Il Notturno e le ultime opere
La Leda senza cigno
Si tratta di un racconto lungo (o romanzo breve), edito nel 1916, su una figura femminile bella e misteriosa – che ricorda al narratore una statua della donna trasformata in cigno da Zeus (di qui il titolo) – la quale vive una torbida e tragica esistenza, dalla rovina economica del padre a un fatale incontro con un uomo che la ricatta fino a costringerla al suicidio. La smilza struttura dell’intreccio costituisce però il pretesto per un susseguirsi di riflessioni e divagazioni, con un linguaggio talora privo di orpelli.
Le faville del maglio
Con questo titolo vengono raccolte in due volumi distinti, Il venturiero senza ventura (1924) e Il compagno dagli occhi senza cigli (1928), le prose pubblicate dal poeta sul “Corriere della Sera” tra il 1911 e il 1914. Il titolo allude alle scintille provocate dai colpi del martello sul metallo incandescente, metafora della creazione nell’“officina” poetica. I brani hanno una chiara impronta autobiografica: rapide annotazioni, ricordi e confessioni, concentrate sull’autoanalisi psicologica. In questi abbozzi descrittivi e antinarrativi le pose dell’eroe inimitabile si attenuano a contatto con una disposizione più riflessiva, non priva di una sottile vena di angoscia.
Notturno
Come accennato, un incidente aereo, subìto nel gennaio 1916 al termine di uno dei suoi voli di guerra, costringe per tre mesi d’Annunzio a stare immobile e con gli occhi bendati per salvare l’occhio sinistro. In questa situazione il poeta scrive una serie di pensieri, ricordi, descrizioni e visioni su migliaia di strisce di carta (i cosiddetti «cartigli») che la figlia Renata, ribattezzata affettuosamente «la Sirenetta», ritaglia per lui. L’opera, composta a Venezia dal febbraio al maggio del 1916, viene pubblicata nel 1921 e pubblicizzata come il «commentario della tenebra».
Tuttavia, anche in questa posa così debole e stanca, d’Annunzio rimane sempre d’Annunzio. Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà, il poeta cerca di scandagliare la propria interiorità, saggiando le inedite sensazioni di chi scopre la nuova fisicità di una «creatura terrestre» insonne e sofferente, che vive – e sente – il proprio corpo costretto in una sorta di letto-bara.
Al mito – sebbene mito rovesciato – egli, insomma, non rinuncia: il “Comandante” senza vista che scrive al buio le sue sensazioni possiede invero la vista lunga del vaticinatore, dell’oracolo che legge la realtà sotto le apparenze, la scompone e la porge in frammenti ai comuni mortali. La componente sublime dell’arte dannunziana, apparentemente consumata, si mantiene invece intatta: sotto altra veste questo straordinario illusionista della parola conserva gli attributi del poeta artefice e veggente a cui è permesso esprimere ogni esperienza, anche la più oscura.
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento