10.2 LA FINE DELLA MONARCHIA

LEZIONE 10.2 – La fine della monarchia

Dalla monarchia al consolato

Le riforme volute da Servio Tullio accrebbero l’importanza della plebe nella società romana, ormai parte a pieno titolo sia dell’esercito, sia delle assemblee politiche. Fu probabilmente per reazione a queste trasformazioni che le famiglie patrizie, temendo il venir meno dei loro privilegi, si coalizzarono per destituire i sovrani etruschi e per riaffermare il loro potere.

Verso la fine del VI secolo a.C., del resto, l’egemonia degli Etruschi sull’Italia centrale entrò in una fase di declino, di cui i popoli latini approfittarono per uscire dalla loro sfera di influenza. Nel 510 a.C. l’esercito etrusco fu sconfitto ad Ariccia da una lega formata dalle città latine, perdendo così il controllo del Lazio. In questo contesto, anche Roma si liberò dalla supremazia etrusca: secondo la tradizione, nel 509 a.C. i patrizi romani scacciarono l’ultimo re, Tarquinio il Superbo, e istituirono una repubblica aristocratica.

Le funzioni del re furono affidate a due consoli, entrambi patrizi, mentre i plebei furono esclusi da tutte le cariche pubbliche. Il ruolo dei consoli non era dunque dissimile da quello esercitato fino ad allora dai re, e prevedeva il controllo del potere politico e militare, l’amministrazione della giustizia e il compito di presiedere le cerimonie religiose. A differenza dei re, tuttavia, i consoli restavano in carica soltanto un anno: la durata limitata e la ▶ collegialità del loro incarico garantiva la repubblica romana dal rischio che il potere tornasse nelle mani di un solo uomo.

Il senato patrizio

Per scongiurare questa eventualità, fino alla metà del V secolo a.C. i patrizi esercitarono un rigido controllo su tutte le magistrature e imposero le loro scelte nella vita politica romana attraverso l’attività legislativa del senato. Al senato spettava la facoltà di formulare le proposte di legge e prendere le decisioni più importanti sulla società, l’economia, la politica estera e i culti religiosi della città.

Nei primi secoli esso era composto da 300 patres aristocratici e vi erano ammessi i consoli che avevano concluso il loro incarico e alcuni membri delle classi più ricche, chiamati conscripti. Il senato ebbe a lungo un’influenza politica determinante, maggiore di quella dei consoli. A differenza del consolato, infatti, la carica senatoriale non era temporanea ma durava a vita. I senatori dovevano vivere modestamente, senza ostentare la propria ricchezza e mantenendo uno stile di vita morigerato; in caso contrario potevano essere espulsi dall’assemblea. Non potevano impegnarsi nelle attività mercantili, sia perché, come tutte le attività manuali, erano considerate disonorevoli, sia per non esporre il patrimonio familiare ai rischi e alle incertezze dei commerci: il senato era un’istituzione fondamentale per la solidità dello Stato, che non doveva essere indebolita dalle eventuali difficoltà economiche dei suoi membri.

I comizi centuriati

Il predominio politico dei patrizi si esprimeva anche attraverso la loro influenza sui comizi centuriati, una nuova assemblea che, oltre ad avere il compito di approvare o respingere le proposte di legge dei consoli e del senato, eleggeva le magistrature più importanti e in alcuni casi svolgeva anche funzioni giudiziarie. I comizi centuriati furono istituiti nel corso del V secolo come conseguenza della riforma dell’esercito attuata nei decenni precedenti da Servio Tullio. La suddivisione territoriale dei comizi curiati aveva infatti limitato i privilegi aristocratici, mentre con questa nuova assemblea i patrizi si riappropriarono della facoltà di controllare il governo della città.

La popolazione romana fu divisa in cinque classi di censo e organizzata in 193 centurie dell’esercito. La prima classe, in cui rientravano gli individui con reddito annuale di almeno 100 000 assi (l’asse di bronzo era l’unità monetaria utilizzata al tempo), era composta da 18 centurie di cavalieri (equites) e 80 centurie di fanti (pedites); a queste si aggiungevano 2 centurie ausiliarie di fabbri e falegnami, che non portavano armi ed erano addetti al funzionamento delle macchine da guerra. Seguivano poi altre quattro classi di 20 centurie di fanti per ciascuna, tranne l’ultima che era di 30, per un totale di 90 centurie di fanti, divise in base al reddito dei loro membri e al tipo di armi che potevano procurarsi.

La prima di queste aveva un equipaggiamento completo, con corazza e scudo; l’ultima era dotata solo di un’asta e del gladio (talvolta nemmeno di questo), la spada corta tipica del soldato romano. Alle centurie di fanti erano aggregate anche 3 centurie ausiliarie, composte da trombettieri e inservienti. Vi era infine una classe di individui privi di reddito, i proletarii. Essi erano esclusi sia dall’esercito (reclutati solo in caso di grave pericolo per la città), sia dalle assemblee politiche.

 pagina 369 

Le disuguaglianze nei comizi

Sebbene il termine “centuria” indicasse in origine, nell’organizzazione dell’esercito di epoca monarchica, formazioni effettivamente composte da cento uomini, nei comizi centuriati i membri di ogni centuria aumentarono in relazione all’incremento demografico che interessò la città. L’aumento riguardò soprattutto le classi inferiori, al punto che nel I secolo a.C. una sola centuria delle classi inferiori conteneva più cittadini di tutte le centurie della prima classe. Tuttavia, la plebe aveva un peso nettamente inferiore rispetto alla sua dimensione numerica, perché le votazioni non avvenivano per testa (cioè per voto individuale) ma per centurie. Il totale dei voti nei comizi corrispondeva alle 193 centurie (i proletarii, infatti, erano esclusi dalle assemblee); poiché le centurie che rappresentavano gli interessi dei patrizi (prima classe) erano 100, esse avevano sempre la maggioranza rispetto alle 93 dei plebei, pur essendo composte da un numero inferiore di individui. Di conseguenza, era impossibile che i plebei potessero essere eletti alle magistrature più importanti della città.

IL PERSONAGGIO 

Lucio Tarquinio, detto il Superbo

L’ultimo dei sette re di Roma, Lucio Tarquinio, governò dal 534 al 509 a.C. Egli fu anche l’ultimo dei re di origine etrusca, succedendo a Tarquinio Prisco (616-578 a.C.) e a Servio Tullio (578-535 a.C.). Benché Lucio Tarquinio avesse avuto il merito di condurre Roma all’egemonia sul Lazio, mantenendo saldamente il controllo del territorio, i mezzi che gli assicurarono tale vantaggio gli valsero in seguito l’appellativo di “Superbo”, dal momento che il suo governo fu, secondo la tradizione, mal tollerato dal popolo e oppose molti ostacoli alle linee politiche condotte dal senato, perseguitandone molti membri. Come per il resto dell’epoca arcaica di Roma, anche nel caso di questo re non è sempre facile distinguere ciò che accadde realmente da ciò che rientra nel mito.

Tarquinio era probabilmente figlio o nipote di Tarquinio Prisco e salì al trono alla morte di Servio Tullio, peraltro negando la sepoltura al suo predecessore e impugnando il potere senza l’approvazione del popolo e del senato. Una volta divenuto re, attuò una vera e propria politica del terrore, esercitando soprusi e violenze di severità tale da sollevare un sentimento di odio in tutti gli strati del tessuto sociale. Le fonti riconoscono tuttavia a Tarquinio il merito di un importante ampliamento territoriale, con le conquiste di Latinum vetus, Suessa, Pometia, Ardea, Ocricoli e Gabii. Quest’ultima città fu presa, secondo la tradizione, più con l’inganno che con la forza: si narra infatti che il re avesse inviato suo figlio Sesto a creare discordia nella popolazione che, esausta, si consegnò a Roma spontaneamente. Sotto Tarquinio, Roma ampliò inoltre la propria rete di commerci, mentre la città fu abbellita con opere artistiche e urbanistiche, su tutte il tempio di Giove Ottimo Massimo. La sua cacciata, tradizionalmente fissata nel 509 a.C., segna la fine della monarchia ed è probabilmente specchio del definitivo affrancamento di Roma dall’influenza degli Etruschi. Tarquinio tentò di rientrare a Roma, con l’aiuto dei Latini e di altri sovrani etruschi come Porsenna, re di Chiusi, ma non ebbe successo, e morì esule a Cuma.

 pagina 370 

Le lotte tra patrizi e plebei

La supremazia dei patrizi nei comizi centuriati era rafforzata dal fatto che la partecipazione dei plebei alla vita politica era difficile o addirittura impossibile, poiché erano impegnati quotidianamente nelle attività lavorative, a differenza dei patrizi che vivevano della rendita dei propri patrimoni. Un discorso analogo vale per il senato e le magistrature più importanti, che, non essendo retribuite, erano di fatto riservate alle classi più ricche. Le assemblee rimanevano così nel pieno controllo dei patrizi, che riuscivano a pilotare le votazioni anche attraverso i propri clienti o con elargizioni di denaro volte a corrompere i membri delle classi inferiori affinché sostenessero la loro candidatura politica.

Esclusi di diritto e di fatto dal governo, ma coinvolti nell’onere di difendere la città attraverso il servizio militare, i plebei – in particolare quelli che si erano arricchiti esercitando i commerci o grazie all’artigianato – pretendevano che il loro ruolo fosse riconosciuto anche nelle assemblee politiche e nell’assegnazione delle cariche pubbliche. Alle richieste politiche si aggiungevano inoltre le rivendicazioni sociali della parte più povera della plebe, le cui condizioni di vita erano peggiorate anche a causa delle guerre che, come vedremo, in quel periodo impegnavano i Romani contro le popolazioni confinanti. Per combattere, infatti, i contadini dovevano abbandonare i campi e gli artigiani le botteghe, con grave danno economico delle loro attività. I piccoli proprietari terrieri erano in alcuni casi costretti a diventare schiavi per pagare i debiti ai grandi proprietari terrieri patrizi, che invece si arricchivano attraverso la guerra e la conquista militare di nuovi territori.

L’organizzazione politica durante la repubblica
Schema: La popolazione romana è divisa in 5 classi. Alla prima classe appartiene chi ha un reddito annuo pari o superiore a 100.000 assi; è composta da 18 centurie di cavalieri, 80 di fanti  e 2 di fabbri; alla seconda classe appartiene chi ha un reddito annuo superiore a 75.000 assi; è composta da 20 centurie di fanti. Alla terza classe appartiene chi ha un reddito annuo superiore a 50.000 assi; è composta da 20 centurie di fanti. Alla quarta classe appartiene hi ha un reddito annuo superiore a 25.000 assi; è composta da 20 centurie di fanti. Alla quinta classe appartiene chi a un reddito annuo superiore a 12.500 assi; è composta da 30 centurie di fanti più 3 ausiliarie. I patrizi e i plebei ricchi controllano i comizi centuriati, un'assemblea di tutti i cittadini in armi, suddivisi in classi in base al censo; ha funzioni legislative e giudiziarie, elegge le magistrature più importanti. I consoli sono due e hanno poteri politici, religiosi e militari; è un incarico collegiale con durata annuale. Il senato è un'assemblea di anziani patrizi ed ex consoli; controlla le magistrature e prende le decisioni più importanti. Il concilium plebis è un'assemblea riservata ai plebei; elegge annualmente i tribuni della plebe, che hanno diritto di veto sulle decisioni dei consoli.

 pagina 371 

L’Aventino e le nuove assemblee

Come estremo atto di protesta contro questa situazione, nel 494 a.C. i plebei si ritirarono sul colle Aventino, interrompendo ogni attività e rifiutandosi di partecipare a nuove spedizioni militari. La ▶ secessione pose in grave difficoltà i patrizi, che, attraverso la mediazione del console Menenio Agrippa, furono costretti ad alcune importanti concessioni.

I plebei ottennero in particolare il riconoscimento di una nuova magistratura, il tribunato della plebe. Si trattava di una carica collegiale, composta da dieci tribuni. Eletti annualmente dalla plebe, i tribuni erano sacrosancti, cioè sacri e inviolabili: nessun magistrato poteva chiederne l’arresto e chiunque avesse attentato alla loro incolumità sarebbe stato condannato a morte. Tra i loro compiti più importanti vi era la difesa dei plebei dai soprusi dei patrizi e tra i loro poteri il diritto di ▶ veto sulle leggi proposte dai consoli (ossia la possibilità di bloccarle se ritenute sfavorevoli per la plebe). La loro autorità era però limitata al territorio della città, mentre non si esercitava nell’ambito di campagne militari che portavano l’esercito lontano da Roma.

L’istituzione del tribunato della plebe si accompagnò alla creazione di una nuova assemblea politica, il concilium plebis, che eleggeva i tribuni. Vi partecipavano soltanto i plebei, raccolti nelle tribù territoriali in cui era suddivisa Roma. Sebbene i loro poteri fossero limitati, i concilia plebis, non prevedendo un legame tra partecipazione politica e censo, eliminavano i privilegi legati alla ricchezza.

Dal momento che ogni tribù esprimeva un solo voto, i concilia plebis videro la supremazia delle tribù rustiche, che erano più numerose (e quindi esprimevano più voti) delle quattro tribù cittadine, molto più popolate. Fu così che queste assemblee finirono spesso per favorire gli interessi dei ricchi proprietari terrieri delle campagne intorno alla città, i quali potevano influenzare le elezioni attraverso i loro clienti plebei.

Le leggi delle Dodici tavole

Le riforme introdotte non furono sufficienti a placare le tensioni sociali. Tra il 451 e il 449 a.C., quindi, una commissione di dieci esperti di diritto (i decemviri), preparò un codice di leggi scritte basandosi sul modello delle legislazioni elleniche del tempo. Queste norme furono chiamate leggi delle Dodici tavole, perché incise su dodici tavole di bronzo ed esposte permanentemente nel Foro di Roma, in modo che tutti i cittadini ne fossero a conoscenza.

Come era già avvenuto nelle civiltà orientali e in Grecia, la stesura di leggi scritte limitò la possibilità che venissero interpretate a favore degli aristocratici, ma non eliminò le disuguaglianze e i privilegi che favorivano le classi sociali più elevate. I legislatori, del resto, erano in prevalenza patrizi, da sempre custodi delle antiche tradizioni giuridiche latine: con la stesura del codice si limitarono a sistemare e a mettere per iscritto norme e consuetudini già esistenti, senza modificarle. Gli stessi promotori delle riforme, inoltre, erano i plebei più ricchi, interessati a ottenere l’uguaglianza politica con i patrizi e non a tutelare i diritti degli strati sociali più poveri. Per esempio, non fu eliminata la legge che prevedeva la schiavitù per debiti, né il divieto di matrimoni misti tra patrizi e plebei. Molto più importante, da questo punto di vista, fu la promulgazione della lex Canuleia (dal nome del tribuno della plebe che la propose, Gaio Canuleio), avvenuta nel 445 a.C. Essa concesse la possibilità di celebrare matrimoni misti tra patrizi e plebei, favorendo la mobilità sociale dei plebei più ricchi, che, stringendo relazioni di parentela con le famiglie nobili, poterono accedere alle più alte cariche pubbliche.

 pagina 372 

VOCI DALLA STORIA 

Leggi arcaiche e nuove norme

Accanto a norme molto arretrate, espressione della tradizione giuridica arcaica, alcune leggi riportate nelle Dodici tavole stabilivano importanti novità, togliendo spazio alle vendette private e attribuendo allo Stato la funzione di esercitare la giustizia.


Tavola III, 5-6. Se un debitore non ha ancora pagato i suoi creditori dopo 60 giorni, sarà portato al mercato per essere venduto come schiavo. Se per 3 volte non si sarà riusciti a venderlo, verrà tagliato a pezzi e i creditori ne porteranno via un pezzo ciascuno.

Tavola VIII, 1. Anche se le XII tavole stabiliscono la pena di morte in pochissimi casi, pure ritennero di doverla stabilire in questi: se qualcuno avesse offeso pubblicamente o avesse composto una poesia che fosse di infamia e vergogna per altri.

Tavola VIII, 9. Se qualcuno pascola in un luogo abusivo o ruba il raccolto, verrà impiccato se è un adulto, oppure verrà frustato e multato se è un giovane.

Tavola IX, 6. È vietato uccidere qualsiasi uomo, se non è stato prima giudicato e condannato dal tribunale.


STUDIO CON I TESTI
  • In quali casi, qui riportati, una persona riconosciuta colpevole era condannata a morte?
  • Tra le leggi che hai letto, quali sono quelle che presentano elementi di una tradizione giuridica arcaica?
  • Quali, invece, presentano degli elementi di modernità?

Le magistrature romane

Le novità introdotte con le riforme delle assemblee comportarono la necessità di riequilibrare i rapporti di potere all’interno dello Stato romano attraverso la definizione di nuove magistrature. Per evitare abusi di potere, le magistrature romane (dal latino magister, “capo”) erano collegiali e temporanee, di durata generalmente annuale, quasi sempre assegnate ai cittadini di censo elevato. Ricoprire le varie magistrature equivaleva a percorrere altrettanti gradini della carriera politica, il cosiddetto cursus honorum, riservato a chi aveva svolto il servizio militare come ufficiale.

La magistratura più importante era il consolato: i consoli erano le massime autorità, convocavano i comizi, controllavano la corretta applicazione delle leggi votate dal senato e guidavano l’esercito in guerra.

Ai pretori spettava invece l’amministrazione della giustizia, e si distinguevano in pretori urbani e pretori peregrini: i primi giudicavano cause tra cittadini romani, i secondi anche quelle che coinvolgevano gli stranieri.

Dal 443 a.C. erano stati istituiti i censori, eletti ogni cinque anni dai comizi centuriati e in carica per 18 mesi. Essi svolgevano un’indagine sui possedimenti dei Romani al fine di preparare il censimento, ossia l’elenco di tutti cittadini organizzato per tribù territoriali e classe di reddito di appartenenza. In base al reddito, ogni cittadino avrebbe avuto un ruolo specifico nell’esercito e avrebbe pagato una determinata somma in tasse. I censori avevano grande autorità, motivo per cui la loro carica era riservata ai patrizi. Potendo spostare un cittadino da una classe all’altra in base al suo patrimonio, infatti, essi controllavano di fatto la formazione delle classi di censo, delle assemblee politiche e dell’esercito. Potevano inoltre escludere un cittadino dalla vita politica in caso di comportamenti disdicevoli. Infine, organizzavano i lavori pubblici e distribuivano le terre conquistate in guerra.

Insieme a queste magistrature fu prevista una carica straordinaria, la ▶ dittatura, che veniva istituita dai consoli su indicazione del senato. La sua durata era limitata a sei mesi, corrispondenti al periodo in cui si svolgevano le campagne militari, e veniva istituita solo in casi di estrema necessità, per esempio qualora la città fosse minacciata da gravi pericoli, interni o esterni. Durante i sei mesi in cui restava in carica, il dittatore assumeva il pieno controllo dello Stato.

Tra le magistrature minori c’era quella degli edìli, istituita nel 449 a.C.: eletti dal concilium plebis, gli edili erano in principio solo plebei, ma verso la fine del IV secolo furono affiancati dagli edili ▶ curùli, scelti tra i patrizi. Controllavano l’amministrazione della città, l’ordine pubblico, la costruzione degli edifici, la manutenzione delle strade, l’approvvigionamento dei mercati pubblici, l’organizzazione degli spettacoli e delle feste religiose.

Dal 421 a.C., anche i plebei poterono diventare questori, magistrati minori che si occupavano dell’amministrazione delle finanze statali e della riscossione delle tasse. Insieme agli edili curuli, i questori erano eletti dai comitia populi tributa, una nuova assemblea istituita nella seconda metà del V secolo a.C. sul modello e con le stesse modalità di funzionamento dei concilia plebis, ma alla quale partecipavano tutti i cittadini romani – sia patrizi sia plebei – assegnati alle tribù territoriali.

Solo alcune delle magistrature erano dotate di imperium, quindi del comando in guerra: sicuramente i consoli, i pretori e, quando presente, il dittatore, mentre non è certo se anche i censori detenessero l’imperium.

Le magistrature della repubblica
Schema: Il senato, i cui membri sono eletti a vita, controlla le magistrature e prende le decisioni più importanti. Il dittatore resta in carica per sei mesi, ha il pieno controllo dello Stato in caso di emergenza o crisi. La carica dei consoli è elettiva di durata annuale; i consoli sono i comandanti dell’esercito, propongono le leggi ed eleggono il dittatore. I comizi centuriati è un'assemblea di tutti i cittadini in armi, suddivisi in cinque classi in base al censo; ha funzioni legislative e giudiziarie, elegge le magistrature più importanti. I censori sono eletti ogni cinque anni per 18 mesi; effettuano il censimento e gestiscono il patrimonio dello Stato. I pretori hanno compiti di amministrazione della giustizia; è una carica elettiva di durata annuale. I comizi tributi sono un'assemblea mista di tutti i cittadini appartenenti alle tribù territoriali; ha funzioni giudiziarie, elegge i questori e gli edili curuli. I questori amministrano le finanze dello Stato e riscuotono le tasse; è una carica elettiva di durata annuale. Gli edili controllano l’amministrazione della città; sono affiancati dagli edili curuli; è una carica elettiva di durata annuale. Il concilium plebis è l'assemblea dei plebei; ha funzioni giudiziarie, elegge i tribuni della plebe e gli edili. I tribuni della plebe hanno diritto di veto sulle decisioni dei consoli; è una carica elettiva di durata annuale.

IL LUOGO – Educazione civica

Il Foro romano

Nella civiltà romana il foro era il punto d’incontro ufficiale dei cittadini, che vi si recavano per partecipare alla vita pubblica. Tutte le città ne possedevano uno, ma il più famoso e importante era quello di Roma.

Dopo la bonifica dell’area (la cosiddetta Cloaca maxima), nel periodo monarchico il Foro romano si riempì di strutture destinate ad accogliere le attività commerciali, politiche e religiose e, successivamente, anche gli uffici giudiziari. Con il passaggio alla repubblica, prima, e all’impero, poi, il Foro venne via via ingrandito e arricchito di nuovi edifici, oltre a essere teatro di importanti riti e cerimonie. Durante il Medioevo e l’età moderna, invece, l’area cadde in uno stato di totale abbandono, al punto da essere quasi totalmente interrata e destinata a zona di pascolo per gli animali. Durante il Rinascimento, più di un papa utilizzò il Foro come cava dalla quale far estrarre il marmo per realizzare monumenti della Roma cattolica, contribuendo così alla distruzione del complesso. Solo a partire dall’Ottocento, con il sorgere di una nuova sensibilità verso l’archeologia e le civiltà del passato, i resti del Foro romano sono stati riscoperti e valorizzati.


Fino a noi

Oggi il Foro Romano è un’ampia area archeologica situata nel cuore di Roma e compresa tra il Palatino, il Campidoglio, via dei Fori Imperiali e il Colosseo. Essa si presenta come una stratificazione di edifici e monumenti appartenenti a epoche diverse della storia di Roma, ma accomunati dal fatto di essere stati parte del centro politico, economico, giuridico e religioso della città e dell’intera civiltà romana. Oggi il Foro Romano è uno dei siti archeologici più conosciuti e visitati al mondo.

 pagina 375 

CIVILTÀ E CITTADINANZA – Educazione civica

Il Senato e la Camera dei deputati

Dall’antica Roma ai sistemi statali moderni, per lunghissimo tempo il senato è stato l’assemblea politica per eccellenza, sia pure con fisionomia e funzioni diverse e all’interno di sistemi politici di varia natura. È Romolo, secondo la tradizione, a istituire il senato romano, che nasce come un consiglio di anziani, membri della classe aristocratica, che affiancano il re nell’esercizio del potere. Il senato romano mantiene grande importanza per tutta l’epoca repubblicana, mentre le sue prerogative vengono radicalmente ridimensionate in età imperiale.

Molto diverso – ma altrettanto prestigioso – è il senato della Repubblica veneziana, nato nel XIII secolo ed esistito, con compiti sempre più estesi e importanti, fino al 1797. L’istituzione senatoria si trova anche in altri Stati italiani preunitari, ma è nella monarchia sabauda che acquisisce una particolare importanza, soprattutto dopo la promulgazione, nel 1848, dello Statuto albertino, che divenne la carta fondamentale del Regno d’Italia nel 1861 e che introdusse il sistema bicamerale, in base al quale il potere è esercitato da due assemblee che, insieme, formano il Parlamento. Il sistema bicamerale è ripreso dalla Costituzione Italiana del 1948 (articolo 55). Il Parlamento italiano è infatti composto da due “rami”, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, che detengono il potere legislativo e la funzione di controllo dell’attività di governo. In Italia Camera e Senato, anche se diversi per numero di componenti e modalità di elezione, hanno funzioni e poteri del tutto analoghi. Si parla, a proposito del sistema istituzionale italiano, di “bicameralismo perfetto”, garanzia di un maggiore equilibrio tra i poteri dello Stato e limite alla cosiddetta “dittatura” di un’assemblea.

L’odierno Senato della Repubblica italiana – che ha sede a Roma, a palazzo Madama – è molto diverso dai suoi antenati storici; mantiene tuttavia alcune caratteristiche che da sempre ne hanno contraddistinto la natura. Come in molti altri Paesi democratici, è considerato la “camera alta”: in Italia, infatti, il presidente del Senato è la seconda carica dello Stato, dopo il Presidente della Repubblica. I membri del Senato hanno inoltre un’età più elevata dei deputati. Il termine “senato”, del resto, deriva proprio dal latino senex, “anziano”: per essere eletti è infatti necessario aver compiuto i 40 anni. A conferma del prestigio che da sempre caratterizza questa istituzione, oltre ai suoi membri eletti, in Senato sono presenti i senatori a vita, nominati dal Presidente della Repubblica per alti meriti in campo sociale, scientifico, artistico o letterario o essi stessi ex presidenti della Repubblica.

La Camera dei deputati ha invece sede a Montecitorio, a Roma. Come i senatori, i suoi membri hanno un mandato di cinque anni, salvo scioglimento anticipato delle camere deciso dal Presidente della Repubblica (per esempio nel caso in cui il Governo non disponga più della maggioranza di voti necessaria all’approvazione dei suoi provvedimenti). I deputati vengono eletti da tutti i cittadini che hanno compiuto 18 anni di età; per essere eletti, invece, è necessario aver compiuto 25 anni.

Le due Camere, di norma, lavorano separatamente. In casi eccezionali, però, possono riunirsi in seduta comune, come avviene in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica o per la scelta di una parte del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale.

 pagina 376 

TRECCANI #leparolevalgono

Repubblica

Il termine “repubblica” deriva dal latino res publica, che significa letteralmente “cosa pubblica”. La cosa pubblica alla quale si riferivano i Romani corrisponde a ciò che noi oggi intendiamo come Stato, quindi l’insieme dei poteri e delle istituzioni che vengono gestiti dall’autorità pubblica nell’interesse dei cittadini.

La repubblica che si instaurò a Roma dopo la cacciata dell’ultimo re era inizialmente un regime oligarchico, basato cioè sulla netta prevalenza politica, economica e sociale di un ristretto nucleo di gentes. Progressivamente, il resto della popolazione ottenne sempre maggiori benefici e riconoscimenti, per quanto Roma non fu mai retta da un vero governo democratico.

Nel linguaggio politico odierno, la repubblica è spesso considerata come sinonimo di democrazia, in contrapposizione alle monarchie, agli imperi e alle dittature. Tuttavia, le repubbliche possono essere anche non democratiche, come nel caso, per esempio, dell’attuale Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord. L’origine del significato di “repubblica” come sinonimo di democrazia va individuata nella Rivoluzione francese (1789-1799), in cui venne proclamata la repubblica per sancire la fine della monarchia e del vecchio mondo (l’Antico Regime) su cui essa si basava.

Anche la repubblica italiana è stata proclamata, a seguito di un referendum tenuto il 2 giugno 1946, in contrapposizione al regime fascista, ma anche alla monarchia, che di quel regime era stata complice.

IN SINTESI

La condizione della plebe


Schema. Alla plebe è imposto il servizio militare. Per andare in guerra i plebei sono costretti ad abbandonare i campi e le loro attività. Spesso sono costretti a diventare schiavi per pagare i debiti. Non partecipano alle assemblee e alle cariche pubbliche. Nel 494 a.C. si ha la secessione dell'Aventino: i patrizi concedono la creazione di una nuova magistratura, il tribunato della plebe, e di una nuova assemblea, il concilium plebis. Il tribunato della plebe deve difendere i plebei dai soprusi dei patrizi e ha diritto di veto tribunato della plebe. Il concilium plebis elegge i tribuni.
GUIDA ALLO STUDIO
  • Quali conseguenze comportò la caduta della monarchia nella lotta tra patrizi e plebei?
  • Quali erano le principali istituzioni politiche all’inizio dell’età repubblicana?
  • Di quali rivendicazioni, a livello politico e sociale, si facevano portatori i plebei?
  • Quali trasformazioni seguirono la vicenda dell’Aventino?
  • Quali erano le principali magistrature romane?

Tempo, spazio, storia - volume 1
Tempo, spazio, storia - volume 1
Dalla Preistoria alla crisi di Roma repubblicana