurarono prestigio e potere a Crasso e Pompeo? Quali riforme attuarono durante il loro consolato?
  • In che cosa consistette la congiura di Catilina? Chi ne denunciò il pericolo?
  • Qual era la natura istituzionale del triumvirato?
  • Come fu spartito il potere tra Cesare, Pompeo e Crasso?
  • Come si concluse la campagna di Cesare in Gallia?

Tempo, spazio, storia - volume 1
Tempo, spazio, storia - volume 1
Dalla Preistoria alla crisi di Roma repubblicana