CRITICI A CONFRONTO - Gianfranco Contini ed Elio Gioanola -

Gianfranco Contini, Elio Gioanola CRITICI A CONFRONTO La poesia pascoliana: laboratorio per un filologo o per uno psicanalista? In che modo lo studioso deve accostarsi all opera di Pascoli per intenderne appieno i risvolti e le novità? Qui mettiamo a confronto due impostazioni critiche assai diverse, entrambe utili per riconoscere gli aspetti peculiari della sua ispirazione. La prima si deve all analisi del filologo Gianfranco Contini (1912-1990), che in un fondamentale saggio del 1955, Il linguaggio di Pascoli (poi raccolto nel volume Varianti e altra linguistica, 1970), mette a fuoco il carattere dell apparente determinatezza linguistica del poeta, cioè della sua predilezione per vocaboli specifici e addirittura tecnici, per ragionare sugli elementi di indeterminatezza che costituiscono, al contempo, una cifra distintiva della produzione pascoliana. Tutt altro è il punto di vista di Elio Gioanola (n. 1934), il quale utilizza gli strumenti della critica psicanalitica per illuminare il groviglio di inquietudini e ossessioni che caratterizzano l interiorità del poeta: in particolare, l immagine del nido viene qui elevata a simbolo e conseguenza di una profonda incapacità di vivere. Gianfranco Contini Il Pascoli proverbiale è il Pascoli delle cose umili, delle cose che stanno non sopra, ma sotto la linea dell attenzione tradizionale, di quel microcosmo che del resto equivale in dignità al macrocosmo per l indifferenza ed equidistanza pascoliana verso terra e cielo, verme e astro: così che si delinea, specialmente verso la fine dell opera pascoliana, una conversione della poesia minutamente impressionistica in poesia cosmica. Questa attenzione alle cose situate sotto la linea tradizionale, famiglia di cose che non erano state ancora ammesse nella corte della poesia, si deve qualificare immediatamente per scrupolo di precisione. perciò quell esattezza nomenclatoria, quella copia1 di linguaggio tecnico che si è rilevata. Ma si tratta veramente di determinatezza? Ecco una domanda alla quale, appena la si pone, sembrerebbe di dover rispondere con l affermativa: Pascoli perlomeno intese che a questa domanda si dovesse rispondere sì. C è un passo famoso in cui egli compara, collaziona,2 mentalmente il suo ideale linguistico con la pratica leopardiana. «Un mazzolin di rose e di viole : ma queste rose e queste viole, si chiede Pascoli, esistevano, esistevano concretamente, determinatamente, esistevano, diciamo pure, botanicamente? 1 copia: abbondanza. 2 collaziona: mette a confronto. 3 Nebbia: fa parte dei Canti di Castelvecchio. La determinatezza di Pascoli si accampa sempre sopra un fondo di indeterminatezza che la giustifica dialetticamente. Si ricordava poco fa la presentazione di Myricae, con gli uccellini, i cipressi, le campane (o meglio la loro riduzione fenomenica a pura sensazione, «frulli d uccelli, stormire di cipressi, lontano cantare di campane ), che emergono da un fondo, per così dire, di effusione psicologica. O pensate a una poesia che può essere perfettamente citata come allegoria generale del mondo poetico pascoliano: pensate a Nebbia.3 Qui sopra un fondo di fumo o di bruma vedete emergere dei primi piani, precisamente dei primi piani in senso cinematografico, una siepe, una mura, due (due di numero) peschi, e ancora (sempre numerabili) due meli, un cipresso. Ma dei primi piani non si giustificano se non in rapporto a un fondo, a un orizzonte, il quale esso è indeterminato, cioè a dire, per definizione, non se ne sentono e non se ne rappresentano attualmente i limiti: questi oggetti determinatissimi e computabili si situano sopra uno sfondo effuso. E che il fondo generale sia effuso e diffusivo, alta imprecisione qui condizionata da un alta precisione, è questo un dato che ricollega Pascoli al maggior laboratorio simbolistico. (Gianfranco Contini, Varianti e altra linguistica, Einaudi, Torino 1970) L AUTORE / GIOVANNI PASCOLI / 509

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento