Le prime opere
Canne al vento
In particolare, il romanzo Canne al vento rappresenta bene la sintesi dei temi e dei motivi della prima fase della narrativa deleddiana. Ester, Ruth e Noemi Pintor sono sorelle, discendenti di un nobile casato, ormai economicamente decaduto, del paese di Galte (nel Nuorese c’è un centro di nome Galtellì al quale l’autrice si ispirò). Le tre donne vivono quasi da recluse nell’antica casa in rovina, assistite dall’anziano servo Efix, che coltiva l’ultimo podere rimasto loro degli immensi possedimenti di un tempo. Con la sua devozione alle “padrone” Efix intende espiare la colpa di aver ucciso molti anni prima, seppure involontariamente, il padre delle donne, don Zame: il servo aveva infatti cercato di agevolare la fuga di una quarta sorella, la più giovane, Lia, dalla tirannia del padre, che teneva le figlie segregate in casa affinché non si mischiassero con la gente del paese.
Un giorno, d’improvviso, giunge dal continente Giacinto, il figlio di Lia, rimasto orfano e licenziato per un furto dal suo impiego alle Dogane. Il ragazzo – che Efix inizialmente sperava potesse essere di sostegno alle zie – si rivela invece scioperato e spendaccione, al punto da sperperare un’ingente somma di denaro prestatagli da un’usuraia. Intanto il giovane si innamora di Grixenda, un’umile paesana, ma le zie si oppongono al loro matrimonio; a essere contraria è soprattutto Noemi, morbosamente attratta dal nipote. Questi, per poter ottenere altro denaro, giunge a falsificare su una cambiale le firme delle zie. Morta improvvisamente Ruth, le due sorelle rimaste, per salvare Giacinto, sono costrette a vendere il podere al ricco cugino don Predu, che in questo modo le salva dalla rovina.
Intanto Giacinto ha lasciato il paese per cercare lavoro a Nuoro ed Efix si è messo a vagabondare vivendo di elemosine. Quando l’anziano servo torna al paese apprende che Giacinto sposerà Grixenda, mentre Noemi diventerà moglie di don Predu, sanando così la precaria situazione economica delle Pintor. Ora, finalmente, Efix può morire in pace, proprio il giorno delle nozze di Noemi.
T1
La morte di Efix
Canne al vento, cap. 17
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
L’ultimo capitolo di Canne al vento mette a fuoco molto efficacemente la visione fatalistica della scrittrice, qui incarnata nel personaggio di Efix. Questi si identifica completamente con il proprio destino di “servo”. Tale vocabolo – che compariva nella prima frase del romanzo, in cui Efix veniva definito «il servo delle dame Pintor» – non ha nel linguaggio deleddiano alcuna connotazione negativa, essendo, nella Sardegna rurale, termine d’uso comune per qualificare chi, alle dipendenze di un datore di lavoro (“padrone”), fosse a lui legato da antichi rapporti di consuetudine e fedeltà.
Tale è stato per tutta la sua vita Efix nei confronti della famiglia Pintor: prima ha servito don Zame e, dopo la sua morte, le tre figlie. Per lunghi anni egli ha coltivato i terreni dell’unico podere rimasto alle donne dopo il tracollo economico della famiglia, finché, strette dai debiti contratti dal nipote Giacinto, esse si sono trovate costrette a vendere quanto era sopravvissuto dei vasti possedimenti di un tempo. Efix, allora, se n’era andato via, per non essere di peso alle donne, vivendo di elemosine. Ma ora che si sente prossimo alla fine, il suo destino lo porta a tornare presso le Pintor, per morire là dove era vissuto per la maggior parte della sua esistenza.
Quello di “servo” non è dunque un mestiere, un lavoro, ma una sorta di identità profonda. Sei come il gatto che ritorna anche se portato via dentro il sacco (rr. 81-82), gli dice scherzosamente don Predu. Efix non vuole saperne di porsi in un letto, che pure gli viene offerto, ma preferisce rimanere sulla stuoia, come un fedele cane da guardia: Mi lasci qui, donna Noemi mia […] Questo è il mio posto (rr. 62-63). E, poco più avanti, al medico: Tanto devo morire: mi lasci morire da servo (r. 102). Quasi sembra non voler morire per non incomodare le dame Pintor: egli si aggrappava alla vita solo perché aveva paura di deporre il suo peso in casa delle sue padrone (rr. 135-136).
L’atteggiamento di Efix, il suo desiderio di mortificazione, non si spiega però soltanto sul piano sociale. Sembra infatti che ci sia in lui una volontà di soffrire che va ben oltre il suo ruolo di subalternità nei confronti delle “padrone”. La verità è che l’uomo intende espiare una colpa che non ha mai confessato, cioè l’uccisione, seppure preterintenzionale, del suo antico “padrone” don Zame. È un fatto avvenuto molti anni prima, e che è stato all’origine della successiva vita di penitenza del povero Efix. L’uomo è stato sempre docile al suo destino, che sente fatalisticamente come fisso e immutabile, proprio come una canna al vento (rr. 12-13).
È come se la colpa di tanti anni prima – un conto non aggiustato, che bisognava aggiustare (r. 173) – lo trattenesse in vita, nella casa delle “padrone”. Per questo a un certo punto chiede del sacerdote. La scena della confessione non viene rappresentata né descritta, ma, dopo un’ellissi, apprendiamo che il sacramento è stato amministrato (Dopo la confessione non parlò più, non si lamentò più, r. 181). Ora che si è tolto quel peso dalla coscienza, l’anziano servo può finalmente morire in pace, non prima però di aver riepilogato in una frase sentenziosa la morale religiosa a cui ha improntato tutta la propria esistenza. Guardando il Crocifisso del rosario di madreperla dono di nozze di don Predu a Noemi, dice alla donna: Siamo nati per soffrire come Lui; bisogna piangere e tacere… (r. 296). È quello che lui ha fatto per tutta la vita. La sua morte avviene proprio nel giorno del matrimonio, quasi fosse un’offerta sacrificale (il sacrificio di sé) utile a riparare un antico torto e a permettere una nuova fase di felicità alla famiglia Pintor.
Le scelte stilistiche
Finito il lungo girovagare di Efix, l’ultima parte della sua vita si svolge nell’immobilità del giaciglio che si è scelto per morire, all’interno di casa Pintor. Tuttavia, allo spazio chiuso della cucina che lo ospita e che non viene neppure ripulita (come era consuetudine fare in occasione di una festa nuziale) per non disturbare il servo moribondo, si contrappone, nei sogni di Efix, lo spazio aperto della natura. Già prima del suo ritorno alla casa delle “padrone” il paesaggio veniva rappresentato in maniera liricizzante e visionaria: Verso sera il cielo si schiariva, tutto l’argento delle miniere del mondo s’ammucchiava a blocchi, a cataste sull’orizzonte; operai invisibili lo lavoravano, costruivano case, edifizi, intere città, e subito dopo le distruggevano e rovine e rovine biancheggiavano allora nel crepuscolo, coperte di erbe dorate, di cespugli rosei; passavano torme di cavalli grigi e neri, un punto giallo brillava dietro un castello smantellato e pareva il fuoco di un eremita o di un bandito rifugiatosi lassù: era la luna che spuntava (rr. 21-27). Del resto, come è stato scritto, Efix «vive in fantastica dimestichezza con i folletti, i giganti della montagna, i santi del cielo, i morti, vivi e veri per lui come le persone del presente» (Orsola Nemi).
La stessa modalità di raffigurazione della natura in una chiave animata e antropomorfizzata segna poi la fantasticheria del delirio di Efix morente: Le canne frusciavano, piegandosi fino a lui per toccarlo, per lambirlo con le foglie che avevano qualche cosa di vivo, come dita, come lingue. E gli parlavano, e una gli pungeva l’orecchio perché sentisse meglio (rr. 196-198). È, questa, una costante della narrativa di Grazia Deledda, che coglie negli elementi naturali, tutti percorsi da fremiti e presentimenti, la suggestiva presenza di entità misteriose: segno del superamento di una rappresentazione puramente veristica dell’ambiente, nella direzione invece di aperture decisamente simbolistiche e decadenti. Per questo si è parlato, a proposito dell’opera deleddiana, di un “naturalismo spirituale”, in cui predomina, sugli elementi oggettivi, il senso dell’occulto e dell’arcano.
VERSO LE COMPETENZE
COMPRENDERE
1 Riassumi il contenuto del brano in circa 10 righe.
2 Mentre Efix è prossimo a morire, in casa Pintor si preparano le nozze di donna Noemi con don Predu. Come vive il servo questa novità? Quali sono i suoi sentimenti? Rispondi facendo riferimento al testo.
3 Perché donna Ester, trovando Efix morto, si dispera? Che cosa rimprovera a sé stessa?
Analizzare
4 Individua alcune delle similitudini utilizzate dalla narratrice. In quale orizzonte sociale sembrano inserirsi? Come spieghi questa scelta?
Interpretare
5 Dice a un certo punto Noemi a Efix: Su bevi; che vuoi morire scapolo? (r. 86). Quale concezione sociale emerge da questa battuta?
6 È con Ester che don Predu parla per fissare le nozze con Noemi, pur essendo quest’ultima presente. Perché secondo te?
7 Ester, parlando a Efix morto, gli racconta come Noemi piangeva entrando nella sua ricca dimora. E aggiunge: piangeva tanto era felice, s’intende (r. 357). Ne siamo proprio sicuri? Come potremmo spiegare altrimenti il pianto della donna?
scrivere per…
confrontare
8 Il senso di una misteriosa animazione della natura, simile a quello che troviamo in questo brano di Grazia Deledda, è presente anche in molte poesie di Giovanni Pascoli. Facendo riferimento ai testi pascoliani letti, conduci un confronto tra i due autori su tale specifico tema in circa 20 righe.
Educazione CIVICA – Spunti di realtà
OBIETTIVO
8 LAVORO DIGNITOSO E CRESCITA ECONOMICA
Come tutti i personaggi della produzione deleddiana, anche Efix non concepisce l’idea di un’emancipazione, di un riscatto personale, di un’alternativa praticabile al proprio status. La condizione di subalternità che la vita e la società gli hanno imposto è per lui un destino da accettare senza empiti di ribellione ma con dignitoso fatalismo. Certo, si tratta di una prospettiva da inquadrare entro le coordinate storico-culturali della Sardegna d’inizio Novecento: una prospettiva destinata a entrare in crisi con l’avvento della società industriale, ma già messa in discussione dalla nostra Carta costituzionale che sottolinea la necessità che ogni individuo possa, migliorando il proprio stato, concorrere al progresso, anche materiale, della società.
• In che cosa consiste concretamente, a tuo giudizio, il progresso oggi? Come tale obiettivo può coniugarsi con l’idea di una cittadinanza sostenibile? In che modo il lavoro può costituire uno strumento essenziale per migliorare l’esistenza personale e collettiva? Ragiona su questi temi in un testo argomentativo.
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento