T17 - A se stesso

T17

A se stesso

Canti, 28

Scritto probabilmente nel 1833, è il testo più duro e disperato del cosiddetto “ciclo di Aspasia”: concentrato in 16 versi, costituisce l’appello finale del poeta al proprio cuore. In esso Leopardi sviluppa il tema della disillusione amorosa, a partire dalla sfortunata esperienza di una passione non corrisposta, quella per Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna fiorentina bellissima e affascinante, ma fredda e insensibile nei suoi confronti.


Metro Endecasillabi e settenari liberamente rimati.

Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
5      non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
10    la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
l’ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
15    poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l’infinita vanità del tutto.

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Svanita la possibilità di una relazione con la donna amata, il poeta, rivolgendosi al proprio cuore, esprime una visione sconsolata della vita e lo esorta a non tenere più in alcun conto i sentimenti, che sono pure illusioni, la natura, che è matrigna, ostile agli uomini, e l’universo stesso, che è inutile e privo di significato. In particolare, Leopardi si scaglia contro il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera (vv. 14-15): una sorta di imprecazione rivolta contro una forza del male che a suo giudizio regge il destino umano, presiedendo nascostamente allo svolgersi di ogni vita.

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Le scelte stilistiche

La caratteristica formale più evidente del componimento è la sintassi secca e spezzata in periodi brevi e brevissimi: abbandonata volutamente ogni leggerezza lirica, la frammentarietà dei versi sottolinea una raggiunta e definitiva imperturbabilità, che le palpitazioni e le illusioni avevano, almeno in una certa fase della vita del poeta, insidiato. Ora invece lo sfogo bandisce anche l’espressione dei desideri e dei rimpianti: viene meno lo spazio della memoria, scompare la dolce rievocazione del passato, domina solo l’esacerbata razionalità per scolpire, a mo’ di epigrafe, l’ultima negativa verità che avvolge la superficie vuota della vita (l’infinita vanità del tutto, v. 16).

Il frequente cadere del punto fermo a metà del verso (sono presenti ben 12 periodi in soli 16 versi) dà alla metrica un andamento singhiozzante, capace di rendere anche sul piano ritmico il dolore del poeta: è come se la sua voce non trovasse lo spazio sufficiente per distendersi. Il testo è dominato da verbi al modo indicativo, i quali esprimono la perentorietà di una decisione di rinuncia e distacco, che Leopardi impone a sé stesso proponendosi di non cedere più, in futuro, alle lusinghe delle speranze e dei sentimenti. L’anafora del passato remoto perì (vv. 2 e 3) dà il senso di una fine inesorabile, così come la ripetizione insistita di altre espressioni (oltre a perì, nei primi 6 versi troviamo poserai per sempre, posa per sempre, l’inganno estremo, inganni) pare quasi il segno di un’incapacità di trovare (e quindi modificare) le parole. Alcune frasi assumono il tono di sentenze lapidarie, conseguenza del gelo impassibile, perfino sprezzante, che si è impossessato del cuore del poeta: né di sospiri è degna / la terra (vv. 8-9); Amaro e noia / la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo (vv. 9-10); Al gener nostro il fato / non donò che il morire (vv. 12-13).

Un’ultima osservazione riguarda il lessico usato da Leopardi nel canto. In esso trovano spazio tutti i termini appartenenti al vocabolario sentimentale che caratterizza l’intera raccolta dei Canti, compresi quelli più vaghi e indefiniti come sempre, eterno, infinito e tutto, che però qui non ampliano più – come accadeva negli idilli – le facoltà dei sensi. Essi, cioè, appaiono «ormai privi della loro maschera, svelati nella loro vanità» (Rota), senza cioè quell’eco di illusione che prima possedevano. Si pensi ancora agli inganni, ai cari inganni (v. 4) che hanno offerto al poeta ragione di vita; oppure ai palpiti (Assai / palpitasti, vv. 6-7) e ai sospiri, compagni delle sue passioni giovanili: di tutto ciò ormai non rimane che il ricordo, non la dolce «rimembranza», ma solo una traccia remota guardata con gli occhi di un disinganno ormai definitivo.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 A chi si rivolge il poeta?


Come sono definiti, nel testo, la vita, il mondo e la natura?

ANALIZZARE

3 Individua la divisione dei periodi e gli eventuali enjambement: che ritmo conferiscono al componimento?


4 Analizza il modo e il tempo dei verbi presenti nel componimento, poi rifletti sui seguenti quesiti.

Con quale di essi il poeta si rivolge al suo cuore? perché?

Per cosa viene utilizzato l’indicativo passato remoto? Che cosa sottolinea?

Per cosa viene utilizzato l’indicativo presente? Per quale motivo, secondo te?


Che cosa sono i cari inganni (v. 4)? E quale differenza c’è tra la speme e il desiderio di essi?

INTERPRETARE

6 Quali tra i seguenti sentimenti prevalgono, secondo te, nel componimento e perché? Motiva la tua risposta con riferimenti al testo.

frustrazione • delusione disillusione rabbia desiderio di riposo e pace

scrivere per...

raccontare

7 Sull’esempio di Leopardi, scrivi un testo narrativo di circa 30 righe in cui ti rivolgi a te stesso per tracciare una sorta di bilancio esistenziale.

Il magnifico viaggio - Giacomo Leopardi
Il magnifico viaggio - Giacomo Leopardi