T2 - Per Vincenzo Caldesi otto mesi dopo la sua morte

T2

Per Vincenzo Caldesi otto mesi dopo la sua morte

Giambi ed epodi, 18

«E così se ne vanno i buoni, e rimane una gran canaglia che sta in agguato», scrive Carducci a un amico alla notizia della morte di Vincenzo Caldesi (1817-1870), garibaldino di Faen­za, combattente a difesa della Repubblica romana. Otto mesi dopo, nel marzo del 1871, quest’ode ne rievoca l’esempio eroico, il quale pare dimenticato da un’Italia indegna e meschina che ha tradito l’insegnamento e il coraggio dei patrioti morti per la sua libertà.


METRO Strofe di 4 versi di endecasillabi e settenari con rime alternate.

Dormi, avvolto nel tuo mantel di gloria

dormi, Vincenzio mio:

de’ ▶ subdoli e de’ fiacchi oggi è l’istoria

e de i forti l’oblio.


5      Deh non conturbi te questo ronzare

di menzogne e di vanti!

No, s’anco le tue zolle attraversare

potessero i miei canti


e su ’l disfatto cuor sonarti come

10    la favolosa tromba,

no, gridar non vorrei di Roma il nome

su la tua sacra tomba.


Pur, se chino su ’l tumolo romito

io con gentile orgoglio

15    dir potessi – Vincenzio, risalito

abbiamo il Campidoglio, –


tu scuoteresti via da le fredde ossa

il torpor che vi stagna,

tu salteresti su da la tua fossa,

20    o leon di Romagna,


per rivederla ancor, Roma, a cui ’l verbo

di libertà gittasti,

per difenderla ancor, Roma, a cui ’l nerbo

de la vita sacrasti.


25    Dormi, povero morto. Ancor la soma

ci grava del peccato:

impronta Italia domandava Roma,

Bisanzio essi le han dato.

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T3

Piemonte

Rime e ritmi, 5

Pur lontani dalla sensibilità dei lettori di oggi, questi versi restano comunque di grande interesse storico-documentario, non solo in quanto espressione dell’impegno civile dell’autore, ma anche (e forse soprattutto) come testimonianza di una mentalità e di un gusto tipici dell’Italia a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento. Iniziato da Carducci a Ceresole Reale (borgo dell’Alta Valle Orco, nel Torinese), nel luglio del 1890, il componimento viene ultimato nel mese di settembre dello stesso anno.


METRO Strofe saffiche.

Su le dentate scintillanti vette

salta il camoscio, tuona la valanga

da’ ghiacci immani rotolando per le

selve croscianti:


5      ma da i silenzi de l’effuso azzurro

esce nel sole l’aquila, e distende

in tarde ruote digradanti il nero

volo solenne.


Salve, Piemonte! A te con melodia

10    mesta da lungi risonante, come

gli epici canti del tuo popol bravo,

scendono i fiumi.


Scendono pieni, rapidi, gagliardi,

come i tuoi cento battaglioni, e a valle

15    cercan le deste a ragionar di gloria

ville e cittadi:

la vecchia Aosta di cesaree mura

ammantellata, che nel varco alpino

èleva sopra i barbari manieri

20    l’arco d’Augusto:


Ivrea la bella che le rosse torri

specchia sognando a la  cerulea Dora

nel largo seno, fosca intorno è l’ombra

di re Arduino:


25    Biella tra ’l monte e il verdeggiar de’ piani

lieta guardante l’ubere convalle,

ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti

camini ostenta:


Cuneo possente e pazïente, e al vago

30    declivio il dolce Mondovì ridente,

e l’esultante di castella e vigne

suol d’Aleramo;


e da Superga nel festante coro

de le grandi Alpi la regal Torino

35    incoronata di vittoria, ed Asti

repubblicana.

Fiera di strage gotica e de l’ira

di Federico, dal sonante fiume

ella, o Piemonte, ti donava il carme

40    novo d’Alfieri.


Venne quel grande, come il grande augello

ond’ebbe nome; e a l’umile paese

sopra volando, fulvo, irrequïeto,

– Italia, Italia –


45    egli gridava a’ dissueti orecchi,

a i pigri cuori, a gli animi giacenti.

– Italia, Italia – rispondeano l’urne

d’Arquà e Ravenna:


e sotto il volo scricchiolaron l’ossa

50    sé ricercanti lungo il cimitero

de la fatal penisola a vestirsi

d’ira e di ferro.

– Italia, Italia! – E il popolo de’ morti

surse cantando a chiedere la guerra;

55    e un re a la morte nel pallor del viso

sacro e nel cuore


trasse la spada. Oh anno de’ portenti,

oh primavera de la patria, oh giorni,

ultimi giorni del fiorente maggio,

60    oh trionfante


suon de la prima italica vittoria

che mi percosse il cuor fanciullo! Ond’io,

vate d’Italia a la stagion più bella,

in grige chiome


65    oggi ti canto, o re de’ miei verd’anni,

re per tant’anni bestemmiato e pianto,

che via passasti con la spada in pugno

ed il cilicio

al cristian petto, italo Amleto. Sotto

70    il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto

di Cuneo ’l nerbo e l’impeto d’Aosta

sparve il nemico.


Languido il tuon de l’ultimo cannone

dietro la fuga austriaca morìa:

75    il re a cavallo discendeva contra

il sol cadente:


a gli accorrenti cavalieri in mezzo,

di fumo e polve e di vittoria allegri,

trasse, ed, un foglio dispiegato, disse

80    resa Peschiera.


Oh qual da i petti, memori de gli avi,

alte ondeggiando le sabaude insegne,

surse fremente un sol grido: Viva

il re d’Italia!


85    Arse di gloria, rossa nel tramonto,

l’ampia distesa del lombardo piano;

palpitò il lago di Virgilio, come

velo di sposa


che s’apre al bacio del promesso amore:

90    pallido, dritto su l’arcione, immoto,

gli occhi fissava il re: vedeva l’ombra

del Trocadero.

E lo aspettava la brumal Novara

e a’ tristi errori mèta ultima Oporto.

95    Oh sola e cheta in mezzo de’ castagni

villa del Douro,


che in faccia il grande Atlantico sonante

a i lati ha il fiume fresco di camelie,

e albergò ne la indifferente calma

100 tanto dolore!


Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi

tra le due vite al re davanti corse

una miranda vision: di Nizza

il marinaro


105 biondo che dal Gianicolo spronava

contro l’oltraggio gallico: d’intorno

splendeagli, fiamma di piropo al sole,

l’italo sangue.


Su gli occhi spenti scese al re una stilla,

110 lenta errò l’ombra d’un sorriso. Allora

venne da l’alto un vol di spirti, e cinse

del re la morte.


Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,

quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria

115 diè a l’aure primo il tricolor, Santorre

di Santarosa.

E tutti insieme a Dio scortaron l’alma

di Carlo Alberto. – Eccoti il re, Signore,

che ne disperse, il re che ne percosse.

120 Ora, o Signore,


anch’egli è morto, come noi morimmo,

Dio, per l’Italia. Rendine la patria.

A i morti, a i vivi, pe ’l fumante sangue

da tutt’ i campi,


125 per il dolore che le regge agguaglia

a le capanne, per la gloria, Dio,

che fu ne gli anni, pe ’l martirio, Dio,

che è ne l’ora,


a quella polve eroica fremente,

130 a questa luce angelica esultante,

rendi la patria, Dio; rendi l’Italia

a gl’italiani.

 >> pagina 69

DENTRO IL TESTO

Abbiamo presentato insieme i due testi in quanto espressione dell’esperienza civile di Carducci nelle diverse fasi della sua carriera poetica e della sua militanza politica. Nel primo caso troviamo il poeta nei panni dell’“agitatore”, che denuncia la viltà e le incertezze del governo postunitario con sarcasmo e con un linguaggio violentemente realistico che rasenta (e quasi oltrepassa) i margini dell’invettiva; nel secondo caso Carducci ci appare, magniloquente e retorico, nella sua posa di celebratore dei miti ufficiali, di poe­ta vate cantore delle glorie nazionali. Da una parte il ribelle giacobino e democratico che sferza e accusa, dall’altra l’erede della grandezza antica e il garante dei valori civili, proposti al pubblico borghese dell’Italia umbertina.

Per Vincenzo Caldesi otto mesi dopo la sua morte

I contenuti tematici

Nel primo componimento, la figura di Vincenzo Caldesi viene presentata, come quelle di altri combattenti e martiri del Risorgimento, avvolta e protetta nella gloriosa atmosfera riservata agli eroi. Ma l’esaltazione del patriota diventa, in realtà, un pretesto per denunciare come il suo esempio di uomo forte e generoso sia del tutto dimenticato: prevalgono la furbizia, la mediocrità e un’ipocrita esibizione di falso patriottismo (questo ronzare / di menzogne e di vanti, vv. 5-6). Roma, per la quale egli ha speso il meglio dei suoi anni, è stata sì conquistata e sottratta al potere della Chiesa, ma senza gloria, attraverso un compromesso, per mezzo di un meschino risultato diplomatico ottenuto con il consenso dei francesi, tradizionali alleati della Santa Sede. La città simbolo per cui hanno dato la vita gli uomini del Risorgimento non assomiglia alla Roma dei fasti antichi: è invece una nuova Bisanzio, popolata da squallidi avventurieri e politicanti corrotti.

Le scelte stilistiche

L’indignazione del poeta sfocia qui, come in buona parte delle liriche della raccolta Giambi ed epodi, in una reazione che è, al tempo stesso, sferzante e amara. Come in ogni invettiva, che mette a confronto il passato e il presente, l’ideale e il reale (lo insegna l’amato modello Dante), l’espressione della collera richiede una resa stilistica e lessicale specifica. Del tutto estranee al tessuto aulico di altre liriche carducciane, troviamo qui diverse strategie formali, che sono specchio di altrettanti moti psicologici: l’intonazione affettuosa dei primi versi, resa dall’apostrofe (Vincenzio mio, v. 2) e dall’anafora (dormi, vv. 1-2); il disgusto, che trapela dalla minaccia dell’esclamazione e da immagini popolaresche (Deh non conturbi te questo ronzare / di menzogne e di vanti!, vv. 5-6); la commozione, che affiora dal dialogo del poeta con sé stesso (significativo il no che rivolge alle proprie intenzioni nei vv. 7 e 11) e con l’amico perduto, invocato come se fosse ancora vivo; la sicurezza di essere nel giusto, che cogliamo nelle ripetizioni sintattiche accorate (per rivederla ancor, v. 21; per difenderla ancor, v. 23) e nell’acredine esibita nei versi finali (impronta Italia domandava Roma, / Bisanzio essi le han dato, vv. 27-28).

 >> pagina 70

Piemonte

I contenuti tematici

Tipico risultato del “poeta professore” che forgia un canto epico a beneficio della patria, Piemonte presenta una serie di medaglioni e ritratti celebrativi delle glorie risorgimentali. L’autore procede per contiguità di immagini: dalle montagne (che danno il nome alla regione e che il poeta ammira dal suo rifugio estivo, nei pressi del Gran Paradiso) alle sue caratteristiche naturali (i camosci, le valanghe, le foreste, le aquile) e ai fiumi; dai fiumi alle città che sorgono sulle loro rive; dalle città ai relativi riferimenti storici: Aosta sta ad Augusto come Ivrea corrisponde subito ad Arduino ecc., fino ad Asti, città natale di Vittorio Alfieri. Quest’ultimo, eletto da tutta la nostra cultura risorgimentale a simbolo e anticipatore dell’Unità nazionale, suscita nel poeta il ricordo della Prima guerra d’indipendenza e in particolare di Carlo Alberto, accompagnato ora davanti a Dio dagli eroi piemontesi (primo fra tutti, Santorre di Santarosa) che, in nome del sangue versato sui campi di battaglia, implorano che l’Italia sia restituita per sempre agli italiani.

Le scelte stilistiche

Non abbiamo dubbi che la lettura dell’ode possa suscitare negli studenti lo stesso effetto provato da critici, anche autorevoli, che, proprio a partire da versi come questi, hanno parlato di Carducci come dell’espressione della «mediocrità culturale della nostra società postunitaria, retoricamente impegnata nel ricupero dei valori risorgimentali e classico-romani a rinforzo di un nazionalismo povero di contenuti» (Gioanola).

In effetti, l’ode può essere considerata una rassegna degli artifici tipici della pomposa tradizione civile italiana. L’oratoria solenne alla quale aspira il poeta si serve di tutto un armamentario stilistico, lessicale e retorico che schiaccia l’ispirazione sotto il grave peso di una cultura poderosa e di un’erudizione storica decisamente ampollosa. I lunghi periodi in cui la poesia si snoda accolgono figure convenzionali quali la prosopopea (il Piemonte e le sue città parlano e pulsano di vita propria), le esclamazioni, le ripetizioni, le metafore, i latinismi, il climax enfatico della preghiera finale con cui gli “spiriti magni” piemontesi chiedono a Dio la libertà dell’Italia.

 >> pagina 71

VERSO LE COMPETENZE

Per Vincenzo Caldesi otto mesi dopo la sua morte

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi dell’epodo.


2 In che modo il poeta si rivolge al patriota morto?

ANALIZZARE

3 Quali immagini ed espressioni poetiche evidenziano il divario tra passato glorioso e presente umiliante?

interpretare

4 Perché ai vv. 3-4 il poeta dice che de’ subdoli e de’ fiacchi oggi è l’istoria / e de i forti l’oblio?

scrivere per...

argomentare

5 A commento di questa poesia, Luigi Pirandello scriverà: «Questi versi risuonarono a lungo nel cuore di ciascuno di noi che non avevamo dismesso il sogno mazziniano: ci colpirono come una frustata ed ebbero una diffusione immediata». Come spieghi questa affermazione? Scrivi un testo argomentativo di circa 10 righe.

Piemonte

COMPRENDERE

6 Riassumi gli elementi paesaggistici descritti da Carducci nella parte iniziale della poesia.


7 A quali eventi storici fa riferimento il poeta?


8 Perché, secondo Carducci, Dio deve restituire l’Italia agli italiani?


9 Fai la parafrasi dei vv. 117-132.

ANALIZZARE

10 Ai vv. 7-8 troviamo l’espressione nero / volo. Di quale figura retorica si tratta? Come spieghi l’immagine usata da Carducci?


11 Individua le anastrofi e gli iperbati nei vv. 93-116.


12 Elenca i personaggi storici e letterari citati o evocati dal poeta, precisandone la funzione nel testo.

INTERPRETARE

13 Quale immagine dell’autore emerge da questo testo?

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

Al di là della forma antiquata in cui viene espresso da Carducci, ritieni che il patriottismo sia un valore ancora attuale? La nostra Costituzione cita in sole due disposizioni normative la parola “Patria” ma lo fa usando la “p” iniziale con la lettera maiuscola, dando un carattere morale a questo concetto.


• Anche per te l’idea di “patria” costituisce un valore tanto alto? Può ancora manifestarsi oggi un sentimento di orgoglio nazionale e, se sì, in quale modo? Oppure ritieni che in un mondo globalizzato e interconnesso come quello in cui viviamo l’idea di “patria” sia qualcosa di superato? Scrivi in proposito un testo argomentativo.

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento