Le opere del periodo della "bontà"

Le opere del periodo della «bontà»

Abbandonate le atmosfere sensuali del periodo romano, d’Annunzio si misura con motivi più intimistici, nel tentativo di recuperare l’innocenza e la sobrietà (la «bontà») perdute durante le avventure galanti e mondane nella capitale. In questa fase (1892-1893) lo scrittore soggiorna a Napoli dove scrive due romanzi e una raccolta poetica.

Giovanni Episcopo e L’innocente

Pubblicati nel 1892, entrambi i romanzi sono incentrati sul motivo della colpa e del castigo, che d’Annunzio rielabora a partire dalla lettura dei capolavori russi di Lev Tolstoj e Fëdor Dostoevskij.

La svolta rispetto alle atmosfere estetizzanti del Piacere è introdotta dall’autore nella dedica del Giovanni Episcopo alla scrittrice e giornalista Matilde Serao, in cui sottolinea l’esigenza di una maggiore aderenza alla realtà: «Bisogna studiare gli uomini e le cose direttamente, senza trasposizione alcuna». Il protagonista, il modesto impiegato che dà il titolo al romanzo, è succube di Giulio Wanzer, un collega che gli infligge le peggiori crudeltà, arrivando anche a sedurre sua moglie. Quando però l’uomo si spinge fino a picchiare il figlio di Giovanni, questi, come colto da un raptus che lo libera dall’apatia, lo pugnala a morte.
Anche L’innocente è la storia di un delitto, che il protagonista, Tullio Hermil, confessa un anno dopo il suo compimento. L’uomo è un intellettuale dissoluto, sposato con Giuliana, che costringe a umiliazioni continue. Quando la moglie però sta per dare alla luce un bambino, frutto dell’unico tradimento di cui si è macchiata, Tullio si riavvicina a lei, come per un bisogno di autopunizione e purificazione. Dopo il parto, egli concepisce e mette in pratica un terribile disegno: uccidere il bambino, esponendolo al gelo nella notte di Natale. Solo in tal modo egli è convinto di poter ripristinare il rapporto con la moglie. L’infanticidio avviene infatti con la complicità di Giuliana, che accetta silenziosamente la morte del piccolo “innocente”, intruso suo malgrado all’interno di un amore malato.

Poema paradisiaco

La raccolta, edita nel 1893, è divisa in 3 sezioni: Hortus conclusus (Giardino chiuso), Hortus larvarum (Giardino delle larve) e Hortulus animae (Piccolo giardino dell’anima). Il tema del giardino (richiamato già dal titolo: paràdeisos in greco significa appunto “giardino”) allude al ritorno alla natura e alla purezza degli affetti semplici, ricercati in questa fase dal poeta.

Tale anelito alla semplicità si risolve in toni estenuati: non a caso, l’atmosfera di raccoglimento e nostalgia che si respira nella raccolta e le scelte stilistiche adottate – ossia una sintassi espressiva quasi cantilenante e un lessico languido, reso malinconicamente musicale dalle ripetizioni e dalle assonanze – piaceranno ai poeti crepuscolari del primo Novecento, che ne riprodurranno tematiche e suggestioni.

Come capita sempre nella produzione dannunziana, e qui in modo particolare, occorre però fare attenzione a questa esibita ricerca di purezza. L’intento di rientrare in un paradiso di semplicità e di pace, in contrasto con il tumulto dei sensi in cui lo scrittore ha consumato la giovinezza, è infatti dichiarato con accenti retorici troppo scoperti per non rivelarne l’ambiguità: d’Annunzio in realtà è ben lontano dal rinunciare al proprio estetismo e alla propria abilità di sperimentatore di stili ed emozioni.

L’estetismo dannunziano, cioè, non entra davvero in crisi, ma introduce un’ulteriore aggiunta all’esplorazione dell’esistenza. Il tono elegiaco e l’atmosfera stanca e malinconica che si colgono in queste pagine non cancellano dunque il sospetto della falsità: il poeta è pronto di nuovo a cambiare maschera e, mentre recita un inno alla fratellanza e ai buoni sentimenti, sta già preparando il campo a una nuova versione di sé stesso, quella del superuomo, seguace (a modo suo) di Wagner e di Nietzsche.

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T4

Consolazione

Poema paradisiaco

Nel Poema paradisiaco troviamo un d’Annunzio apparentemente diverso rispetto a quello della produzione poetica precedente, caratterizzata da temi scandalosi nonché da un linguaggio estremamente aulico e raffinato. Qui il poeta ricerca un sermo prosaico in contrasto con le leziose preziosità dell’esteta: un’atmosfera languida e nostalgica avvolge l’io lirico che dopo tanti stravizi torna nei panni del “pentito” alla salvifica casa natale, per ricercarvi la purezza e l’innocenza perdute. Consolazione, composta nel gennaio del 1891, costituisce l’esempio più noto e riuscito di questa raccolta, destinato a essere apprezzato dai poeti cosiddetti “Crepuscolari” d’inizio Novecento, che ne imiteranno il tono prosastico e lo stile stanco e dimesso.


METRO Quartine di endecasillabi a rime incrociate, secondo lo schema ABBA.

Non pianger più. Torna il diletto figlio

a la tua casa. È stanco di mentire.

Vieni, usciamo. Tempo è di rifiorire.

Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.


5      Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato

serba ancóra per noi qualche sentiero.

Ti dirò come sia dolce il mistero

che vela certe cose del passato.


Ancóra qualche rosa è ne’ rosai,

10    ancóra qualche timida erba odora.

Ne l’abbandono il caro luogo ancóra

sorriderà, se tu sorriderai.


Ti dirò come sia dolce il sorriso

di certe cose che l’oblìo afflisse.

15    Che proveresti tu se ti fiorisse

la terra sotto i piedi, all’improvviso?

Tanto accadrà, ben che non sia d’aprile.

Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento

sol di settembre, e ancor non vedo argento

20    su ’l tuo capo, e la riga è ancor sottile.


Perché ti neghi con lo sguardo stanco?

La madre fa quel che il buon figlio vuole.

Bisogna che tu prenda un po’ di sole,

un po’ di sole su quel viso bianco.


25    Bisogna che tu sia forte; bisogna

che tu non pensi a le cattive cose...

Se noi andiamo verso quelle rose,

io parlo piano, l’anima tua sogna.


Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,

30    tutto sarà come al tempo lontano.

Io metterò ne la tua pura mano

tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.


Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.

In una vita semplice e profonda

35    io rivivrò. La lieve ostia che monda

io la riceverò da le tue dita.


Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.

lo parlo. Di’: l’anima tua m’intende?

Vedi? Ne l’aria fluttua e s’accende

40    quasi il fantasma d’un april defunto.


Settembre (di’: l’anima tua m’ascolta?)

ha ne l’odore suo, nel suo pallore,

non so, quasi l’odore ed il pallore

di qualche primavera dissepolta.


45    Sogniamo, poi ch’è tempo di sognare.

Sorridiamo. E la nostra primavera,

questa. A casa, più tardi, verso sera,

vo’ riaprire il cembalo e sonare.

Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava,

50    allora, qualche corda; qualche corda

ancóra manca. E l’ebano ricorda

le lunghe dita  ceree de l’ava.


Mentre che fra le tende scolorate

vagherà qualche odore delicato,

55    (m’odi tu?) qualche cosa come un fiato

debole di viole un po’ passate,


sonerò qualche vecchia aria di danza,

assai vecchia, assai nobile, anche un poco

triste; e il suon sarà velato, fioco,

60    quasi venisse da quell’altra stanza.


Poi per te sola io vo’ comporre un canto

che ti raccolga come in una cuna,

sopra un antico metro, ma con una

grazia che sia vaga e negletta alquanto.


65    Tutto sarà come al tempo lontano.

L’anima sarà semplice com’era;

e a te verrà, quando vorrai, leggera

come vien l’acqua al cavo de la mano.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Il giardino appassito, le viole sfatte, le stanze vuote, le tende scolorate (v. 53), un vecchio cembalo: sono piccole cose abbandonate ad accogliere il poeta, figliol prodigo atteso dalla madre ormai pallida e sfiorita. Una stagione ambigua e velata sembra complice di questo ritorno al nido familiare: è settembre, sì, ma l’aria ha la molle dolcezza della primavera, benché di una primavera dissepolta (v. 44) e di un april defunto (v. 40). Ovunque campeggiano segni di morte, trame di oggetti consunti che ricordano il precipitare lento delle cose e dei ricordi verso il nulla: il recupero dell’innocenza che l’io lirico insegue, promettendo alla madre di tornare buono e pio dopo tante falsità e ipocrisie, si scontra con il dilagare della decadenza e con i simboli di disfacimento che pervadono il componimento.

 >> pagina 567

È possibile dunque rifiorire davvero? Ora che la città, la mondanità e le sue tentazioni sono lontane, c’è da credere alla conversione spirituale del poeta? Le allusioni religiose estetizzanti ci inducono a sospettare della sincerità di questa regressione all’infanzia: la madre assume la finzione di sacerdotessa di un rito; è lei che offre al figlio la comunione di un’ostia rigeneratrice. Ma tra i due, in realtà, non c’è dialogo: il poeta, che le assicura di essere cambiato (e per questo, le chiede di non pensare più a le cattive cose, v. 26), le domanda se lo sta capendo (Di’: l’anima tua m’intende?, v. 38), ascoltando (di’, l’anima tua m’ascolta?, v. 41) o almeno sentendo (m’odi tu?, v. 55). In fondo, la presenza della donna è eterea, forse solo immaginata (è un’anima, v. 29, più che una creatura in carne e ossa), mentre piano piano la figura dell’io poetico, in un primo momento distanziata dalla terza persona, diventa l’unico elemento dominante (io parlo, v. 28; Io metterò, v. 31; Io vivrò, v. 33).

Il miracolo – egli ci dice – alla fine si compirà: il rito della purificazione avverrà per mezzo dell’acqua che monda i peccati, secondo una precisa simbologia liturgica e sacramentale. Ma la cerimonia della rinascita non può che essere officiata con i soli strumenti che d’Annunzio conosce e sublima: la parola, la musica (grazie al cembalo, memoria del clima domestico che fu) e la poesia, prodotta da una grazia che sia vaga e negletta alquanto (v. 64).

Le scelte stilistiche

Come il contenuto, anche l’aspetto formale del testo ha molto di ambiguo. L’abbassamento di tono e di registro è ottenuto attraverso molteplici espedienti: la quotidianità del lessico, il ritmo colloquiale scandito da frasi brevissime e dalla punteggiatura che interrompe il fluire del discorso, l’ossessiva presenza delle figure di ripetizione come anafore (vv. 3-5; vv. 7-13; vv. 9-10; vv. 30-32; vv. 33-37) e anadiplosi (vv. 23-24; vv. 28-29; vv. 29-30) che danno al componimento l’andamento della cantilena, la frequenza delle interrogazioni e delle forme esortative (Non pianger più, v. 1; Vieni, usciamo, vv. 3 e 5; Sogna, sogna!, v. 33; Sogniamo, v. 45; Sorridiamo, v. 46), le forti pause che spezzano il verso in diversi periodi conferendo all’endecasillabo il ritmo modesto della conversazione.

Questi artifici tuttavia non sono l’effetto di una poetica spontanea o immediata: al contrario, essi sono il frutto di una tecnica finalizzata a generare una melodia estenuata che trasmetta la sensazione di una voluttuosa convalescenza. Le continue riprese, le simmetrie e i parallelismi rintracciabili nella lirica (dal pallore della madre, su cui il poeta indugia nella prima e nella sesta strofa, all’insistenza sul tema della rinascita, che innerva tutto il componimento) contribuiscono a creare un’atmosfera di malìa e di arcano sortilegio: la bontà e l’innocenza sono immersi – inevitabilmente – nella dimensione, favolosa ma anche fittizia, della letteratura. Al potere dell’arte d’Annunzio non rinuncia neanche ora.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Qual è il significato del titolo?


2 Riassumi il componimento in 10 righe.

Analizzare

3 L’aggettivo dolce è ripetuto due volte, a poca distanza, al v. 7 e al v. 13, prima a definire il mistero e poi il sorriso. In entrambi i casi, quale figura retorica riconosci e quale funzione essa svolge?


4 Come abbiamo indicato in nota, l’ebano (v. 51) sta a indicare i tasti neri del cembalo. Quale figura retorica usa in questo caso d’Annunzio?

  • a Personificazione.
  • b Metonimia.
  • c Metafora.
  • d Analogia.


5 Il testo presenta un numero cospicuo di enjambement, ma quello che trovi ai vv. 63-64 è davvero particolare. Perché?


6 Insieme ai termini più quotidiani e dimessi che caratterizzano il lessico della poesia, compaiono anche vocaboli più preziosi. Quali sono e quali effetti determinano?


7 Individua le espressioni che conferiscono al componimento sfumature funebri.


8 Quali scelte espressive vengono privilegiate dal poeta nel comporre l’immagine materna?


9 Un altro motivo centrale della poesia è il ricordo. Quali immagini rimandano al passato del poeta?

 >> pagina 568

Interpretare

10 Che cosa significa, a tuo giudizio, che l’io lirico è stanco di mentire (v. 2)?


11 Il suono del cembalo che il poeta promette di usare sarà così poco percettibile che parrà giungere da quell’altra stanza (v. 60). Che cosa sta a significare questa metafora?


12 Nella penultima quartina è possibile leggere una precisa dichiarazione di poetica, con la quale l’autore definisce le proprie scelte stilistiche. Spiegane il significato.

scrivere per...

confrontare

13 Il componimento appare come un inno alla purezza e agli affetti della casa e della famiglia: temi, questi, tradizionalmente considerati tipici di Pascoli. Metti in evidenza in un testo di circa 30 righe le analogie e le differenze tra la visione pascoliana e quella dannunziana.


14 Alcuni critici hanno individuato precise rispondenze simboliche tra Consolazione e Languore dell’autore francese Verlaine ( T8, p. 383). Sviluppa il confronto tra questi testi in circa 20 righe.

T5

O giovinezza!

Poema paradisiaco

La giovinezza è giunta al tramonto e il poeta sente, accanto al venir meno del turbine delle passioni, un bisogno di serenità e di riconciliazione con il mondo. Inserito nella sezione di chiusura (Epilogo) del Poema paradisiaco, questo sonetto ne esprime a pieno l’atmosfera di pace ed estenuata malinconia.


Metro Sonetto con schema di rime ABBA, ABBA, CDE, CDE.

O Giovinezza, ahi me, la tua corona

su la mia fronte già quasi è sfiorita.

Premere sento il peso de la vita,

4      che fu sì lieve, su la fronte prona.


Ma l’anima nel cor si fa più buona,

come il frutto maturo. Umile e ardita,

sa piegarsi e resistere; ferita,

8      non geme; assai comprende, assai perdona.


Dileguan le tue brevi ultime aurore,

o Giovinezza; tacciono le rive

11    poi che il tonante vortice dispare.


Odo altro suono, vedo altro bagliore.

Vedo in occhi fraterni ardere vive

14    lacrime, odo fraterni petti ansare.

 >> pagina 569

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Il poeta sente che la giovinezza sfiorisce, ma le passioni e la spensieratezza che sta perdendo sono sostituite da un bene prezioso, acquistato con il maturare dell’età: la bontà d’animo. Ora il suo cuore, lontano dall’impetuoso tumulto dei piaceri sensuali, si acquieta, rifiutando inutili ribellioni (Umile, v. 6), resistendo alle ultime illusioni (ardita, v. 6), capace di soffrire in silenzio (ferita, / non geme, vv. 7-8). La tranquillità raggiunta gli permette così di prestare ascolto al prossimo e di comprendere, grazie a un nuovo sentimento di fratellanza, il dolore e l’infelicità degli altri uomini.

Con una punta di maliziosa perfidia, il più famoso biografo di d’Annunzio, lo scrittore Piero Chiara, lega l’ispirazione di questa poesia all’incipiente calvizie del poeta (così andrebbe interpretata l’immagine iniziale della corona sfiorita sulla fronte, vv. 1-2). Riferimenti biografici a parte, la dimensione portante del sonetto e di tutto il Poema paradisiaco è costituita dal mito della rinascita dell’anima, non più orgogliosa ed egocentrica, ma buona e misericordiosa. Il trentenne d’Annunzio ostenta qui, con la consueta abilità camaleontica, sentimenti languidi e pietosi, offrendo ai poeti futuri un ricco campionario di lacrime e stanchezze a cui attingere ampiamente: poesie come questa, e come Hortus conclusus, Climene e La statua, saranno lette e assai apprezzate dai Crepuscolari fino a Montale.

Le scelte stilistiche

L’estenuazione del poeta è resa anche a livello ritmico dall’andamento cantilenante, ottenuto mediante la sintassi frammentata e la ripetizione delle immagini e delle espressioni (assai, v. 8; altro, v. 12; odo, vv. 12 e 14; fraterni, vv. 13 e 14; l’apostrofe o Giovinezza, vv. 1 e 10; l’epanalessi di vedo, vv. 12 e 13). Il sonetto è giocato sul registro più adatto all’espressione di una dimessa senilità: all’esteta paganeggiante della giovinezza subentra qui l’umile filantropo che adotta il linguaggio semplice della quiete spirituale (da qui gli aggettivi e i verbi di ascendenza quasi francescana quali buona, umile, perdona, fraterni).

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del sonetto.


2 Analizza la disposizione dei contenuti all’interno del sonetto: a che cosa è dedicata ciascuna strofa?

ANALIZZARE

3 Perché la fronte del poeta è prona (v. 4)?


4 Illustra le caratteristiche della sintassi del componimento.

INTERPRETARE

5 Per quale motivo la Giovinezza è rappresentata come coronata di fiori?


6 Perché il poeta chiama metaforicamente gli ardori delle passioni brevi ultime aurore (v. 9)?


7 Quale rapporto si instaura tra giovinezza ed età matura?


8 Con quale atteggiamento il poeta guarda alla fine della giovinezza?

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento