Le opere satiriche
Paralipomeni della Batracomiomachia
Giovanissimo, Leopardi aveva tradotto dal greco la Batracomiomachia (cioè “Battaglia dei topi e delle rane”), un poemetto a lungo attribuito per errore a Omero e invece scritto da autore ignoto probabilmente in epoca ellenistica. A partire dal 1833, durante il soggiorno napoletano, il poeta scrive una sua continuazione (“Paralipomeni” significa in greco “cose omesse o tralasciate” e ha il valore di “aggiunta” a un’opera precedente).
Si tratta di un poemetto in ottave, diviso in 8 canti, che rinnova la tradizione eroicomica italiana (portata ai massimi risultati da Giambattista Casti, autore settecentesco degli Animali parlanti) raccontando in chiave parodica le alterne vicende di una guerra tra i granchi, accorsi in aiuto delle rane, e i topi. Dietro gli animali protagonisti si celano rispettivamente gli austriaci, alleati delle truppe reazionarie papaline, e i patrioti liberali napoletani. Il poeta non risparmia nessuno con le sue critiche, mettendo in burla l’ottusa prepotenza austriaca e il conservatorismo pontificio, ma anche l’impreparazione dei liberali progressisti, abili oratori ma incapaci di agire.
I nuovi credenti
In questa acre satira in terzine dantesche composta a Napoli intorno al 1835, Leopardi indirizza le proprie dure critiche agli intellettuali napoletani riuniti intorno alla rivista “Il progresso”, che inneggiano a Dio, alla patria e alla felicità dell’uomo: tutti nobili e astratti princìpi, esaltati da pensatori vacui e ottimisti, troppo impegnati – così scrive il poeta – a mangiare maccheroni, ostriche e triglie per comprendere la vera natura dell’esistenza.