Tutto il quarto capitolo è incentrato sulla malattia e sull’agonia del padre, oltre che, di riflesso, sul rapporto conflittuale che Zeno ha sempre avuto con lui. Una sera il protagonista, rincasato più tardi del solito, trova il genitore che, piuttosto irrequieto, lo ha atteso per la cena. Nel colloquio che ne segue si profilano le differenze caratteriali tra il figlio e il padre: quest’ultimo vorrebbe comunicare a Zeno alcune verità importanti, ma sembra che gli manchino le parole. Dopo che entrambi sono andati a letto, quella notte stessa l’anziano è vittima di un serio malore, dal quale non si riprenderà più. Passano alcune settimane in cui alterna momenti di incoscienza ad altri di lucidità, fino alla notte in cui muore, nel brano qui antologizzato, su cui si chiude il capitolo.
T5 - La morte del padre
T5
La morte del padre
La coscienza di Zeno, cap. 4
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
All’inizio del capitolo (qui non antologizzato), Zeno dichiara che la morte del padre è stata «l’avvenimento più importante della sua vita», «una vera, grande catastrofe». E poco più avanti spiega: «Il paradiso non esisteva più ed io poi, a trent’anni, ero un uomo finito. Anch’io! M’accorsi per la prima volta che la parte più importante e decisiva della mia vita giaceva dietro di me, irrimediabilmente».
Il rapporto tra Zeno e il padre era stato per molti anni di sostanziale indifferenza. Nel momento del trapasso, esso acquista invece grande importanza agli occhi del protagonista: il decesso del genitore lo trasporta infatti dal piano della quotidianità a quello degli echi profondi che quell’evento traumatico innesca. Le considerazioni di Zeno, narratore “inattendibile”, come al solito sono ambivalenti: propongono un’interpretazione dei fatti ma lasciano filtrare, al contempo, indizi che sembrano avallare un’interpretazione diversa o addirittura opposta. Analizziamo lo svolgimento dei fatti.
Finché il padre era vivo, l’inettitudine di Zeno, che ancora si percepiva come “figlio”, poteva apparire come immaturità, ma con la sua morte essa si rivela nella sua essenza di sostanziale inadeguatezza alla vita e di inguaribile deficit esistenziale. Il rapporto è tra due personalità antitetiche: solido e borghesemente sereno il padre, nevrotico e inconcludente il figlio.
Non dobbiamo pensare però che questo contrasto sia assimilabile a quello, davvero aspro e insanabile, comune a molti altri scrittori, contemporanei o precedenti (si pensi a Leopardi o a Kafka). In Svevo, infatti, il dissidio conserva qualcosa di ambiguo, di irrisolto: potrebbe essere quello che Freud ha chiamato “complesso di Edipo”, vale a dire, come già accennato, il desiderio inconscio del bambino di sbarazzarsi della figura del padre per non avere rivali nell’ottenere l’amore della madre. D’altro canto, Zeno non ha certo la natura del ribelle che reclama libertà e autonomia, mai negategli dal padre, ma soltanto la consapevolezza di essere un debole e un incapace.
Ciò che gli rende ostile la figura paterna è, in fondo, la stessa ragione per cui diffida di chiunque: lo considera giudice del proprio operato, un avversario sempre pronto a scrutarlo e colpevolizzarlo. In altri termini, nella contrapposizione generazionale affiorano il consueto egocentrismo di Zeno e quella sua tendenza all’autocommiserazione che lo porta a nutrire, in ogni circostanza, sensi di colpa, aggressività latenti, autoaccuse e giustificazioni che sono vere e proprie scuse non richieste.
Ogni vicenda – a maggior ragione quelle tragiche – viene dunque rielaborata da un inconscio ipertrofico che gli fa ingigantire i fatti della vita in un’ottica esclusivamente autoreferenziale. Per questo il suo pianto è più per sé stesso, destinato a rimanere solo, che per il padre, destinato a morire: Guardavo nell’avvenire indagando per trovare perché e per chi avrei potuto continuare i miei sforzi di migliorarmi. Piansi molto, ma piuttosto su me stesso che sul disgraziato che correva senza pace per la sua camera (rr. 22-25).
Allo stesso modo si può leggere la grande quantità di rimproveri e assoluzioni che il protagonista regala a sé stesso dopo la scena terribile (r. 28): mentre il figlio tenta di sollevarlo, con l’aiuto dell’infermiere, il padre sente la morte arrivare e alza, nell’ultimo spasmo dell’agonia, la mano alto alto (r. 49) lasciandola poi ricadere sul volto di Zeno. Di che cosa si è trattato? Di uno schiaffo? O di un movimento inconsulto? Nella prima ipotesi l’atto equivarrebbe a una punizione (r. 52): ma per quale colpa? E anche nel caso che si trattasse di un’azione irriflessa, la psicanalisi freudiana avverte che dietro ad atti apparentemente “gratuiti” si possono celare ragioni che affondano le radici nell’inconscio del soggetto che le compie. Anche in questo caso, dunque, potrebbe darsi che il padre avesse inconsciamente qualcosa da imputare al figlio; o, almeno, quest’ultimo potrebbe crederlo.
La prima spiegazione che Zeno dà a sé stesso – cioè che il padre si sentisse da lui impedito nei movimenti e che dunque fosse arrabbiato per questo (Potevo anche essere stato vittima di un atto provocato da un tentativo di facilitarsi la respirazione!, rr. 69-71) – è soltanto un’ipotesi rassicurante, che però non elimina, a un livello più profondo, i suoi pressanti interrogativi. Del resto, come sempre, l’attenzione del narratore è tutta puntata, più che sul gesto in sé e sulle sue motivazioni, sulle reazioni psicologiche di Zeno a quell’evento.
VERSO LE COMPETENZE
Comprendere
1 Il brano si compone di una preparazione, di una scena centrale e di uno scioglimento. Individua i tre momenti e fai un breve riassunto di ciascuno.
2 Che ruolo hanno nella vicenda l’infermiere e il dottor Coprosich? Quali sentimenti Zeno nutre verso di loro?
3 Con quali sentimenti vive Zeno il momento della morte del padre?
4 Durante il funerale nella mente del protagonista si modifica l’immagine del padre: in che modo?
Analizzare
5 Individua nel testo esempi di quell’uso impreciso oppure libresco della lingua italiana che a parere di molti studiosi connota lo stile sveviano (forme arcaiche, termini letterari, incertezze nell’uso delle preposizioni).
Interpretare
6 Come possiamo spiegare i pianti di Zeno? Quali ne sono, a tuo avviso, le autentiche motivazioni?
7 Illustra il significato della seguente affermazione di Zeno: Egli era morto ed io non potevo più provargli la mia innocenza! (rr. 62-63).
scrivere per...
argomentare
8 Commenta la seguente interpretazione del critico Tommaso Di Salvo: «Il forte alla fine fu il padre che, pur morto, continuò a insistere nella mente e nella coscienza del figlio, imponendogli la sua presenza e avvertendolo del non risolto contrasto». Sei d’accordo con questa lettura? perché? Esprimi il tuo pensiero in un testo argomentativo di circa 20 righe.
Dibattito in classe
9 Il gesto della mano compiuto dal padre di Zeno poco prima di morire è, a tuo parere, uno schiaffo o una carezza? perché? Discutine con la classe.
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento