CRITICI A CONFRONTO - Carlo Salinari e Simona Costa - Un artista inautentico o una pietra miliare della letteratura italiana?

CRITICI A CONFRONTO

Carlo Salinari e Simona Costa

Un artista inautentico o una pietra miliare della letteratura italiana?

Nonostante la critica abbia abbandonato alcune fuorvianti posizioni tendenti a catalogare l’opera di d’Annunzio all’interno di schemi precostituiti, il dibattito sulla sua figura e sulla sua produzione letteraria è ancora aperto. Mentre da decenni si assiste a una nuova fioritura di studi e indagini a tutto campo, è interessante mettere a confronto il contributo di due validi studiosi, appartenenti a generazioni diverse: il primo, Carlo Salinari (1919-1977), si concentra sul carattere del superomismo dannunziano, che considera l’espressione velleitaria di un’irrealizzata aspirazione alla grandezza e il frutto di un disegno destinato a fallire e a indurre stanchezza perfino nell’autore. Il secondo brano è invece opera di Simona Costa (n. 1948), che a consuntivo di una sua importante monografia mette in luce il ruolo di d’Annunzio nella poesia italiana come vero e proprio “capostipite novecentesco”.

Carlo Salinari

Da un simile atteggiamento velleitario che investe tutta la personalità di d’Annunzio deriva, dunque, quanto di troppo, di falso, di letterario noi troviamo quasi sempre nella sua opera. Lo sforzo di superare quella proporzione connatura al suo stesso mondo idea­le e alla sua stessa sensibilità non può che condurre a una dilatazione artificiosa degli atteggiamenti, delle situazioni, delle immagini, della parole. Ma da quell’atteggiamento velleitario derivano anche i rari momenti di autenticità nella produzione dannunziana. Perché è proprio dalla tensione superomistica che nasce di tanto in tanto un desiderio di quiete, di pausa, di tregua, che non giunge quasi mai alla coscienza della velleità (se questo fosse avvenuto d’Annunzio ci avrebbe dato uno dei motivi più tragici del nostro tempo), ma si manifesta più semplicemente in una sorta di ripiegamento in se stesso e di rifugio nelle memorie dell’infanzia, in un vagheggiamento non più panico ma nostalgico della natura, in una tristezza più umana nutrita d’insoddisfatta delusione, in uno stile da taccuino, modesto e quasi nudo, eppure profondamente musicale. L’allentamento della tensione superomistica, un barlume di coscienza della sua inanità, un atteggiamento di frustrazione è all’origine dei vari momenti in cui d’Annunzio si sottrae a quella sproporzione: delusione e aurorale consapevolezza del proprio velleitarismo che sorgono come antitesi dialettica del superuomo e che, quindi, senza la presenza del superuomo non sarebbero concepibili.


(Carlo Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano, Feltrinelli, Milano 1960)

Simona Costa

Come era nei voti di Gianfranco Contini, che già nella sua antologia del 1968 richiedeva alla critica di dismettere i criteri selettivi e di puntare sull’unità dannunziana, l’attenzione a d’Annunzio tende a recuperarne l’intera parabola senza soluzione di continuità, colmandone le lacune di interesse critico (come per il d’Annunzio francese), seguendone la fitta intertestualità e rintracciando senso e direzione di un inesausto sperimentalismo fra tradizione e trasgressione. I conti non sembrano ancora definitivamente chiusi e grazie a una rinnovata acribia testuale, forte di indagini filologiche, variantistiche e di ricostruzione documentaria, i testi offrono rinnovate chiavi di lettura e affermano in pieno il loro tempestivo inserimento e la loro centralità nel panorama internazionale, nonché la loro diffusiva irradiazione nella nostra tradizione novecentesca. Insomma, se la Francia ha avuto il suo Victor Hugo che Baudelaire ha dovuto attraversare per fondare la nuova poesia, anche per noi, come affermava negli anni Cinquanta Montale, è stato necessario «attraversare d’Annunzio» con il suo esaustivo sperimentalismo linguistico e prosodico per approdare a nuovi territori. In tal senso, dichiara Montale, «non aver appreso nulla da lui sarebbe un pessimo segno»: ed è proprio partendo da tali affermazioni che la critica, sganciandosi da ipoteche ideologiche, ha potuto oggi restituire a pieno a d’Annunzio il suo ruolo di capostipite novecentesco.


(Simona Costa, D’Annunzio, Salerno, Roma 2012)

PER DISCUTERNE

Dopo aver letto alcune pagine dannunziane, ti sarai fatto un’idea delle caratteristiche della sua arte. Ritieni che il giudizio ideologico su un autore inevitabilmente finisca per condizionare anche quello letterario? Fino a che punto ciò è lecito e opportuno? Discuti in classe su questo problema che, del resto, non riguarda solo l’autore di Alcyone ma anche moltissimi altri scrittori e poeti del passato, come del presente.

Il magnifico viaggio - volume 5
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Dal secondo Ottocento al primo Novecento