I SAPERI FONDAMENTALI

I SAPERI FONDAMENTALI

LA SINTESI

LA VITA

Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798, primogenito del conte Monaldo e Adelaide Antici. Il padre, colto gentiluomo di provincia, impartisce al piccolo Giacomo una rigida educazione conservatrice e lo avvia agli studi classici. Il giovane Leopardi manifesta sin da subito una prodigiosa attitudine allo studio e, dopo aver ricevuto una formazione iniziale dai precettori ecclesiastici, continua a studiare da autodidatta all’interno della biblioteca paterna, imparando a tradurre il greco e l’ebraico.

La corrispondenza epistolare con Pietro Giordani (1817), intellettuale laico e democratico, stimola in lui un ampliamento di prospettive che rende ancora più insostenibile l’atmosfera chiusa e bigotta di Recanati: ha così avvio la fase di “conversione letteraria” che induce l’autore alla composizione creativa. La fede e i dogmi della dottrina iniziano a vacillare e Giacomo si avvicina alle posizioni materialiste settecentesche che gli ispirano una nuova concezione della vita, laica e disillusa: sono gli anni della “conversione filosofica” (1819-1820). Per sfuggire alla morsa del dolore esistenziale e sperimentare le realtà finora conosciute sui libri, compie una serie di viaggi: si trova a Roma nel 1822, poi a Milano nel 1825, quindi a Bologna, a Firenze e infine a Pisa nel 1828.

In occasione dell’ultimo soggiorno fiorentino, durante il quale Leopardi si invaghisce della nobildonna Fanny Targioni Tozzetti, le sopite illusioni amorose del poeta vengono definitivamente infrante. Giacomo si trasferisce a Roma e poi a Napoli insieme all’amico Antonio Ranieri, con il quale trascorre gli ultimi anni della sua vita. Si spegne a Napoli nel 1837.

le opere

Nucleo della poetica leopardiana è la teoria del piacere. L’immaginazione, che non cede al dominio dell’intelletto e della logica, costituisce l’unica fonte del piacere: essa si esprime mediante la poesia che, attraverso la «rimembranza», ripropone alla mente immagini vaghe e indefinite (che offrono un illusorio appagamento al bisogno di infinito). La poesia degli antichi, a differenza di quella moderna, mantiene una prospettiva ingenua, non contaminata dalla razionalità: per questo, all’interno della polemica tra Classicisti e Romantici, Leopardi si schiera a favore dei primi, rimproverando ai moderni un eccessivo attaccamento alla logica e al ragionamento.


Lettere e scritti autobiografici La natura autobiografica della produzione leopardiana si manifesta in una vasta serie di opere. Gli scritti memorialistici, tra cui rientrano le Memorie del primo amore, i Ricordi d’infanzia e di adolescenza e Storia di un’anima, si ricollegano a esperienze autobiografiche dell’autore; lo Zibaldone raccoglie numerose annotazioni, in cui emergono le tappe e l’evoluzione del pensiero leopardiano, mai cristallizzato e non privo di contraddizioni; negli ultimi anni scrive anche dei Pensieri e un Epistolario.


Saggi e discorsi letterari e civili Giacomo prende parte al dibattito intellettuale occupandosi dei temi politici e culturali del suo tempo; a questa categoria di scritti appartengono il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica e il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani.


Canti La produzione poetica di Leopardi è raccolta nei Canti, pubblicati in varie edizioni e dati definitivamente alle stampe solamente dopo la morte dell’autore. Si tratta di una raccolta di componimenti, scritti tra il 1817 e il 1836, ordinati secondo specifiche relazioni tematiche e cronologiche.

La struttura può essere suddivisa in quattro sezioni fondamentali.

Alle Canzoni giovanili appartengono le poesie di tematica civile e patriottica, in cui l’autore mostra la propria indignazione per la decadenza dell’Italia; sono presenti anche canzoni filosofiche in cui vengono affrontate le tematiche esistenziali connesse al crollo delle illusioni (Ultimo canto di Saffo).

Ai “piccoli idilli” appartengono i componimenti che, attraverso la poetica del vago e dell’indefinito, analizzano i moti interiori dell’animo; questi canti (tra i quali si annoverano L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna) esprimono le risonanze che il mondo esterno assume nella mente del poeta, alla luce del ricordo e del vagheggiamento dell’amore.

I “grandi idilli” detti anche “canti pisano-recanatesi” superano i toni frementi e ribelli della giovinezza, per approdare alla lucida consapevolezza dell’infelicità esistenziale. La  natura è concepita come una «matrigna» indifferente alla sorte dei propri figli; la nostalgia della giovinezza riaffiora come unico ricordo della felicità perduta. Di questa categoria fanno parte A Silvia, Il passero solitario, Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta.

Chiudono la raccolta il cosiddetto “ciclo di Aspasia” e i canti napoletani (A se stesso, La ginestra o fiore del deserto) in cui si scorge un nuovo tono della poesia leopardiana: l’amore è definito come «inganno estremo» e il destino deve essere accettato rifiutando ogni passione consolatoria. Tuttavia Leopardi affida un messaggio di solidarietà tra gli uomini che li esorti a reagire alla tirannia del destino, pur consapevoli dell’inutilità di tale ribellione.


Operette morali Le Operette morali mettono in luce il  pessimismo materialistico dell’autore, con un tono satirico e distaccato: mediante i dialoghi dei protagonisti, il poeta illustra la propria visione della vita, svelando la durezza e lo strazio della condizione umana.

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LE PAROLE CHIAVE

Natura

La natura è vista inizialmente da Leopardi come una madre, «madre nostra e dell’universo», dolce e benigna, fonte di piacevoli illusioni che trasfigurano i dolori dell’esistenza. Al rapporto armonioso che l’uomo ha avuto in passato con la natura egli guarda come a una risorsa, in gran parte persa nel presente: «celeste naturalezza» dice essere quella condizione privilegiata che nasce dalla vicinanza con la natura e da cui la grande poesia è scaturita in modo quasi istintivo. L’approdo al materialismo lo induce progressivamente a correggere la sua visione della natura: essa diventa «origine vera de’ mali de’ viventi», entità violenta, ostile, malefica, infine matrigna indifferente alla sorte dei suoi figli, che restano stritolati senza pietà nel suo meccanico, imperturbabile ingranaggio.

Pessimismo

Inizialmente Leopardi collega l’infelicità della condizione umana allo sviluppo della civiltà, e dunque alla perdita di un rapporto armonioso con la natura, tanto da far parlare di “pessimismo storico”. Con il tempo egli matura la convinzione che l’infelicità sia un dato costitutivo e assoluto che riguarda tutte le creature viventi e tutte le epoche, approdando al cosiddetto “pessimismo cosmico”.

Questa visione lucida e impietosa della vita non si traduce però mai in scetticismo o in lamentosa recriminazione, né in un atteggiamento misantropo. Il poeta manifesta anzi la volontà eroica di affrontare con coraggio e con stoica imperturbabilità le sofferenze dell’esistenza, invitando gli uomini alla solidarietà, a una «grande alleanza degli esseri intelligenti» perché facciano causa comune contro la sventura in nome della fratellanza e della pietas, ovvero di un sentimento di amore e di rispetto nei confronti dei propri simili.

Il magnifico viaggio - Giacomo Leopardi
Il magnifico viaggio - Giacomo Leopardi