CRITICI A CONFRONTO - Alain Robbe-Grillet e Gino Tellini - Zeno Cosini: chi è (davvero) costui?

CRITICI A CONFRONTO

Alain Robbe-Grillet e Gino Tellini

Zeno Cosini: chi è (davvero) costui?

Chi è davvero Zeno? Un malato o un bugiardo? L’uno e altro o nessuno dei due? Simbolo di un’epoca inquieta e irrisolta o maschera depistante e inaffidabile del suo autore? Per alcuni Zeno è la perfetta incarnazione della società moderna, dove tutto è innaturale e malato: di questo avviso è lo scrittore e regista francese Alain Robbe-Grillet (1922-2008), teorico del nouveau roman (“nuovo romanzo”) e della école du regard (“scuola dello sguardo”), una corrente letteraria che rifiutava come false tutte le “spiegazioni” narrative e puntava sulla pura trascrizione della realtà esterna delle cose. Secondo il critico Gino Tellini (n. 1946), invece, la confessione di Zeno, un inguaribile bugiardo, è del tutto ambigua, parziale, inaffidabile, soprattutto se la si intende come l’autobiografia di chi l’ha scritta.

Alain Robbe-Grillet

Il narratore è in cattiva fede. Facendogli vedere il suo scritto, lo psicanalista precisa che esso contiene una gran quantità di fandonie. Zeno stesso ne segnala qualcuna di sfuggita. Ma come tacciare chicchessia di menzogna quando ogni avvenimento è accompagnato da una lunga analisi che lo discredita e lo nega? Un giorno in cui non è riuscito con questo metodo a rendere abbastanza intricata la situazione, Zeno dichiara: «Era così chiara che non ci capivo più niente». Dopo aver accumulato tutti gli indizi di un classico complesso di Edipo con transfert molteplici, va su tutte le furie perché il medico non ha potuto far a meno di notarlo; poi aggiunge appositamente alcuni elementi falsi al fine di corroborare questa sua tesi. Agisce in maniera analoga nei suoi scritti con gli amici e con la famiglia: «Se non avessi deformato tutto, avrei ritenuto inutile aprir bocca». Alla fine scopre che la sua analisi è in grado di trasformare la salute in infermità; poco male: egli decide allora che bisogna curare la buona salute […].

Tempo ammalato, linguaggio ammalato, libido ammalata, comportamento ammalato, vita ammalata, coscienza ammalata…, è più che evidente che non bisogna scorgere qui una vaga allegoria al peccato originale, o una qualche altra lamentazione metafisica.1 Si tratta di vita quotidiana e d’esperienza diretta del mondo. Con questo, Italo Svevo vuol dirci che nella nostra società moderna, più niente è naturale. E non c’è neppure motivo di rammaricarsene. Si potrà senz’altro essere contenti, fare all’amore, fare affari, fare la guerra, scrivere romanzi: ma niente si potrà più fare senza pensarci sopra, nel modo naturale con cui si respira l’aria. Ogni nostra azione si riflette su se stessa e si carica di problemi. Sotto i nostri occhi, il semplice gesto che si fa per stendere la mano, diventa strano e goffo; le parole che ci ascoltiamo pronunciare, mandano d’improvviso un suono falso; le lancette del nostro spirito non corrono più con quelle degli orologi; e l’opera romanzesca, a sua volta, non può più essere innocente.


(Alain Robbe-Grillet, Le nouveau roman, trad. di L. De Maria e M. Militello, Sugar, Milano 1965)

Gino Tellini

Il lettore non può che addentrarsi con mille cautele e circospezioni in questo ambiguo, avvolgente, seduttivo, frastornante labirinto della memoria. L’investigazione dell’io è impresa improbabile, rischiosa, enigmatica.

Il genere autobiografico, sempre in qualche misura sottoposto a forti sollecitazioni individualizzanti, deflagra nelle mani d’un narratore-paziente che nutre scarsissima fiducia nella psicanalisi, come in altre forme di terapia, e che si diverte a prendersi gioco dell’analista. Autobiografia sui generis, dunque, e non di Schmitz-Svevo, bensì redatta per interposta persona:


pensi [che il romanzo] è un’autobiografia e non la mia. Molto meno di Senilità. Ci misi tre anni a scriverlo nei miei ritagli di tempo. E procedetti così: Quand’ero lasciato solo cercavo di convincermi d’essere io stesso Zeno. Camminavo come lui, come lui fumavo, e cacciavo nel mio passato tutte le sue avventure che possono somigliare alle mie solo perché la rievocazione di una propria avventura è una ricostruzione che facilmente diventa una costruzione nuova del tutto quando si riesce a porla in un’atmosfera nuova. E non perde perciò il sapore e il valore del ricordo, e neppure la sua mestizia

(lettera a E. Montale, 17 febbraio 1926, in Epist., p. 779)


Non deve avere durato troppa fatica a convincersi, d’essere lui stesso Zeno. Va da sé infatti che i dati autobiografici, nonostante questa recisa smentita, sono palesi (per limitarsi all’essenziale: l’ultima sigaretta; le quattro sorelle Malfenti, che rimandano alle quattro sorelle Veneziani; l’attività commerciale del protagonista; i riferimenti al violino). Ma non questo importa, bensì la proiezione appassionata – in una prospettiva possibile, virtuale, immaginativa – d’una concreta e sperimentata esperienza conoscitiva. Certo è che «il sapore e il valore del ricordo» sono assicurati dalla persuasiva e coinvolgente affabulazione dell’io narrante che riesce a risuscitare l’«atmosfera» delle proprie fantasticate «avventure» con il sigillo della più schietta e credibile quotidianità vissuta. Questo l’autentico talento del grande narratore: credere nella «realtà» della propria «immaginazione».


(Gino Tellini, Svevo, Salerno editrice, Roma 2013)

PER SCRIVERNE

Partendo dagli spunti offerti da queste interpretazioni critiche e alla luce delle tue letture sveviane, ritieni che il filtro della scrittura alteri sempre la veridicità dei fatti narrati? Il tema è complesso e mette sul campo uno dei problemi fondamentali dell’ispirazione letteraria: il rapporto tra arte e vita. Per ragionarci adeguatamente puoi trovare qualche ulteriore motivo di riflessione nei versi di un maestro della simulazione, il poeta portoghese Fernando Pessoa (1888-1935), abituato ad attribuire i propri componimenti a innumerevoli personaggi d’invenzione, coperti da altrettanti eteronimi. Ecco la prima quartina della sua Autopsicografia: «Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente». Scrivi un testo argomentativo sul tema, partendo da un’interpretazione di questi versi.

Il magnifico viaggio - volume 5
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Dal secondo Ottocento al primo Novecento