Le caratteristiche geomorfologiche dell’Italia hanno influenzato in modo determinante la distribuzione del popolamento della penisola. All’inizio del II millennio a.C., la penisola italica era infatti occupata da numerose popolazioni, insediate nelle aree più favorevoli allo sviluppo dell’agricoltura. Si trattava di genti molto diverse tra loro per cultura e provenienza.
8.2 I POPOLI ITALICI
LEZIONE 8.2 – I popoli italici
Camuni e terramaricoli
Fin dal IV millennio a.C., la Val Camonica, nell’Italia settentrionale, era popolata da gruppi di cacciatori-raccoglitori, la cui presenza è attestata da un ricchissimo repertorio di incisioni rupestri. A partire dal I millennio a.C. in particolare in questi territori si sviluppò la civiltà dei Camuni. Grazie alle numerose testimonianze costituite dalle incisioni rupestri, ancora oggi visibili sulle rocce delle zone popolate dai Camuni, conosciamo alcuni aspetti della loro civiltà e della loro economia; sappiamo per esempio che, nelle attività agricole, utilizzavano l’aratro e che adottarono un sistema di scrittura utilizzando l’alfabeto etrusco. La posizione geografica dei loro insediamenti, che traeva vantaggio dalla protezione naturale offerta dai rilievi alpini, spiega in parte la lunga durata della civiltà camuna, sopravvissuta fino alla fine del I secolo a.C., quando venne conquistata da Roma.
Più a sud, nell’area oggi compresa nella regione Emilia-Romagna tra il Po e il Panaro, si diffuse invece, intorno alla metà del II millennio a.C., la tipologia insediativa comparsa già presso le rive dei laghi del Nord: le palafitte. Qui, però, le palafitte erano costruite sulla terraferma, con lo scopo di proteggere le abitazioni dagli allagamenti dovuti allo straripamento del fiume Po e degli altri corsi d’acqua minori. Gli insediamenti erano costituiti da capanne addossate l’una all’altra e le tribù che vi abitavano praticavano la caccia, le attività agricole e l’allevamento. Il nome con cui esse vengono identificate – civiltà o cultura delle terramare – fu coniato nell’Ottocento, al momento della scoperta dei primi resti archeologici e deriva da un’espressione del dialetto emiliano, terra marna, che significa “terra grassa”, o “fertile”, in riferimento all’abitudine dei terramaricoli di gettare i resti dei loro pasti nei terreni sottostanti, che divennero così molto fertili. La cultura delle terramare scomparve intorno al 1200 a.C. per cause sconosciute (forse una catastrofe naturale o un rilevante cambiamento climatico).
La civiltà nuragica
Nel II millennio a.C. erano presenti in Italia anche alcune civiltà cosiddette megalitiche, le cui monumentali tombe – i dolmen – sono ancora oggi visibili in varie zone della Puglia, della Sicilia e della Sardegna. In Sardegna, in particolare, verso il 1800 a.C. si affermò la civiltà dei nuràghi, che avrebbe mantenuto il controllo della parte centrale dell’isola fino alla conquista romana (III secolo a.C.). Il termine “nuraghe” deriva da un vocabolo sardo, nurra, il cui significato è “cumulo di pietre”, “cavità”, e indica torri circolari di pietra affiancate da altre costruzioni, insieme alle quali formavano insediamenti fortificati che controllavano il territorio circostante. Ma forse il termine “nuraghe” è in realtà da mettere in relazione con la radice semitica (arrivata in Sardegna tramite i Fenici) nur, che significa “fuoco”, “luce”. Ogni nuraghe costituiva il cuore di un centro indipendente, e le sue funzioni cambiarono probabilmente nel corso dei secoli, riassumendo in un’unica struttura gli aspetti religiosi, difensivi e abitativi (in quest’ultimo caso riservati al capo tribù). Le ricerche dimostrano che i villaggi non erano in lotta tra loro, come a lungo si è pensato, perché nessun nuraghe presenta tracce di assalto. All’interno della struttura abitavano i guerrieri, mentre i contadini e i pastori vivevano invece nelle capanne sparse attorno alla cittadella fortificata, nella quale si rifugiavano solo in caso di pericolo.
Le principali attività economiche delle comunità nuragiche erano l’agricoltura, l’allevamento e la metallurgia, in particolare la lavorazione del bronzo. I nuragici, sebbene vivessero su un’isola, erano completamente inesperti di navigazione e difficilmente possono essere messi in relazione, come a lungo si è fatto, con quei popoli del mare che effettuarono violente incursioni sulle coste dell’Egitto intorno al 1200 a.C. Stabilirono invece intensi contatti commerciali con i Fenici, che nel corso del I millennio a.C. fondarono diverse colonie sulle coste della Sardegna.
Le prime migrazioni indoeuropee
Nella prima metà del II millennio a.C. gran parte della penisola italica fu interessata dalle migrazioni dei popoli indoeuropei che nei secoli precedenti si erano spostati dall’Asia verso l’Europa centrale e avevano invaso la penisola balcanica. L’accesso alla penisola avvenne attraverso i valichi alpini (durante le stagioni estive, quando il clima mite permetteva di percorrere anche i sentieri in quota), oppure via mare, attraverso l’Adriatico. L’arrivo di queste popolazioni modificò radicalmente il quadro etnico e linguistico della penisola, spesso descritto con la metafora del “mosaico” per indicarne la grande varietà. Le migrazioni determinarono però anche importanti trasformazioni di carattere sociale.
Popoli italici e regioni italiane
Durante il I millennio a.C. si definì la collocazione territoriale dei nomadi penetrati in Italia nei secoli precedenti e delle popolazioni autoctone già presenti. Sebbene in seguito questi popoli, definiti “popoli italici”, siano stati inglobati dall’espansione di Roma, rimane ancora oggi l’eco della loro presenza nella suddivisione regionale dello Stato italiano.
La Liguria, per esempio, fu abitata dai Liguri, la Sardegna dai Sardi, l’Umbria dagli Umbri (che occupavano anche parte delle Marche e della Romagna). In alcuni casi, il nome delle odierne regioni non rispecchia fedelmente la reale localizzazione degli antichi abitanti della penisola: i Bruzi, per esempio, erano stanziati in Calabria. Gli Enotri, insediati poco più a nord dei Bruzi, furono chiamati Ìtali dai Greci. Tra le popolazioni indoeuropee provenienti da est vi furono i Veneti (insediati nell’Italia nordorientale), i Latini (stabilitisi nell’attuale Lazio), i Sabini, i Volsci e i Sanniti (presenti nelle zone appenniniche dell’Italia centrale). La Puglia venne invece occupata dagli Iàpigi (o Àpuli), anch’essi indoeuropei e provenienti dai Balcani. In Sicilia orientale, infine, si stabilirono i Sìculi, mentre la parte occidentale dell’isola era abitata dai Sicàni e dagli Èlimi, che subirono l’influenza delle colonie fenicie.
POPOLI E LINGUE
Le lingue italiche
Le lingue parlate dai popoli italici all’inizio del I millennio a.C. presentano dei tratti linguistici affini, per cui alcuni studiosi hanno parlato di italico comune. Questi idiomi erano influenzati dalle lingue di sostrato, ossia le lingue già parlate dalle popolazioni mediterranee presenti in Italia prima delle ondate migratorie indoeuropee, le cui tracce sono evidenti ancora oggi nella toponomastica di numerosi luoghi e nei nomi di alcuni corsi d’acqua che non hanno origini latine (per esempio il nome di Atessa, località del basso Abruzzo, presenta un suffisso -sa tipico delle popolazioni del Mediterraneo).
Le lingue italiche possono essere divise in due macro-gruppi, che sembrano essersi evoluti autonomamente anche a causa della presenza del confine geografico degli Appennini: quello dei dialetti appartenenti al gruppo osco-sabellico (Umbri, Sanniti, Peligni, Masi, Osci, Marrucini, Lucani), il cui alfabeto è una derivazione di quello etrusco, e il gruppo latino-falisco, o protolatino, proprio del versante tirrenico e del territorio dell’attuale Lazio, al quale sembra appartenessero anche i Veneti e i Siculi.
Secondo alcuni studiosi si sarebbero verificate due ondate migratorie successive, a partire dallo stesso ceppo indoeuropeo: la prima avrebbe visto l’arrivo dei Latino-falisci, la seconda quello degli Osco-umbri, della cui lingua si ritrovano tracce evidenti in circa 230 iscrizioni, come la Tabula Bantina e il Cippus Abellanus, e nelle tavole di bronzo di Gubbio.
Sia grazie all’apporto delle lingue di sostrato, sia a causa di fenomeni di scambio politico e culturale tra i diversi popoli, queste lingue hanno subito delle evoluzioni successive, influenzandosi reciprocamente. Nelle prime documentazioni epigrafiche della lingua latina (VI-IV secolo a.C.), infatti, si può rintracciare un sistema grammaticale sostanzialmente indoeuropeo, ma con profonde trasformazioni dovute a spinte sia interne sia esterne, e un lessico composito con numerose parole di origine mediterranea ed etrusca, osco-umbra e greca.
La civiltà villanoviana e l’età del ferro
Intorno al 1000 a.C., nell’area compresa tra le attuali regioni dell’Emilia-Romagna e della Toscana sorse la civiltà villanoviana, che prende nome dalla località – Villanova, presso Bologna – in cui furono individuati i primi resti archeologici a essa riconducibili. I Villanoviani, la cui società era dominata dalle famiglie nobili, vivevano in villaggi fortificati situati sulle alture e praticavano l’agricoltura e l’allevamento. Secondo una tradizione già diffusa in Europa e nell’Italia settentrionale nei secoli precedenti, durante i riti funebri essi usavano incenerire (cioè “cremare”) i defunti, probabile retaggio culturale delle origini nomadi. La civiltà villanoviana sviluppò anche l’artigianato metallurgico, che alimentò i primi traffici commerciali con l’Oriente, sfruttando le miniere di ferro presenti nella zona. Anche la penisola italica, nel X secolo a.C., entrò dunque nell’età del ferro.
I Celti in Italia
Come abbiano già visto parlando delle prime civiltà del continente, tra le popolazioni nomadi di origine indoeuropea che nel II millennio a.C. si erano stabilite in varie regioni dell’Europa vi erano i Celti. Tra il VI e il III secolo a.C. le loro ampie migrazioni interessarono anche l’Italia. I Celti che penetrarono in Italia, in seguito chiamati Galli dai Romani, erano divisi in varie tribù che conquistarono vaste zone nella parte settentrionale della penisola: gli Ìnsubri si stabilirono nell’area dell’attuale città di Milano; i Boi si stanziarono in Emilia e i Sénoni occuparono le coste adriatiche nei pressi dell’attuale città di Senigallia (l’antica Sena Gallica, che da loro prende nome).
Dediti all’agricoltura, i Galli introdussero alcune innovazioni che migliorarono le rese agricole. Grazie alle loro competenze in ambito metallurgico inventarono il vomere di ferro, che consentì notevoli progressi nelle tecniche di coltivazione. A loro si deve inoltre la bonifica di ampie zone paludose della Pianura Padana, che sarebbe in seguito divenuta una delle aree agricole più produttive della penisola.
IN SINTESI
L’Italia preromana |
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CAMUNI (Val Camonica, IV millennio-I sec. a.C.) |
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CIVILTÀ DELLE TERRAMARE (Emilia-Romagna, II millennio a.C.-1200 a.C.) |
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CIVILTÀ NURAGICA (Sardegna, 1800-III sec. a.C.) |
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CIVILTÀ VILLANOVIANA (Emilia-Romagna e Toscana, 1000 a.C.) |
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Le migrazioni europee

GUIDA ALLO STUDIO
- Quali popolazioni abitarono la penisola italiana in epoca preistorica? Dove erano stanziate?
- Quali conseguenze ebbero le migrazioni dei popoli indoeuropei?
- Quali erano le principali risorse economiche di questi popoli?
- Quali erano i principali popoli italici e in quali regioni erano stanziati?
- In quali regioni migrarono le popolazioni celtiche?
Tempo, spazio, storia - volume 1
Dalla Preistoria alla crisi di Roma repubblicana