T9 ANALISI ATTIVA - Meriggio

T9

Meriggio

Alcyone

Composta tra il luglio e l’agosto del 1902, la lirica rappresenta forse l’espressione più compiuta del panismo dannunziano. Il poeta, disteso su una spiaggia presso la foce dell’Arno, si fonde con l’acqua e con la sabbia, fino a identificarsi totalmente con la natura.


Metro 4 strofe di 27 versi liberi ciascuna, variamente rimati e assonanti. Conclude il componimento un verso isolato.

A mezzo il giorno

sul Mare etrusco

pallido verdicante

come il dissepolto

5      bronzo dagli ipogei, grava

la bonaccia. Non bava

di vento intorno

alita. Non trema canna

su la solitaria

10    spiaggia aspra di rusco,

di ginepri arsi. Non suona

voce, se ascolto.

Riga di vele in panna

verso Livorno

15    biancica. Pel chiaro

silenzio il Capo Corvo

l’isola del Faro

scorgo; e più lontane,

forme d’aria nell’aria,

20    l’isole del tuo sdegno,

o padre Dante,

la Capraia e la Gorgona.

Marmorea corona

di minaccevoli punte,

25    le grandi Alpi Apuane

regnano il regno amaro,

dal loro orgoglio assunte.

La foce è come salso

stagno. Del marin colore,

30    per mezzo alle capanne,

per entro alle reti

che pendono dalla croce

degli staggi, si tace.

Come il bronzo sepolcrale

35    pallida verdica in pace

quella che sorridea.

Quasi letèa,

obliviosa, eguale,

segno non mostra

40    di corrente, non ruga

d’aura. La fuga

delle due rive

si chiude come in un cerchio

di canne, che circonscrive

45    l’oblìo silente; e le canne

non han susurri. Più foschi

i boschi di San Rossore

fan di sé cupa chiostra;

ma i più lontani,

50    verso il Gombo, verso il Serchio,

son quasi azzurri.

Dormono i Monti Pisani

coperti da  inerti

cumuli di vapore.

55    Bonaccia, calura,

per ovunque silenzio.

L’Estate si matura

sul mio capo come un pomo

che promesso mi sia,

60    che cogliere io debba

con la mia mano,

che suggere io debba

con le mie labbra solo.

Perduta è ogni traccia

65    dell’uomo. Voce non suona,

se ascolto. Ogni duolo

umano m’abbandona.

Non ho più nome.

E sento che il mio volto

70    s’indora dell’oro

meridiano,

e che la mia bionda

barba riluce

come la paglia marina;

75    sento che il lido rigato

con sì delicato

lavoro dall’onda

e dal vento è come

il mio palato, è come

80    il cavo della mia mano

ove il tatto s’affina.

E la mia forza supina

si stampa nell’arena,

diffondesi nel mare;

85    e il fiume è la mia vena,

il monte è la mia fronte,

la selva è la mia pube,

la nube è il mio sudore.

E io sono nel fiore

90    della stiancia, nella scaglia

della pina, nella bacca

del ginepro: io son nel fuco,

nella paglia marina,

in ogni cosa esigua,

95    in ogni cosa immane,

nella sabbia contigua,

nelle vette lontane.

Ardo, riluco.

E non ho più nome.

100 E l’alpi e l’isole e i golfi

e i capi e i fari e i boschi

e le foci ch’io nomai

non han più l’usato nome

che suona in labbra umane.

105 Non ho più nome né sorte

tra gli uomini; ma il mio nome

è Meriggio. In tutto io vivo

tacito come la Morte.

E la mia vita è divina.

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ANALISI ATTIVA

I contenuti tematici

È il cuore dell’estate, il mezzogiorno di una giornata torrida, quando il sole è più alto e tutto è immobile, come folgorato dai raggi brucianti del sole, annullato in un’atmosfera impietrita e in un silenzio assoluto, dove perfino il flusso vitale sembra essersi arrestato. Il poeta, solo, senza la consueta presenza femminile che lo accompagna, è sdraiato sulla spiaggia e avverte gradualmente che ogni pensiero umano lo sta abbandonando. I suoi sensi si smarriscono, fondendosi in una lenta metamorfosi con la natura, il mare, il fiume, la sabbia. La sua è una fusione totale, che coinvolge il corpo, dissolto nel respiro senza tempo del paesaggio, ma anche la coscienza e la mente, assorbite nel ciclo della vita e della morte che regola l’universo.

1. Perché si può affermare che le prime due strofe hanno un carattere descrittivo?

La lirica segue passo passo le fasi di questa progressiva perdita d’identità e può essere divisa in due parti, costituite rispettivamente dalle prime due strofe e dalle ultime due. Nella prima parte troviamo la descrizione della natura, nella quale sta per compiersi il miracolo dell’esperienza panica. Il paesaggio viene delineato mediante espressioni negative (Non bava / di vento intorno / alita. Non trema canna… Non suona / voce, vv. 6-12; segno non mostra / di corrente, non ruga / d’aura, vv. 39-41): l’anafora della negazione sottolinea la completa assenza di suoni e movimenti, condizione essenziale perché inizi il rito della metamorfosi. La funzione descrittivo-contemplativa è poi esplicitata dalla precisione con cui d’Annunzio indica i luoghi geografici che fanno da sfondo all’estasi panica (Capo Corvo, le isole Capraia e Gorgona, le Alpi Apuane).

2. I luoghi citati dal poeta sono spesso accompagnati da elementi che rimandano a un lontano passato: individuali e spiegane la funzione.

Le ultime due strofe descrivono invece l’identificazione del poeta con la natura: dopo la ripresa del contesto ambientale e stagionale (Bonaccia, calura, / per ovunque silenzio, vv. 55-56), il processo può finalmente compiersi. Nella terza strofa, l’immedesimazione avviene sul piano della sensazione soggettiva e della comparazione: infatti troviamo espressioni ripetute quali sento che (v. 69) o è come (v. 78), che mostrano come la scomposizione degli elementi corporei non sia ancora compiuta e le due parti – l’uomo e la natura – siano ancora distinte.

Nella quarta strofa la fase preparatoria è ormai terminata e la metamorfosi può completarsi sia sul piano fisico sia su quello spirituale. Il poeta non esiste più, ma si è tramutato in ciascuna delle diverse entità nominate in precedenza (e il fiume è la mia vena, / il monte è la mia fronte… ecc., vv. 85-88; io sono nel fiore… io son nel fuco… in ogni cosa esigua, / in ogni cosa immane… ecc., vv. 89-97): senza più nome né identità personale (Non ho più nome, E non ho più nome, Non ho più nome né sorte / tra gli uomini, vv. 68, 99, 105-106), egli è uscito dal mondo sensibile per diventare parte del tutto, in una dimensione di infinito che gli permette di raggiungere l’eternità.

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3. È possibile affermare che, nell’ultima strofa, non solo l’uomo diventa natura, ma la natura diventa uomo? perché?

La perdita dell’individualità del poeta si consuma dunque in un abbraccio cosmico con le forze della natura, grazie al quale egli può davvero vincere i limiti umani. Come si vede, anche una poesia come Meriggio – che, a differenza della Sera fiesolana o della Pioggia nel pineto, non conserva traccia di erudizione mitologica (con la sola eccezione, al v. 37, di un riferimento alle acque del Lete) o di vagheggiamento erotico – celebra il potenziamento delle energie del poeta, esaltate in tutta la loro pienezza vitale. Il fatto che questa comunione lo dissolva nella vita della natura e anche nella morte (In tutto io vivo / tacito come la Morte, scrive ai vv. 107-108) non limita, bensì accentua il suo privilegio di perdersi nella natura, ma anche di inglobare quest’ultima in sé stesso. In tal senso l’avventura panica si conferma una volta ancora come una straordinaria esperienza riservata al solo superuomo grazie alla pienezza eccezionale del suo vitalismo.

4. Quale rapporto si instaura tra vita divina (v. 109) e Morte? Esponi le tue considerazioni.


5. Chiarisci il significato dell’aggettivo divina nell’ultimo verso del componimento.

Le scelte stilistiche

Le prime due strofe si esauriscono nella descrizione raffinata ma misurata dell’incanto paesaggistico, insistendo sulle sensazioni di silenzio (Non suona / voce, vv. 11-12; Pel chiaro / silenzio, vv. 15-16; La foce […] si tace, vv. 28-33 ecc.), su un’atmosfera di immobilità totale (Non bava / di vento intorno / alita, vv. 6-8; Riga di vele in panna, v. 13; grava / la bonaccia, vv. 5-6 ecc.) e di diffuso chiarore (pallido verdicante, v. 3; biancica, v. 15; Pel chiaro / silenzio, vv. 15-16).

Nella seconda parte della poesia invece compaiono soluzioni espressive che lasciano emergere l’ideologia superomistica dannunziana. Qui vengono esasperati gli espedienti retorici fino a rendere enfatico il discorso: espansioni a catena spesso incentrate sulla dimensione dell’io (che… che… che…, vv. 59 ss.; E sento che… e che… sento che…, vv. 69 ss.; E io sono nel… della… nella… della… ecc., vv. 89 ss.), ripetizioni, enumerazioni, polisindeti, simmetrie analogiche (è come… è come…, vv. 78 ss.; il fiume è… è… è… ecc., vv. 85 ss.). Sono tutte soluzioni che «risultano più eloquenti ed oratorie che liriche, in linea con l’inevitabile superomismo della situazione» (Roncoroni).

6. Individua nel testo alcuni esempi di lessico aulico e arcaizzante.


7. Trova almeno un esempio delle seguenti figure retoriche:

a. sinestesia; b. figura etimologica; c. allitterazione; d. similitudine.

Il magnifico viaggio - volume 5
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Dal secondo Ottocento al primo Novecento