Il fumo è una specie di sintomo “riassuntivo” della malattia di Zeno, che invano tenta di rinunciare a questo vizio. Esso rappresenta la sua tendenza a restare sempre al di qua delle decisioni, ad appagarsi del piacere derivante dai buoni propositi senza mai passare alla fase concreta del dovere. Il vero male che lo attanaglia non è dunque tanto la sigaretta in sé, ma la nevrosi causata dal proposito di smettere e dall’incapacità di farlo.
T4 ANALISI ATTIVA - Il vizio del fumo e le "ultime sigarette"
T4
Il vizio del fumo e le «ultime sigarette»
La coscienza di Zeno, cap. 3
ANALISI ATTIVA
I contenuti tematici
Un tratto che connota il carattere di Zeno è senza dubbio la sua debolezza psicologica, che si esprime nella mancanza di volontà. È sintomatica in tal senso la sua incapacità di smettere di fumare. Paradossalmente il vizio si radica ancora di più in lui nel momento in cui il fumo gli viene espressamente vietato dal medico, in concomitanza con una seria infiammazione delle vie respiratorie. Come accadeva già al protagonista in età infantile, la proibizione eccita il gusto della trasgressione, in base a una dinamica psicologica piuttosto facile da decodificare: il desiderio di smettere di fumare accresce il piacere mediante l’emozione suscitata dall’infrazione del divieto, sempre disatteso e continuamente riproposto, come in un circolo vizioso di false promesse puntualmente eluse.
Il fumo, inoltre, diventa quasi un alibi per non impegnarsi seriamente in un concreto programma di vita (un preciso percorso di studi e una professione determinata). Soltanto ora, al momento della scrittura del diario, Zeno ne prende finalmente coscienza: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? (rr. 136-138). Non a caso, al vizio sono associati vocaboli negativi quali disgusto (rr. 31 e 80), sozza abitudine (r. 27), colpa (r. 137): eppure ciò non spinge il protagonista a un cambiamento delle proprie abitudini, bensì soltanto a una autoironica indulgenza verso sé stesso e i suoi limiti irrimediabili. Il senso di colpa provato per le proprie inadeguatezze non sfocia insomma in atti concreti capaci di sfidare le pulsioni dell’inconscio: l’unica risorsa a disposizione di Zeno – e ciò che lo distingue dagli altri personaggi sveviani – è la consapevolezza della propria inettitudine e dell’impossibilità di vincerla.
Soffermiamoci sulla scena di raccolta intimità domestica in cui si colloca il ricordo di Zeno bambino. Il padre crede di ammattire, non sapendo raccapezzarsi di fronte alla continua sparizione dei suoi sigari. La moglie sorride dinanzi alle sue paure e questo sorriso della madre rimane impresso in Zeno, che se ne ricorderà da adulto. Il protagonista scrive infatti a un certo punto, in una breve prolessi: Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo ricordai subito ritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie (rr. 75-76).
Si può dire che in tutto il romanzo le figure femminili – qui la madre e la moglie di Zeno – rappresentano un costante richiamo alla concretezza della vita, verso la quale esprimono un atteggiamento diverso rispetto a quello, spesso nevrotico, delle loro controparti maschili: la donna ha la capacità di rasserenare l’uomo, di ricondurlo alla tranquillità interiore, di farlo uscire dal gorgo dei pensieri fissi e ossessivi.
Le scelte stilistiche
Il romanzo del Novecento si caratterizza per una nuova concezione del tempo, che qui troviamo bene espressa nelle ultime due frasi del brano. Scrive Zeno nel suo diario: il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna (rr. 181-182). Il tempo, in altre parole, non ha un andamento lineare e univoco, e non è vero che il suo flusso non possa arrestarsi. Esso, al contrario, può essere fissato nella memoria attraverso i ricordi personali e in tal modo “ritornare” al soggetto. C’è infatti un tempo “esterno”, misurabile in anni, mesi e giorni, e un tempo “interno”, la cui estensione si valuta in base alla maggiore o minore intensità con cui gli eventi sono percepiti dal soggetto.
Zeno afferma che questa possibilità di un “ritorno” del tempo è un suo speciale privilegio (solo da me, r. 182), ma va detto che in realtà essa è condivisa da molti personaggi dei romanzi contemporanei, per i quali il passato e il presente convivono in quello che viene chiamato “tempo misto”. Nella Coscienza di Zeno (e nel brano che abbiamo qui presentato) tale tempo misto si esprime nel continuo intersecarsi tra i diversi piani temporali della narrazione mediante le libere associazioni che si sviluppano alogicamente e in modo ellittico nella mente e nella “coscienza” del protagonista (che infatti sceglie un particolare qualsiasi per iniziare la stesura del memoriale: Non so come cominciare, r. 5). Attraverso questo rinnovamento del tempo narrativo, sembra disgregarsi la trama tradizionale con il suo ordine cronologico. Il tempo non viene più inteso, come avveniva nel romanzo realista e naturalista, come un fenomeno oggettivo, ma è filtrato dalla percezione che ne hanno i personaggi.
6. Quando Zeno rievoca l’episodio della gara di sigarette, descrivendo i suoi compagni scrive: due paia di calzoncini che stanno in piedi perché dentro c’è stato un corpo che il tempo eliminò (rr. 82-83). Che cosa significa questa frase? Come spieghi l’alternanza di tempi verbali?
7. Che differenza c’è tra i propositi del giovane Zeno e quelli di Zeno anziano?
8. scrivere per esporre La malattia di Zeno rimanda a un insieme di acquisizioni scientifiche e filosofiche proprie della sua epoca. Svolgi una ricerca sullo stato della medicina agli inizi del XX secolo e raccogli i risultati in un testo espositivo di circa 30 righe.
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento